Titolo originale | Quatres nuits d'un étranger |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Italia |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Fabrizio Ferraro |
Attori | Marco Teti, Caterina Gueli Rojo . |
Uscita | giovedì 14 febbraio 2013 |
Distribuzione | Boudu |
MYmonetro | 2,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 20 novembre 2017
Un altro uomo, un'altra donna, la stessa città: una Parigi abbagliante, protagonista del capitolo conclusivo del dittico sul contatto del regista Fabrizio Ferraro.
CONSIGLIATO NÌ
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Una coppia di silenziosi compagni di viaggio, a spasso per Parigi. L'ispirazione, dichiarata ed evidente, è quella de Le notti bianche di Dostoevskji, i cartelli che dividono i quattro atti del film sono composti dalle parole di George Trakl, significative e significanti.
Fabrizio Ferraro chiude con Quattro notti di uno straniero il dittico aperto con Penultimo paesaggio, cercando nella stessa città e, in fondo, anche nelle stesse sensazioni e suggestioni il motivo di un amore, o meglio di un legame, forte e fragile al tempo stesso, capace di unire, senza parole, per giorni e ore, ma anche di dividere, inesorabilmente. Il regista affronta uno dei misteri più semplici e allo stesso complesso della vita umana - l'emotività che diventa muta empatia, con qualsiasi nome vogliate chiamarla - attraverso un'estetica che alcuni potrebbero definire elegante ed altri punitiva.
Bianco e nero, assenza o quasi di dialoghi (il più loquace è il corso di francese del protagonista maschile), inquadrature fisse che si allargano lentamente, la macchina da presa che insegue placida Marco Teti e Caterina Gueli Rojo, ovviamente di spalle, perché sia ancora più difficile mantenere alta l'attenzione per lo spettatore.
Lui lo vediamo salire le scale lentamente, ballare sgraziato a torso nudo, infine attendere una sconosciuta fuori da un ospedale in cui lei accudisce un marito in coma. Nel frattempo la città, vero centro narrativo e visivo dell'opera, invade i nostri occhi, ipnotizzandoci evitando i luoghi "soliti". E da questa scelta, apparentemente coraggiosa, si intuisce come Ferraro sembri preoccuparsi più del suo autorialismo, di mostrarci il suo talento alla Bela Tarr, il suo talento che non accetta compromessi, che di guardare allo spettatore, persino a quello più cinefilo. Ci offre dei quadri e non delle scene, ci sfida, ma la verità è che più vedi Quattro notti di uno straniero più lo senti lontano, freddo, algido e altero. Non c'è nulla dello stile dostoevskijano, apparentemente neutro e invece vibrante. Qui c'è solo un esercizio di stile in cui l'immobilismo diventa anche staticità creativa, in cui anche le immagini migliori non riescono a non annegare nella noia. E, francamente, non basta la gestione della luce di Ferraro, molto affascinante ma alla fine anch'essa velleitaria, per cambiare il senso di un film che fin dall'inizio sembra un vicolo cieco. Anche piacevole a vedersi, ma che comunque non porta da nessuna parte.
Camminare, camminare, camminare. Guardare. Dove? Cosa? L'occhio è guidato amorevolmente a costruire lo spazio. Ogni inquadratura, aperta, mobile, allena lo sguardo e lo guida alla possibilità di scoprire il proprio senso, l'intima e personale fatica dell'invenzione delle immagini. La luce costruisce gli oggetti, li modella, scolpisce la città, le figure, gli uomini e le donne.
Ho visto il film ieri al nuovo cinema aquila di roma, un film raro, di grande atmosfera, veramente difficile da vedere nel panorama italiano. ancora penso ad alcune sequenze straordinarie, forse dovremmo vivere seguendo quei tempi e non la rapidità e la superficialità di queste nostre relazioni. la fotografia è incredibile. lo consiglio a tutti, un'esperienza sensoriale.
Un film assolutamente consigliato. Un modo di fare cinema certo diverso, ma contrariamente a quello che si dice nella recensione, a mio avviso, capace di trasmettere emozioni. Oggi, nel ripensarci, ho ancora vive immagini e sensazioni, ma soprattutto un senso di grande bellezza.