Titolo originale | Harcheck mi Headro |
Titolo internazionale | That Lovely Girl |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Israele, Francia, Germania |
Durata | 95 minuti |
Regia di | Keren Yedaya |
Attori | Maayan Turgeman, Grad Tzahi, Yaël Abecassis, Maayan Turjeman, Tzahi Grad Tal Ben-Bina, Uri Yadlin, Adi Shir, Or Edri, Barak Friedman, Dor Srugo. |
MYmonetro | 2,47 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 16 maggio 2014
La complesse e incestuosa relazione tra un sessantenne e sua figlia di 22 anni.
CONSIGLIATO NÌ
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Moshe e Tami sono una coppia di Tel Aviv. Lui è più vecchio e dosa a suo piacimento affetto e arroganza. Lei è più giovane e passa le giornate volontariamente reclusa in casa, in attesa del ritorno dell'uomo, che a volte si fa attendere per giorni. La loro è una relazione violenta, malata, incestuosa. Moshe e Tami sono padre e figlia.
Non ci sono immagini di troppo in questo film, oppure lo sono tutte. La reiterazione degli stessi gesti, tanto abituali quanto aberranti, infatti, trova senso nella volontà di raccontare la spirale di dipendenza di cui è vittima la giovane, la coazione a ripetere, la perfezione del circolo vizioso che la tiene prigioniera. Ma sono tutte immagini terribili, rese tali dalla natura della relazione tra i personaggi e dall'ottica della descrizione obiettiva, per quanto possibile, della quotidianità del male.
La regista, israeliana, nata in America e apprezzata in sede professionale soprattutto in Francia, è una militante a favore dei diritti delle donne e non serve la sua nota biografica per capirlo, poiché il film è da cima a fondo il racconto di come il diritto ad una vita normale di Tami viene schiacciato un giorno e per sempre proprio da colui che avrebbe dovuto assicurarlo. La denuncia di Yedaya non è urlata, ma è comunque manifesta e la sua forza emerge programmaticamente dalle immagini di abuso e di rifiuto di cui è oggetto il corpo di Tami. Ugualmente, a livello simbolico, parla piuttosto chiaro il peso riservato al cibo, che svolge un ruolo cruciale nella dinamica perversa di amore e odio tra padre e figlia. Quel cibo che dovrebbe essere nutrimento, offerto dal genitore per la crescita e l'indipendenza della ragazza, è proposto in un eccesso che porta dritto al vomito ma anche alla schiavitù della donna (che per ingraziarsi il suo carnefice e tenerlo al suo fianco lo coccola preparandogli i pancake a colazione.)
È una visione volutamente fastidiosa, quella di Loin de mon père , ma è anche una visione cronachistica (con tanto di vicini di casa che non si accorgono mai di nulla), e raramente il cinema che arriva in profondità appartiene a questo registro. Le cose si mettono quasi peggio, poi, quando il film si prende la libertà di inventare altro rispetto alla routine dell'orrore e appare così il terzo personaggio, una donna che si situa apertamente all'opposto di ciò che è Tami, completando il quadro con una pennellata di manicheismo di cui non si sentiva il bisogno.