Titolo originale | A Walk in the Park |
Anno | 2012 |
Genere | Sperimentale |
Produzione | USA |
Durata | 96 minuti |
Regia di | Amos Poe |
Attori | Michael Laurence, Dorothy Frey . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 10 novembre 2012
Il regista Amos Poe è una delle figure di primo piano del movimento "No Wave" newyorkese ed è considerato da molti come uno dei padri del cinema americano indie moderno.
CONSIGLIATO SÌ
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Brian e la madre Alice erano troppo legati. Il rapporto di codipendenza ha fatto del male a Brian. Per sentirsi ancora come dentro l'utero materno, al sicuro, ha preso psicofarmaci per anni, sempre diversi o in dosi diverse, ma sempre soffrendo. La morte di Alice, infine, è stata un trauma tremendo. Ora Brian abita con un amico, Adam, e scatta fotografie a Central Park. Lì ha trovato un luogo di benessere, dove nessuno lo giudica e dove è tornato a respirare, dopo più di un anno passato sul divano a guardare film, divorato dalla depressione.
Amos Poe è una figura di spicco del cinema sperimentale americano. Questa passeggiata nel parco si avvicina più di altri lavori al documentario, ma sono etichette che, in casi come questo, servono al solo scopo di essere messe in discussione. Non a caso il film si apre su un fotogramma di Psyco, ovvero sul cinema con la maiuscola, di finzione, ma anche su un abisso mentale che, nel caso di Brian, è estremamente reale, anche se vago, più patito che pensato, destinato forse ad essere superato ma mai ad essere compreso. Per questo, allora, il film di Poe assume una forma stratificata, nel nome, appunto, di un sovraccarico sensoriale. Alle interviste si sommano il fantasma del film di Hitchcock, la musica di Hayley Moss (ma soprattutto "White Rabbit" nella versione di Patti Smith, con il suo portato narrativo e atmosferico), il materiale filmico reale, relativo al triangolo madre-primogenito-secondogenito e quello immaginato, (ri)elaborato e messo in scena per l'occasione, con Dorothy Frey nei panni di Alice e Michael Laurence in quelli di Brian. Infine, l'autore sceglie di rappresentare la frammentazione della mente di Brian con una struttura a capitoli, dove ogni titolo rimanda ad un film ed è punteggiato con brevi estratti letterari.
Solo la compresenza di tutti questi ingredienti, non ultimi i diversi supporti e formati di ripresa, le fotografie scattate da Brian a Central Park e il contesto stesso, interno al cinema, in cui è nato il film (Brian Fass è un operatore di macchina, ha lavorato per Lumet e Allen), può aspirare, nella visione di Poe, a farsi rappresentazione di quella passeggiata nella biografia e nella testa di Brian che è oggetto del film.
Non è cosa nuova, al contrario: si riconosce la sua appartenenza ad un genere molto esplorato, quasi codificato, ma i momenti toccanti non mancano e l'operazione è sincera, soprattutto nel suo assomigliare ad un work in progress, con tante aperture e tanto "non finito", com'è umano che sia.