Junun

Film 2015 | Documentario +13 54 min.

Regia di Paul Thomas Anderson. Un film Da vedere 2015 con Jonny Greenwood, Paul Thomas Anderson, Ehtisham Khan Ajmeri, Nihal Khan. Cast completo Titolo originale: Junun. Genere Documentario - USA, 2015, durata 54 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento mercoledì 21 ottobre 2015

Il film è stato presentato al New York Film Festival 2015.

Consigliato sì!
3,50/5
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Premi
Cinema
Trailer
Una celebrazione di ciò che non si può filmare, ovvero l'estasi dell'ascolto, forse il primo vero documentario musicale che ascolti prima di guardare.
Recensione di Gabriele Niola
mercoledì 21 ottobre 2015
Recensione di Gabriele Niola
mercoledì 21 ottobre 2015

All'interno del Mehrangarh Fort nel Rajasthan (India), diversi musicisti si sono riuniti per incidere un disco che si chiamerà Junun. A guidare le sessioni è il compositore israeliano Shye Ben Tzur, coadiuvato dal chitarristica britannico Johnny Greenwood e dal produttore di molti dischi che questi ha inciso con i Radiohead, Nigel Godrich. Assieme a loro moltissimi strumentisti indiani.
Non ci sono dubbi che Junun raggiunga le punte maggiori di leggerezza di tutta la filmografia di Paul Thomas Anderson e già per questo motivo ne costituisce un capitolo imprescindibile. La maniera in cui la videocamera dell'autore (il più delle volte manovrata da lui stesso) si muove tra i musicisti e fuori dall'edificio in cui suonano, la disinvoltura con la quale pone loro domande o si bea di riprese digitali di svelta produzione e buona risoluzione è evidente. Come è evidente anche la felicità che si accompagna a questo viaggio nella registrazione di un disco, quella che gli consente quando vuole di scambiare due parole con l'uomo che dà da mangiare ai falchi o farsi un volo con il drone fuori dalla finestra. Junun è forse l'opera più istintiva e meno ponderata che il regista di film di straordinario rigore come Il petroliere o Magnolia abbia mai girato, la più gioiosa, motivo per il quale mette in mostra un aspetto di questo artista mai esplorato prima, ovvero la sua immediatezza.
Paul Thomas Anderson d'istinto si appassiona alla lentezza e alla calma dei musicisti indiani, contrapposta a quello che sembra un rigore più meticoloso per Johnny Greenwood, non smette di mettere in contrasto la loro estasi nel suonare alla muta dedizione del musicista inglese, ma ancora di più in realtà si lascia conquistare dalle vedute indiane e dalle stranezze locali. Fossimo davanti ad un altro tipo di film diremmo che si lascia prendere "anche troppo" da tutto ciò ma non è questo il caso, Junun in ogni momento usa la propria leggerezza per arrivare là dove lavori più rigorosi non riuscirebbero forse a giungere. Addirittura Paul Thomas Anderson inquadra se stesso mentre manovra il drone o inquadra il drone stesso, non curandosi di mantenere invisibili il punto di vista o i dispositivi di messa in scena, conferendo così a Junun tutta l'aria del prodotto grezzo di un regista formidabile.
Perché a fronte di tutto ciò che accade tra una registrazione e l'altra, ovvero le fughe di Anderson dal dovere del suo film, il cuore dell'opera è e rimane la musica del disco che si intitolerà come il documentario che lo racconta. Su quello il regista si fa più rigoroso (ma nemmeno troppo), sperimenta, si diverte e inventa diversi metodi per riprendere le sessioni, rigorosamente per intero e se può in pianosequenza. Come raccontare la genesi di questo disco? Cosa guardare del molto che accade durante l'esecuzione? Anderson sembra chiederselo per ogni brano e darsi ogni volta una risposta differente, affascinato più dalle potenzialità che dagli esiti, eccitato di fronte a ciò che accade e (pare) dal farne parte. Anche un animale che entra nella stanza o un calo di elettricità che blocca tutto a tempo indefinito diventano un momento da documentare e dal quale tirare fuori un altro capitolo di questa cronaca del piacere della creazione.
Esterno al gruppo di chi suona Anderson non si sente assolutamente parte del "lavoro" sul disco, approccia questo documentario con il minimo delle aspettative e il massimo della libertà, abbraccia la logica del digitale e la sua parentela strettissima con il video amatoriale, di fatto creando una vicinanza inedita alla musica. Se ogni film-concerto o film-registrazione è la cronaca di uno spettatore privilegiato con mille occhi, l'unico a poter soddisfare l'impossibile desiderio di essere ovunque e vedere tutto, Junun è la cronaca di un parente o di un amico di chi suona, di un privilegio nel privilegio che si fa sguardo estasiato di tutto.
Forse un altro regista sarebbe stato più concentrato nel cercare di riprendere le fasi creative o il formarsi delle armonie o ancora il contrasto tra stili, Anderson invece è concentrato sul piacere di ascoltare ed essere presente, sull'incredibile influenza in tutto ciò della bellezza e stranezza del luogo. Junun è una celebrazione di ciò che non si può filmare, ovvero l'estasi dell'ascolto, forse il primo vero documentario musicale che ascolti prima di guardare, che non indaghi niente ma assuma il ruolo dello spettatore più attento di tutti.

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