Il veterinario

Smessi i panni del commissario Rocca, almeno per il momento, Gigi Proietti indossa quelli di un veterinario, nella miniserie televisiva prodotta dalla Solaris Cinematografica per RaiFiction.
Qui è Gigi Garulli, medico stimato ma malcapitato, che si ritrova a perdere il lavoro e l'agiata vita nella bella villa di famiglia, quando la fabbrica di mangimi per animali di proprietà di suo suocero, la Sgnak, finisce sotto accusa per una partita di bocconcini avariati. È così che l'innocente Garulli, addetto al controllo qualità, guadagna la galera; complice il fervore di una giornalista d'assalto (Olimpia alias Anna Galiena), in cerca di scoop. Suo malgrado detenuto e poi suo malgrado evaso -chiuso per errore nel furgone che trasporta la biancheria fuori dalle mura carcerarie- scopre presto di non poter tornare a casa e finisce letteralmente sotto un ponte, dove fa la conoscenza di due barboni che si riveleranno amici sinceri. Un altro caso fortuito lo porterà poi a riprendere in mano i ferri del mestiere per curare gli animali dei senzatetto e lo rimetterà in contatto con Olimpia, questa volta pronta a stare dalla sua parte per smascherare il vero colpevole delle truffe perpetrate dalla Sgnak.
Nata da un'idea dello stesso Proietti, desideroso di raccontare il mondo degli animali a chi ne sta dimenticando l'esistenza (sembra infatti che l'attore sia stato colpito dalla notizia che alcuni bambini svedesi, alla richiesta di disegnare dei pesci, li abbiano rappresentati come bastoncini Findus...), Il Veterinario si è arricchito in fase di sceneggiatura di una serie di sottotrame legate ai rapporti famigliari e agli scherzi della sorte. Proietti è il centro, unico e magnetico, di questo universo che racconta una storia drammatica in chiave di commedia, come poche volte la fiction televisiva ha scelto di fare, ignorando sistematicamente il precedente di qualità e di successo della cosiddetta commedia all'italiana.
Nella regia di José Maria Sanchez si sprecano i primi piani del protagonista, pungenti e simpatici nella gag, meno efficaci nell'adozione della maschera triste, come dimostrano le scene del carcere. Il plot è lineare, ma gli interpreti sanno scongiurare il rischio di superficialità e la massima accusa che si può muovere all'opera è una visione un po' bonaria ed edulcorata della vita dei barboni, funzionale però alla lezione morale che Gigi deve impartire al figlio diciassettenne, pericolosamente tentato da reazioni di rifiuto e intolleranza.
Pur riconoscendo al Veterinario il pregio di un tono educato e sensibile, lo spettatore esigente è costretto ad ammettere che questo non basta: un racconto meno prevedibile e una sceneggiatura più sofisticata ne avrebbero fatto un prodotto più incisivo e interessante, meno votato al rapido oblio. 