Titolo originale | Masters of Horror: Right to Die |
Anno | 2007 |
Genere | Horror |
Produzione | USA, Canada |
Durata | 58 minuti |
Regia di | Rob Schmidt |
Attori | Martin Donovan, Julia Anderson, Robin Sydney, Anna Galvin, Corbin Bernsen Linda Sorensen, Xantha Radley, Derek Green, Norman Misura, Yvonne Myers, Bryan Elliot. |
MYmonetro | 2,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Anche quando si è in coma si è capaci di uccidere...
CONSIGLIATO NÌ
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Durante un viaggio in macchina, i due coniugi Abbey (Julia Anderson) e Cliff (Martin Donovan) litigano furiosamente. Quando stanno per fare pace, la donna si toglie la cintura di sicurezza per prendere qualcosa sul sedile posteriore. Pochi secondi dopo si scontrano con il tronco di un albero in mezzo alla carreggiata e finiscono fuori strada: lui non si fa nulla, lei finisce in coma completamente carbonizzata. Il marito decide di staccarle la spina, dichiarando falsamente di seguire le ultime volontà della moglie, ma non ha fatto i conti con l'animo vendicativo dell'amata che comincia a torturare tutti quelli che vorrebbero vederla morire.
Con il caso di una ragazza in bilico tra la vita e la morte, Rob Schmidt mette in piazza due opposte posizioni ideologiche sul testamento biologico. Da un lato la volontà di lasciare andare Abbey, seguendo i dettami della sua volontà da viva (che poi scopriremo essere diversa dalle affermazioni perniciose del marito), e dall'altra la concezione cattolica della vita (la frase "solamente Dio può decidere chi far morire" della madre di lei non potrebbe essere più chiara). Il laicismo è rappresentato da Cliff e dall'amico avvocato, la fede religiosa dalla suocera, intenzionata fermamente a difendere gli ultimi respiri della figlia. In mezzo si inseriscono le urla invadenti dei giornalisti di stampa e televisione che, nel giro di pochissimo tempo, trasformano il delicato tema dell'eutanasia e le implicazioni etiche che ne conseguono in un fatto di cronaca, dove l'obiettivo principale è soddisfare la curiosità morbosa del lettore/spettatore. Un dramma così delicato e complesso come la scelta tra mettere fine all'accanimento terapeutico e continuare a sperare in un risveglio non si riduce a due sole possibilità di radice opposta. In conto c'è l'affetto per la persona malata, il senso di colpa, la voglia di ridurre le sofferenze e l'ingrata speranza di aspettare un cenno di consapevolezza da parte di chi non può né sentire né vedere. Nel film di Schmidt non c'è nulla di tutto questo. Opportuno sarebbe stato trattare il tema da più punti di vista oppure eliminarlo completamente per non rischiare di banalizzarlo. Il regista invece si concentra proprio sul caso mediatico senza appuntargli niente, senza criticarlo o denigrarlo. E il risultato è una volgare semplificazione del caso che avremmo accettato se ci fosse stato almeno un accenno di ironia. Una mancanza che spedisce il film in esilio, nella terra delle pellicole 'da dimenticare'. Senza alcuna possibilità di ritorno.