La dolce arte di esistere

Massimo è così fragile che le tensioni che si accompagnano ai rapporti umani lo fanno scomparire. Roberta ha un tale vuoto interiore da avere sempre bisogno di una persona vicino che le infonda vita, altrimenti anche lei scompare. Due storie di invisibilità psicosomatica destinate ad incontrarsi, ma non necessariamente a... vedersi.
Dopo il delicato e commovente L'estate di mio fratello, intriso di realismo magico, Pietro Reggiani torna alla regia con un racconto a metà fra il documentario scientifico (tutta la storia è narrata da una voce fuori campo che potrebbe appartenere ad un entomologo) e la webfiction (ma con una pulizia e una professionalità di ripresa ben lontane dall'approssimazione).
Purtroppo però quello che avrebbe potuto funzionare molto bene come un corto sulla solitudine dei numeri primi e sulla paura giovanile (e non solo) del rifiuto degli altri non regge l'ora e mezza di racconto, penalizzata da un incedere lento, dalla suddetta voce fuori campo che alla lunga diventa fastidiosa e inutilmente invadente (perché noi le vediamo, le cose che succedono) e da una trama che, al di là dell'intuition iniziale, non decolla. In aggiunta il lavoro di Reggiani ha la sfortuna di seguire l'uscita de Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, che ha invece saputo costruire una storia di genere sul tema dell'invisibilità. Restano memorabili i riferimenti che Reggiani fa, con svelta ironia, a certi fenomeni di invisibilità contemporanea come la precarietà e l'assenteismo Il suo cinema sperimentale e la sua inclinazione verso la magia, intesa proprio come illusione ottica (che è la radice del cinema), meritano attenzione e visibilità, ma questo esempio avrebbe fatto meglio a restare circoscritto alla sintesi della brevità. 