Anno | 1971 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Italia |
Regia di | Emilio Bruzzo |
Attori | Renzo Palmer, Lina Volonghi, Claudia Giannotti, Orso Maria Guerrini . |
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CONSIGLIATO N.D.
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Premiato a Cannes, Marty ha una singolare origine. È stato tratto da uno spettacolo televisivo americano, e trasferito sullo schermo, con gli opportuni sviluppi, da un produttore indipendente. Cosi lo spettacolo immaginato e allestito da Paddy Chayefsky è diventato il film diretto da Délbert Mann. Un film che si presenta con il segno di una rara semplicità, e con il merito di volerla sempre e tutta, servire con note di una schietta umanità. Siamo agli antipodi dello spettacolo per lo spettacolo; e siamo lontani dal romanzo costruito e stipato. Si tratta di una tranche de vie che ha le sfumature e le pause del bozzetto, in una continua e dimessa giustapposïzione di toni, che anche sotto le comuni parole d'ogni giorno vogliono far sentire un'altra vita, più calda; dolorosa, e segreta.
Marty è un garzone macellaio. Ha ormai trentaquattro anni, le sue sorelle e i suoi fratelli si sono da tempo sposati, tutti lo incitano a imitarli. Ma si sente brutto, goffo, massiccio, le ragazze non gli hanno dato che delusioni e dispiaceri, ogni volta ripiombandolo nella sua malinconica" solitudine. Potrebbe «rilevare» la bottega del padrone, avere un lavoro più redditizio, qualche iniziativa: ma a che pro? «Chi vuoi mai che si accorga, di questo brutto ciccione» urla, quasi disperato, a sua madre. Il tipo è vivo, esauriente, ben sostenuto da Ernest Borgnine; e si staglia sullo sfondo di giornate monotone, di desolate sere del sabato, di vuote domeniche. Fin quando Marty incontra Clara, una zitella di quasi trent'anni, non certo una bellezza. Sola, sfiorita, tenta di convincersi che per lei è tutto, l'essere insegnante; e invece non può non sentire palpiti e aneliti, e l'angoscia di una speranza che non sa più illudersi.
Il film consiste nell'inizio dell'idillio fra i due. Va da un sabato a una domenica sera, dalle prime vaghe intese a qualche accento più caldo, dagli inevitabili dubbi agli improvvisi sconforti; fin quando Marty si deciderà a fare una telefonata da Clara ansiosamente attesa; e sull'inizio di quella telefonata si concluderà il film, che s'inquadra a New York, nel quartiere di Bronx, in una famiglia di emigrati italiani. Può darsi che allo spettatore distratto tutto ciò appaia di un realismo persino trito; invece la psico logia di ciascun personaggio è semplice è scavata, qua e là con autentiche finezze; e gli ambienti, sono; di una verità indubitabile; esatta. Questo Marty, poi, dal testone un po' di rospo, o almeno di ranocchio, ben presto diventa commovente; e non lo è di meno quella che sarà la sua Clara (Betsy Blair), dalle labbra e dalle guance un po' stanche, vivida soltanto nello sguardo, che a poco a poco si ridesta nella fiducia, in sé, in Marty, nella vita. Una coppia che è la negazione del mito hollywoodiano di ogni sofisticata bellezza, ed è un ritorno a una umile vivente realta; con derivazioni evidenti da parecchi film italiani del dopoguerra, e con ritorni non meno evidenti a toni e impasti di un Fejos e di un primo Vidor, quello de La folla. (1955)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957
Premiato a Cannes, Marty ha una singolare origine. È stato tratto da uno spettacolo televisivo americano, e trasferito sullo schermo, con gli opportuni sviluppi, da un produttore indipendente. Cosi lo spettacolo immaginato e allestito da Paddy Chayefsky è diventato il film diretto da Délbert Mann. Un film che si presenta con il segno di una rara semplicità, e con il merito di volerla sempre e tutta, [...] Vai alla recensione »