Anno | 2015 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Gran Bretagna, USA |
Durata | 101 minuti |
Regia di | Stephen Kijak |
Attori | Nick Carter, Kevin Scott Richardson, Brian Littrell, A.J. McLean, Howie Dorough Backstreet Boys (II), Swoop (II), Martin Terefe, Noah Terefe, Hanna Terefe, Glenn Scott, Johnny Elgan, John 'Q' Elgani, Boyz II Men (II), New Kids on the Block, Joanna Cazden, Louis J. Pearlman, Johnny Wright (II), Amro Alsabban. |
Uscita | martedì 14 luglio 2015 |
Distribuzione | Microcinema |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,07 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 9 novembre 2017
Due anni di vita dei ragazzi della boy band che sono arrivati al successo nel 1996 con il debutto dell'album Backstreet Boys.
CONSIGLIATO SÌ
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Eravamo degli dei in un mondo contorto": cinque ragazzi fra i 14 e i 20 anni catapultati dai quartieri piccolo borghesi della Florida al successo planetario, 130 milioni di album venduti, platee oceaniche ai loro concerti perennemente sold out. "Fra il 1999 e il 2002 nessuno ci poteva fermare". E invece, ad un certo punto, il successo si è fermato, e i Backstreet Boys hanno dovuto imparare a sopravvivere e reinventarsi un futuro.
A raccontare la loro avventura in retrospettiva sono Brian, A.J., Howie, Nick e Kevin, che è uscito dal gruppo nel 2006 per poi tornare ad esibirsi con gli altri quattro nel 2012. Oggi i Boys sono trenta-quarantenni "uomini adulti in una boy band", come sintetizzano con autoironia. Ed è l'ironia, insieme a una certa malinconica dolcezza, la cifra di questo documentario su uno dei gruppi musicali più amati degli anni '90, cinque personalità e vocalità assai diverse capaci di fondersi in un unico sound riconoscibile, messe insieme attraverso un'operazione commerciale da un manager geniale e imbroglione, Lou Pearlman, che avrebbe sfruttato l'ingenuità e il talento dei Boys e avrebbe poi "creato la concorrenza", ovvero gli NSynch, quelli con Justin Timberlake. "Anche Pinocchio era qualcosa di costruito ma è diventato un bambino vero", osserva uno dei cinque, e il documentario procede a mostrare come anche il marketing più cinico - quello che fa continuare lo spettacolo anche quando Brian, il più fragile del gruppo, deve sottoporsi ad un'operazione a cuore aperto - non riesca a neutralizzare l'umanità di cinque individui che, durante gli anni della loro formazione, hanno dovuto fare i conti con la fama ("Nessuno ti dice cosa fare quando sei in cima"), la stanchezza (quattro ore di sonno per notte, per nove anni di tour), la necessità di seguire le decisioni altrui senza possibilità di fare scelte autonome, le ore di prove, gli spostamenti continui.
Poi, certo, c'erano i soldi (spesso sifonati dal manager imbroglione di cui sopra), i privilegi, le fan adoranti ("Potevo avere ogni ragazza volessi", ricorda Nick, un teenager all'epoca), la goliardia, l'atmosfera da campo estivo durante i tour, prima le palestre delle medie e dei licei, poi i mega stadi europei e infine quelli americani. Un ciclone che ha travolto i Backstreet Boys e che, quando si è placato, li ha gettati a terra senza paracadute. Finché loro non hanno deciso di "ricominciare tutto da capo".
Backstreet Boys: Show 'em What You'Re Made Of, che prende il nome dal titolo di una canzone del loro penultimo cd, ripercorre le tappe dell'ascesa, caduta e risalita della band, mescolando riprese ad hoc girate per due anni a moltissimo materiale di archivio che mostra i ragazzi quando erano, appunto, ragazzi, e li racconta nella loro individualità: Brian l'ipersensibile, somatizzante una disfonia da stress che ha rischiato di stroncargli la carriera; A. J. la rock star, con relativo excursus nella droga; Kevin orfano di padre che fa da padre ai suoi compagni; Howie il clown; Nick l'eterno ragazzino in cerca di riscatto e di una rivincita contro chi, dentro e fuori la band, l'ha visto e trattato come il pischello del gruppo.
Ci sono i ricordi di famiglia, con tanto di lacrime, incontri alla reality show con gli insegnati di canto che per primi hanno valorizzato il talento dei componenti della band, gli scherzi e le risate, le confessioni e le accuse. E ci sono le canzoni, sbocconcellate lungo tutto il corso del documentario come le briciole di Pollicino, e poi cantate a cappella, con il solo accompagnamento delle chitarre acustiche, nel concerto finale che accompagna il film. Canzoni che, anche al di là dei loro meriti musicali, sono entrare a far parte della cultura pop, assorbite e memorizzate anche da chi ha sempre storto il naso davanti a questa e altre boy band.
Stephen Kijack restituisce ai fan, ma anche a chi ha sempre pensato ai Backstreet Boys come a un mero prodotto, la complessità della loro storia, raccontando la perdita dell'identità individuale sacrificata a quella collettiva del gruppo, l'altalena dei rapporti fra i componenti che cambia con il passare degli anni. Un ritratto che rifugge l'agiografia per raccontare la resilienza del talento e l'evanescenza crudele della fama.