Un principe in giacca e cravatta

Lane è un'aspirante giornalista di moda. Ha due grandi sogni nel cassetto: lavorare per la patinata rivista femminile Cosmopolitan e trovare "l'uomo magico", quello che possiede tutti i requisiti di una lista che la ragazza ha compilato sin dai tempi del college. Se la ricerca del principe azzurro appare assai ardua, a spingere Lane sulla strada di Cosmopolitan ci pensa Joanna, la sua migliore amica, fotografa di moda che le procura un colloquio con la caporedattrice della rivista. Quest'ultima la prende in simpatia e, complici le rispettive lamentele sugli uomini, le affida un servizio sotto copertura: Lane dovrà introdursi nel mondo della finanza e scovare lì il suo principe in giacca e cravatta, quello che possiede tutti i requisiti della lista. Solo così potrà guadagnarsi l'ambita copertina di Cosmopolitan.
Un breviario per adolescenti che sognano a occhi aperti. È così che si presenta il film diretto da Gil Junger (regista di serie tv e film giovanilisti come 10 cose che odio di te) e pensato dalla ABC Family per un pubblico televisivo, sul modello cinematografico - molto più riuscito - di Il diavolo veste Prada. Proprio come gli altri tv movies prodotti dal canale via cavo di proprietà della Walt Disney, Un principe in giacca e cravatta, basato sul libro di Daniella Brodsky Diary of a Working Girl, è contrassegnato da una buona dose di freschezza e da un certo umorismo, che lo rendono un gradevole passatempo disimpegnato per teenagers. A patto che lo si prenda per ciò che è: un film che si regge su una serie di stereotipi, legati al genere commedia romantica, e su un susseguirsi di situazioni esageratamente edulcorate, che non hanno alcuna corrispondenza con la vita reale. La trovata con cui Lane riesce a farsi assumere in una prestigiosa azienda finanziaria, pur senza alcun requisito curriculare, è del tutto inverosimile. Meno lo è il modo in cui la ragazza entra nei cuori dei seriosi economisti, a forza di minigonne, vestitini modaioli e attillati e un carattere frizzantino. Di circostanze simili sono pieni i giornali e le tv e, in tempi in cui si cerca di trasmettere un'immagine femminile di maggior spessore, il messaggio sotteso al film non è proprio edificante.
Lo sceneggiatore Michael Horowitz tenta di correggere il tiro alla fine dell'avventura, quando Lane si rende conto che la lista di qualità mirabolanti (che, per inciso, hanno più a che fare con i muscoli che con il cervello) non ha alcuna corrispondenza con la realtà dell'amore. Peccato che l'happy end, oltre a essere prevedibilissimo nel suo svolgimento, appaia forzato e che la "redenzione" della protagonista sembri eterodiretta piuttosto che intimamente provata.
Paradossalmente, se il film non avesse nutrito ambizioni moralisticheggianti sul finale, avrebbe mantenuto una maggiore genuinità e ci si sarebbe limitati a godere del leggero e spensierato intrattenimento iniziale, supportato da un cast azzeccato per il prodotto, con un'Hilary Duff (sulla cresta dell'onda dopo la serie tv Lizzie McGuire) che, sia quando canta che quando recita, non fatica a generare un meccanismo di identificazione nelle adolescenti che bramano la sua aria svampita e solare, i suoi capelli biondi sempre perfetti e i suoi vestitini ultimo grido. 