Millennium

Film 1996 | Thriller

Una serie con Lance Henriksen, Megan Gallagher, Bill Smitrovich, Brittany Tiplady, Terry O'Quinn. Cast completo Genere Thriller - USA, 1996, Valutazione: 3 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Nel corso della sua carriera, l’agente dell’FBI Frank Black (Lance Henriksen) ne ha “viste” di tutti i colori. Specializzato in delitti seriali, ha sfoderato la lente d’ingrandimento sulle orme di serialkiller che non sempre uccidevano per il semplice gusto di farlo. Ha fiutato la loro scia per cercare una ragione prima che un volto, un movente prima che un’identità. Li ha pedinati, studiati, catalogati; li ha seguiti passo passo, cercando di prevenire le loro mosse. È entrato dentro di loro e loro in lui. Finché un giorno si è accorto di poter “vedere” nelle loro menti, di poter osservare i loro delitti, di poter “guardare” con i loro occhi. Piccoli frammenti visivi, piccoli pezzi sparsi di un puzzle da ricomporre, piccole prove da analizzare minuziosamente per tracciare una pista sulla quale avviare le indagini. Dieci anni in bilico tra una famiglia da amare e una “missione” da compiere; dieci anni tormentati, a struggersi e a chiedersi se valga la pena di mettere a repentaglio la vita dei propri cari per ascoltare la propria coscienza “veggente”. Infine la risposta, contenuta in una lettera anonima: una serie di polaroid raffiguranti la moglie Catherine (Megan Gallagher) e la piccola Jordan (Brittany Tiplady), di cinque anni. Una sottile minaccia che fa decidere il nostro a mollare tutto e a fuggire nella nativa Seattle, dove incontrerà di nuovo il tenente della squadra omicidi Bob Bletcher (Bill Smitrovich), collega di vecchia data. Ma anche qui, il suo passato e i suoi incubi reali non lo lasceranno dormire in pace. “Vedo le cose delle quali abbiamo più paura” – afferma Black – “vedo nelle loro menti. È il mio dono; è la mia condanna...”. “Non ci si può sedere e aspettare un finale di speranza”: con questo motto alcuni poliziotti si sono uniti in una sorta di organizzazione segreta per contrastare la lucida pazzia che anima una schiera di serialkiller che sembra trovare i moventi nella storia, nel passato, nelle radici dell’umanità. Folli “purificatori” che devono essere fermati e consegnati alla giustizia prima che la loro morale distorta dilaghi senza controllo. E tra i membri di questo gruppo noto con il nome di “Millennium” figura Frank Black, deciso a combattere chi attenta a un domani sereno, il futuro di Catherine e Jordy. Al suo fianco compare l’agente dell’FBI Peter Watts (Terry O’Quinn). Se in X-Files Chris Carter muoveva la coppia d’investigatori dell’impossibile tra alieni, fantasmi e cospirazioni del “terzo tipo”, in Millennium il protagonista cerca una luce di speranza tra le ombre di una società odierna e terribilmente terrena. Una verità peggiore di qualsiasi crimine. Indagini nel fango, sotto la pioggia, di notte; nel buio delle foreste, lungo i sentieri di parchi dimenticati, sulle rive di fiumi e laghi che rigettano vittime che non possono più nuotare: “più Black si allontanerà da casa sua”, spiega il direttore della fotografia Robert McLachlan, “dipinta di giallo per accentuare la solarità che vi regna tutt’attorno, più si troverà avvolto dalle tenebre e da coloro che difficilmente colpiscono alla luce del sole”. Gli unici squarci tra tanta oscurità saranno i flash della sua mente, capaci di riportarlo sulla retta via, quella in cui abitano persone insospettabili, molte volte più intelligenti del normale. Per loro uccidere è una missione, un’azione dettata da antiche profezie, da parole come “disciplina”, “rettitudine”, “ordine”. Sono personalità deviate ma che non affidano nulla al caso, che se lasciano tracce è per comunicare al mondo la loro intenzione, la loro strategia, la loro ragnatela, vittima dopo vittima. E forse, inconsciamente, per venir presi, per lanciare una sfida insieme a un grido nella notte. Nel corso delle stagioni, Catherine viene rapita e poi uccisa da un morbo che minaccia tutta l’umanità; Black si trasferisce in Virginia con Jordan e indaga al fianco della giovane agente dell’FBI Emma Hollis (Klea Scott), scoprendo le intenzioni non proprio benevoli del gruppo “Millennium”. Girato nei North Shore Studios di Vancouver, nel capannone di fianco a quello di X-Files, il serial ha goduto della più grande e costosa campagna pubblicitaria degli anni ’90: dieci milioni di dollari spesi in un battage “multimediale” che ha investito anche il telespettatore più distratto. Gli ascolti e la critica hanno premiato gli sforzi. La stampa ha accolto il debutto del telefilm con favore: se “People” ha sentenziato “di sicuro il miglior programma della stagione”, “Usa Today” gli ha risposto con “il serialthriller più coinvolgente del piccolo schermo”; se “Newsweek” l’ha buttata in politica apostrofandola come “la serie che Bob Dole non guarderà mai”, “Variety” ha individuato la ragione del successo in colui che è riuscito ad andare oltre X-Files: “l’unico uomo che poteva superare Carter era Carter stesso: con Millennium c’è riuscito”. Ad aggiungersi ai riconoscimenti c’è il People’s Choice Award (il premio assegnato ogni anno in America dal pubblico votante) quale “migliore serie drammatica del ’96”. Accusata da qualcuno di crudezza per via di certe situazioni e di talune immagini, la serie, destinata a un pubblico di maggiorenni, è stata ironicamente etichettata da “Newsweek” come “XXX-Files”. Ametà strada tra Seven, Il silenzio degli innocenti e L’occhio che uccide, un po’Thomas Harris un po’ Patricia Cornwell, Millennium supera qualsiasi omologazione per mettere in scena l’eterna lotta tra il Bene e il Male, per arrivare fino a dove osa solo il cinema. Coadiuvato dalla stessa équipe di X-Files (a James Wong e Glen Morgan quali produttori esecutivi si sono affiancati Michael Duggan e Chip Johannessen), Carter si è avvalso dell’esperienza di quattro ex agenti dell’FBI per imprimere maggior realismo alle investigazioni di Black. Le musiche sono di Mark Snow, che firma la sigla naïf con un tema antico e decadente eseguito da un violoncello. Barbara Bain illumina il telefilm con il suo cameo. Intriso di citazioni cinefile, condito di richiami letterari e dotti, recitato da un gruppo d’attori che esaltano al meglio la propria esperienza di caratteristi, il serialthriller è altresì un continuo e affascinante “gioco di sguardi”. Esemplare, in questo senso, la puntata-pilota: la prima vittima viene adescata in un peepshow (dove di solito si paga per guardare, dove si viene pagati per essere guardati); prima di colpire l’omicida chiude gli occhi e si lascia sfuggire una lacrima (il pianto prima del sangue, la pietà prima dell’espiazione); si scopre che l’uccisa si chiamava Calamity (calamita di occhi, calamità scatenante), che l’assassino è stato spiato da una telecamera (l’occhio meccanico quale simbolo di sicurezza), che Black è minacciato da un anonimo che gli invia polaroid raffiguranti la moglie e la figlia (l’occhio fotografico diventa voyeur come ne La finestra sul cortile), che alcune vittime sono state obbligate a non vedere. Senza contare poi le visioni del protagonista, filtrate da occhi che non sono i suoi... Alla fine, tra tante ombre, una luce in fondo al tunnel. E una certezza: non avere mai “visto” nulla di simile.

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