Titolo originale | Dekalog, dwa |
Anno | 1990 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Polonia |
Durata | 59 minuti |
Regia di | Krzysztof Kieslowski |
Attori | Olgierd Lukaszewicz, Krystyna Janda, Aleksander Bardini, Artur Barcis, Krzysztof Kumor Stanislaw Gawlik, Maciej Szary, Krystyna Bigelmajer, Karol Dillenius, Ewa Ekwinska, Jerzy Fedorowicz, Piotr Siejka, Aleksander Trabczyríski. |
Tag | Da vedere 1990 |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,42 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 dicembre 2024
Dorota ha il marito gravemente ammalato all'ospedale. Lei è in attesa di un bimbo da un altro uomo. È indecisa se abortire, e allora si reca dal vicino di casa, primario dell'ospedale, per sapere se il marito ha qualche possibilità di rimanere in vita.
CONSIGLIATO SÌ
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Lei, lui, l'altro. E un primario d'ospedale investito d'una responsabilità al di sopra delle sue forze. Questi i soggetti di Decalogo 2, che ben poco hanno a che fare con il comandamento "Non nominare il nome di Dio invano". Solo un rapido scambio di battute farà esplicito riferimento alla fede religiosa del dottore, che risponderà di avere un suo Dio privato. Ma coerente con la linea metafisica di tutta la serie del Decalogo sta la questione principale della vicenda: il fatto che da un destino sospeso fra la vita e la morte scaturisca ancora una scelta fra la vita e la morte.
Dorota, il cui marito è in ospedale in pericolo di vita, sa di essere al terzo mese di gravidanza. Il padre del bambino è il suo amante nonché un amico del marito Andrej. La donna sa che è l'unica possibilità che le resta di avere un figlio e fa dipendere la decisione di portare a termine o interrompere la gravidanza dal futuro del marito: se Andrej è destinato a morire, terrà il bambino; altrimenti sceglierà di abortire sapendo che da quel momento in poi finirà la storia d'amore con l'amante. La tremenda responsabilità di questa decisione viene fatta ricadere da Dorota sul primario, costretto addirittura a giurare su qualcosa che sfugge alle leggi della scienza... La storia terminerà con un lieto fine inaspettato.
La seconda puntata di Decalogo conserva le caratteristiche stilistiche della prima. Qui il tormento si fa ancora più interiore e il silenzio è nettamente prevalente sul dialogo. La bionda Dorota è una donna abbastanza sofisticata, dai modi talvolta un po' imperativi, evidentemente lacerata da un conflitto emotivo molto forte: si trova ad amare contemporaneamente due uomini e non vorrebbe fare del male a nessuno dei due. Il primario è un tipo solitario, dall'aria un po' scontrosa, ma profondamente buono e purtroppo già tragicamente segnato dalla vita. Fra i due s'innesca da subito un clima di antagonismo - agli antipodi della complicità della coppia padre-figlio di Decalogo 1- che troverà conciliazione solo alla fine.
Kieslowski fa buon uso dei dettagli e degli oggetti simbolo: dalla pianta cui vengono strappate ad una ad una le foglie e piegato il gambo, al bicchiere pieno fatto volutamente cadere per terra, alla sigaretta che invece di spegnersi incendia la scatola di fiammiferi, alla vespa che con fatica riesce a uscire da un bicchiere... Di forte impatto le inquadrature in soggettiva di Andrej dal letto dell'ospedale: particolari di squallore e desolazione che portano alle stelle il senso di angoscia ampiamente diffuso nel lento scorrere della pellicola.
Dorota ha il marito gravemente ammalato all'ospedale. Lei è in attesa di un bimbo da un altro uomo. È indecisa se abortire, e allora si reca dal vicino di casa, primario dell'ospedale, per sapere se il marito ha qualche possibilità di rimanere in vita. Il medico le mente per salvare la vita del nascituro. Grande interpretazione dell'attrice Janda e ancora una volta lucidità di regia.
Il cinema di Kielslowski è simbologia atea con venature pagane e strisce di pura follia contagiosa.Nel secondo episodio del "Decalogo" s'immagina l'uomo come una grande vespa,imprigionata in un bicchiere di succo di frutta con tutti i suoi pensieri,le sue preoccupazioni.E quando supera il tutto e raggiunge la pace interiore,può ricominciare a volare.
Dopo il primo capitolo del decalogo,Kieslowski continua il suo percorso e si sofferma sul secondo capitolo o meglio secondo comandamento ,ovvero NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO.Un uomo lavora nel reparto oncologia,e nel suo palazzo vive una donna triste e depressa per via della malattia del marito ricoverato proprio dove lavora quest'uomo,i due in seguito ad un fatto passato non si parlano [...] Vai alla recensione »
Se il primo "Decalogo"è quello che maggiormente osava,questo risulta il più debole e il meno convincente.L'intreccio è macchinoso,e il legame col secondo comandamento("Non nominare il nome di Dio invano")risulta decisamente astratto,se non addirittura forzato(la donna avrebbe nominato Dio implorando un intervento divino affinchè il marito morisse,e [...] Vai alla recensione »
Il marito di Dorota è all’ospedale in gravi condizioni, i medici non si sbilanciano nel dire che si trova in fase terminale. La donna è incinta dell’amante e deve decidere se tenere il bambino: se il marito sopravvive non lo terrà. Il primario del reparto dove si trova ricoverato l’uomo è un suo vicino di casa, e Dorota cerca in tutti i modi di avere da [...] Vai alla recensione »
"Non nominare il nome di Dio invano". Bestemmiare significa odiare la vita e amare la morte. Una donna chiusa in un dilemma mortale trasforma un dottore in un deus ex machina. Il dottore, che ha subito la violenza della vita, ma nonostante ciò continua ad amarla, candido come una colomba e astuto come un serpente, libera tutti dal giogo della morte.
Da metafisico, Kieslowski osserva il mondo e la vita quasi standosene al di fuori. Il suo punto di vista è immobile, esterno alle vicende degli uomini, al loro mutare. Ma non così esterno e immobile da non condividerne la fatica e il dolore. Come l’Osservatore - presente nelle varie parti di Dekalog -, si carica dei dolore dei suoi personaggi, del peso della loro umana condizione.
Varsavia, un quartiere di periferia. Grandi palazzi tutti uguali ospitano persone come noi, chiamate a confrontarsi ogni giorno con i problemi concreti dell’esistenza: piccole liti, antipatie tra condomini, amori fugaci, matrimoni in crisi. Quasi nessuno saluta gli altri: si vive fianco a fianco, ma è sparita da tempo la voglia di frequentarsi e di conoscersi.