Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Monika Crha, Angelo Santovito |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 31 maggio 2013
Come l'abete, sapiente delle cose dall'alto è un documentario sul Codice Forestale Camaldolese, la foresta, gli uomini...
CONSIGLIATO SÌ
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Un fulgido esempio di gestione ambientale proficua dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto virtuosa. È quello offerto dai monaci di Camaldoli, comunità toscana della provincia di Arezzo, all'interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Nel panorama degli ordini monastici non esistono simili esperienze di gestione del bosco, parte integrante delle disposizioni e della costituzione dell'ordine stesso. Per la congregazione camaldolese benedettina, la foresta possiede un'aurea di sacralità: è custode del silenzio nel quale nasce e vive la virtù, un eremo in cui è possibile coltivare la solitudine. In antitesi a una società fondata sul chiasso, quindi incapace di ascoltare, il bosco offre il silenzio, funzionale all'ascolto di Dio.
Il documentario diretto da Monika Crha e Angelo Santovito compie un viaggio ascetico teso all'esplorazione della foresta che circonda il monastero di Camaldoli. Un viaggio che racconta anche la storia della congregazione fondata da San Romualdo e che nel 2012 ha festeggiato i suoi mille anni di vita. I due registi entrano in punta di piedi nella quotidianità dei monaci, che mostrano e spiegano le attività collaterali alla preghiera: la coltivazione, la farmacia, il laboratorio delle ceramiche, lavori che, in base alle regole dettate da San Benedetto, rendono la comunità autosufficiente dal punto di vista economico. La macchina da presa non è mai invadente, si rende pressoché trasparente e la regia non si concede mai un guizzo, assecondando il ritmo lento della vita monastica.
La finalità del documentario è mostrare quanto possano essere fruttuose le buone pratiche di gestione ambientale. Immersi in questa natura ascetica e imponente, i monaci non sono dediti esclusivamente alla preghiera. Il legno degli abeti bianchi, che crescono rigogliosi in questo angolo di paradiso in terra, negli anni è stato adoperato per donazioni alla comunità e progressivamente per attività a carattere economico. Ma sempre in un'ottica di rispetto ambientale. "Se tagli un albero, devi piantarne altri quattro". È questa la regola a cui i camaldolesi non si sono mai sottratti, favorendo nel tempo la rigenerazione dell'ecosistema, praticando uno sviluppo socio-economico sostenibile e innescando un welfare condiviso con le popolazioni rurali locali. Una buona pratica bruscamente interrotta nel 1866, quando lo Stato italiano, in forza della legge di soppressione degli ordini religiosi, ha acquisito la proprietà della foresta di Camaldoli, oggi gestita dal Corpo Forestale dello Stato.
I mille anni dei monaci camaldolesi sono stati mille anni di cura, rispetto e tutela dell'ambiente, anche in un'ottica di responsabilità nei confronti delle generazioni future. Gli attuali gestori del bosco stanno portando avanti quelle buone pratiche e presto sarà attivata la digitalizzazione del Codice Forestale dei monaci, in modo che il rispetto e la cura di equilibri secolari diventino patrimonio collettivo e saldo punto di riferimento per un futuro sostenibile.