Anno | 2014 |
Genere | Documentario drammatico |
Produzione | Svezia, Finlandia, Danimarca, USA |
Durata | 85 minuti |
Regia di | Göran Olsson |
Attori | Lauryn Hill . |
Tag | Da vedere 2014 |
MYmonetro | 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 15 ottobre 2014
Göran Hugo Olsson propone una rilettura della lotta anticoloniale.
CONSIGLIATO SÌ
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Nove scene di autodifesa imperialistica. Questo è il sottotitolo di Concerning Violence, film-saggio di solida struttura concettuale, destinato a scuotere le platee. Modellato su "I dannati della terra" di Frantz Fanon (pubblicato nel 1961, subito censurato, riproposto da noi da Einaudi nel 2007), riflessione anticolonialista e preveggente, che coniò la locuzione "Terzo Mondo" ponendosi tra i testi di riferimento per il pensiero africano. Con un'operazione analoga al precedente The Black Power Mixtape 1967-1975 (2011) Olsson recupera e riassembla materiali d'archivio inediti girati dalla tv pubblica svedese tra gli anni '60 e '70 (con un breve inserto dell'87 in Burkina Faso), approfondendo la ricerca sull'apartheid e i processi di emancipazione politica nera. Un repertorio che scorre accompagnato da corposi estratti del testo di Fanon, didascalizzato e sovraimpresso in inglese e letto da Lauryn Hill (già cantante dei dissolti Fugees, nota per l'album solista del '98 "The Miseducation of Lauryn Hill", in seguito sempre più appartata e critica nei confronti dello show business e attivista della causa black e femminista).
Ad un'illuminante introduzione all'opera di Fanon a cura della filosofa Gayatri Chakravorty Spivak fanno seguito nove capitoli che teorizzano gli esiti del colonialismo bianco in Africa e i conseguenti movimenti nazionali di liberazione. Un repertorio iconico, a tratti intollerabile, di una storia sanguinaria: la guerriglia in Angola, la testimonianza di un intellettuale torturato in carcere in Rhodesia/Zimbabwe e le dichiarazioni razziste di un colono bianco, le zone militarizzate, la repressione di uno sciopero in una fabbrica svedese in Liberia; la fede di missionari cattolici svedesi in Tanzania; scene di contesti ricreativi bianchi miste a immagini atroci di distruzione e mutilazione nella guerre di liberazione del Mozambico e Guinea-Bissau.
Il tema è la relazione tra colonizzatore e colonizzato, nella consapevolezza che la decolonizzazione non può darsi senza violenza, anche se Fanon (morto nel '61, poco dopo la pubblicazione del suo saggio) non la legittima. Il suo linguaggio è preciso, attualissimo, e si attaglia in modo sorprendente, mutatis mutandis, al contesto neoimperialista dei giorni nostri. L'epilogo è un deciso appello alla consapevolezza dei compagni neri, a che si adoperino per formare «un nuovo essere umano» e un'aperta accusa all'ipocrisia europea nel nascondere i crimini perpetrati. Un ragionamento storico e psicologico coerente interagisce in modo dialettico, mai didascalico, con un 16mm denso e introvabile, disintegrando in 85 secchissimi minuti ogni futura applicazione del "politicamente corretto".
La narrazione ferma e rabbiosa della Hill e un dissonante tema sonoro contemporaneo danno il tocco decisivo, in questo lucidissimo invito all'autodeterminazione e liberazione di sé. Cinema politico, radicale, al massimo grado di purezza.