Crisis: Behind a Presidential Commitment

Film 1963 | Documentario 52 min.

Anno1963
GenereDocumentario
ProduzioneUSA
Durata52 minuti
Regia diRobert Drew
TagDa vedere 1963
MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Robert Drew. Un film Da vedere 1963 Genere Documentario - USA, 1963, durata 52 minuti. - MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 9 giugno 2020

Nella primavera del 1963 i giornali iniziarono a parlare di una nuova crisi in corso. John F. Kennedy fu costretto a decidere se avvalersi del potere della presidenza per sostenere la parità razziale.

Consigliato sì!
3,25/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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JFK alle prese con uno dei nodi centrali, e tuttora irrisolti, dell'America moderna, la questione razziale.
Recensione di Ilaria Ravarino
martedì 9 giugno 2020
Recensione di Ilaria Ravarino
martedì 9 giugno 2020

Nel giugno del 1963 John Fitzgerald Kennedy deve affrontare la crisi politica passata alla storia con il nome di "opposizione all'ingresso della scuola", un gesto provocatorio messo in atto dal governatore dell'Alabama George Wallace, contrario all'integrazione degli studenti afroamericani negli istituti scolastici. Girato con l'ausilio di quattro unità di ripresa, ciascuna al seguito dei protagonisti della storia, il documentario di Robert Drew racconta in presa diretta le 48 ore durante le quali JFK dovette affrontare di petto uno dei nodi centrali, e tuttora irrisolti, dell'America moderna: la questione razziale.

"Se fosse peccato, io non lo farei. Ma non è un peccato di Dio. Anzi. Sono convinto che la separazione fra negri e bianchi sia una cosa buona per tutti. Lo faccio anche nel loro interesse". Stati Uniti, 1963, nell'America di JFK - che di JFK sarebbe diventata vedova appena cinque mesi più tardi - le parole del Governatore George Wallace gettavano benzina sul pericoloso fuoco della questione razziale.

Rimasta l'unico stato americano a opporsi all'integrazione degli afroamericani nelle scuole e nelle Università, l'Alabama e la sua gente (anziani, benestanti, bianchi repubblicani che nel documentario rincorrono adoranti il Governatore) per 48 tesissime ore furono al centro delle preoccupazioni di John Fitzgerald Kennedy, della sua squadra presidenziale e di un regista, Robert Drew, che di quei due storici giorni fu fortunato testimone.

Autorizzato a seguire da vicino il Presidente e l'avversario politico Wallace, con una libertà di movimento quasi impensabile persino oggi, Drew ha raccontato tutte le fasi di un conflitto politico che sarebbe potuto finire (come ci accorgiamo in questi giorni, sessant'anni anni dopo, con il caso di George Floyd) nella violenza e nel sangue, e che si trasformò invece in una delle più fini e misconosciute vittorie politiche di JFK.

Il casus belli, l'ostinata opposizione del populista Wallace all'iscrizione all'università di una coppia di ragazzi afroamericani, Vivian Malone e James Hood, è il tema intorno al quale la diplomazia del Presidente si avvita fin da subito, cercando di evitare tanto una risposta violenta, che avrebbe incendiato la situazione (inviare la Guardia Nazionale o arrestare il governatore), quanto una resa, o meglio un'attesa, che avrebbe tradito fragilità e debolezza.

Montato con una voce fuori campo essenziale, senza interviste successive all'evento, con le scene in bianco e nero che si susseguono come in presa diretta, Drew ha potuto realizzare il documentario utilizzando quattro unità di ripresa, incaricate di seguire separatamente i protagonisti.

Una prima unità è al seguito del Presidente Kennedy e del fratello e procuratore generale Robert, entrambi impegnati - tra lunghe telefonate, boccate di sigaro, tigri impagliate e nuove generazioni che trotterellano nello Studio Ovale - a impedire al governatore di montare un caso e trasformarsi in martire. Sono sequenze dalla notevole importanza storica, che pur cedendo di tanto in tanto alla retorica della favola kennedyana, raccontano non solo l'intelligenza strategica del Presidente, riuscito a uscire dalla crisi senza vittime né danni, ma anche la sua moderna consapevolezza mediatica: Kennedy non è solo preoccupato dell'immagine del paese che la crisi potrebbe proiettare all'estero, ma anche di quella di se stesso, ripreso dalla telecamera della troupe, in vista delle prossime presidenziali.

Lo stesso Wallace, del resto, sa calcolare l'impatto delle immagini di Drew, quando davanti alla telecamera affida la figlia alla sua tata afroamericana, per poi commentare con spiazzante spirito segregazionista: "In Alabama nessun negro vive situazioni imbarazzanti. Sa quali caffè frequentare e quali locali sono per i bianchi". Il suo obiettivo è puntare ai voti del sud conservatore e razzista ("Senza il Sud non si vince in America"), che cinque anni dopo proverà a raccogliere in campagna elettorale, candidandosi a presidente.

E se Wallace è un antagonista perfetto per Kennedy, nel ruolo giusto è anche il procuratore Nicholas Katzenbach, spedito a Tuscaloosa dal Presidente per monitorare la crisi, volto cinematografico di una House of Cards ante litteram. Alla quarta unità Drew affida infine il compito di seguire i due studenti, Hood e soprattutto Malone (già arrivata sulle copertine di Time e Newsweek), manovrati con diabolica abilità da poteri più grandi dei loro: "Vestitevi come per andare in chiesa, onesti e puliti - si raccomanda Katzenbach - tutto deve avere un'aria solenne".

Poteri maschi e bianchi - perché questo è il mondo che gira intorno a Wallace, ma anche ai Kennedy - in un'America molto lontana da quella prefigurata dallo stesso JFK nel discorso alla nazione che chiuse i due giorni di crisi. Un'America in cui tutti i cittadini sono liberi allo stesso modo, e che ancora oggi fatica a raggiungere lo standard. "È un bene che ci siamo messi la crisi alle spalle", dice JFK nell'ultima sequenza del documentario. Almeno su questo, si sbagliava.

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