Anno | 2011 |
Genere | Documentario |
Produzione | Germania |
Regia di | Angélique Bosio |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 28 gennaio 2011
Il documentario della giovane regista francese Angélique Bosio racconta il cinema e l'ideologia del più controverso autore della scena queercore.
CONSIGLIATO NÌ
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Bruce LaBruce, esponente di spicco del cinema queercore, canadese, artista senza mezzi termini trasgressivo, è oggetto di un ritratto-tributo da parte della giovane documentarista Angélique Bosio, che già aveva avuto modo di incrociarlo in occasione del suo precedente lavoro sulla scena musicale No Wave e il cinema newyorkese underground della seconda metà degli anni Ottanta, Llik your idols.
Combinando del materiale di repertorio indubbiamente piuttosto raro con una serie di intelligenti e spassose interviste a John Waters, Gus Van Sant, Harmony Korine e al fotografo Richard Kern, tra gli altri, la Bosio vuole sdoganare il cinema di Labruce non certo dal suo milieu - the advocate for "fagdom" è felice e orgogliosissimo del suo ruolo- ma dal comodo ridimensionamento del suo cinema tra le categorie con la c minuscola. Storicamente meritevole di aver fatto incontrare i due mondi fino ad allora rivali dell'omosessualità esibita e del punk, per la fedeltà assoluta al credo della rappresentazione esplicita del sesso nei suoi film ha spesso visto restare in ombra altri aspetti della sua opera, come quello pittorico o anarchico o divertito o più puramente cinefilo. Ma non tra i suoi tanti fan, sia chiaro, né tra le programmazioni dei migliori festival internazionali.
Con la completa disponibilità del protagonista a raccontarsi davanti alla sua videocamera, la regista raccoglie le dimostrazioni di stima dei colleghi e dei neofiti per il lavoro di LaBruce, in alcuni momenti coglie persino la freschezza delle reazioni che suscita, l'adrenalina, la vitalità, l'impressione vertiginosa della libertà, senza nascondere che per questo il cineasta ha pagato un prezzo e continuerà a farlo ma senza mai nemmeno trasformare il suo ritratto nel megafono di una lamentela o di una recriminazione.
In questo senso, pur non addentrandosi più di tanto nell'analisi degli episodi della sua filmografia, nella loro genesi o fattura, il documentario non ha teoremi da dimostrare e si presenta come un interessante spaccato del presente di Bruce LaBruce, visto da un occhio poco incline alle nostalgie senza motivo che è entrato davvero all'interno del mondo che descrive.