Les statues meureunt aussi

Film 1953 | Cortometraggio 30 min.

Anno1953
GenereCortometraggio
ProduzioneFrancia
Durata30 minuti
Regia diAlain Resnais
MYmonetro Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione.

Regia di Alain Resnais. Un film Genere Cortometraggio - Francia, 1953, durata 30 minuti. Valutazione: 3 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Recensione di Flavio Vergerio
Recensione di Flavio Vergerio

Il film appare diviso in due parti stilisticamente diverse, ma complementari: la prima parte è evocativa, poetica, la seconda più "dimostrativa" e fondata su materiali cinematografici preesistenti. Nella prima parte gli autori sembrano voler resuscitare dalla polvere della storia, dell'abbandono e del "museo" una lunga serie di oggetti e prodotti d'arte (soprattutto statue, ma anche idoli, maschere, utensili, tessuti, decorazioni) mostrandone però la loro collocazione indeterminata, al di fuori del tempo e dello spazio; soprattutto sganciati dal contesto sociale che li aveva prodotti e inutili rispetto all'uso pratico cui erano destinati in origine, si trattasse di oggetti rituali o di strumenti di lavoro. L'ambiguità, l'impossibilità di identificare il significato e l'origine sociale dei prodotti artistici è sottolineata dalla musica dissonante, fatta di accensioni improvvise di tamburi, di zufoli che riprendono melodie lontane, di lancinanti note acute. I volti delle statue vengono illuminati improvvisamente, come se comunicassero un ultimo palpito di vita. La macchina da presa si avvicina ad essi, quasi a tentare di scoprire l'impossibile soluzione di un mistero. Anche il testo del "commentaire" di Chris Marker insiste poeticamente sull'impossibilità di decifrare appieno i segni di «un'unità perduta in cui l'arte era la garante di un accordo fra il mondo e l'uomo», ma al tempo stessa riconosce nell'attività dell'artista negro il gesto che imita la creazione lirica. Il film presenta nella prima parte anche il tema della capacità dell'arte negra di catturare le immagini della morte nei riti magici, rappresentandola nelle sue metamorfosi mitiche, rappacificandola. La morte abita in un vuoto paese in cui si va "perdendo la memoria". Il rapporto dell'arte negra con l'organizzazione sociale di cui era riflesso viene mostrato con brevi commoventi brani di un documentario di François Villiers, L'amitié noire, che presentano la bellezza del corpo e del gesto dell'uomo africano.
La seconda parte costruisce un rapporto dialettico e tambureggiante fra diversi brani di cinegiornali e documentari e un commento decisamente polemico e di denuncia della colonizzazione commerciale e culturale attuata da parte del mondo dei "bianchi", pur non rinunciando ad una "qualità" poetica sempre notevole. La perdita di identità dell'uomo negro viene fatta derivare dall'assimilazione ai modelli occidentali: «tra il paradiso cristiano e l'immortalità laica, il culto degli antenati si impoverisce...»; l'Africa diviene un laboratorio in cui si fabbrica l'immagine del buon negro sognato dall'uomo bianco.
Così la funzione rituale dell'arte africana viene perduta: viene assunta la regola della rassomiglianza, il simbolismo e l'autonomia del linguaggio delle forme artistiche perdono il loro significato. Il film non teme di assumere i toni del pamphlet quando denuncia le responsabilità delle scelte politiche: si ripete il gesto di ossequio dei negri di fronte ai grandi uomini di governo europei (fra i quali si riconosce persino Mitterand in visita all'Africa Orientale Francese): la Chiesa tenta la fondazione dell'arte negro-cristiana, espropriando e mutando di significato le forme originarie dell'arte africana.
L'ultima parte esplorai diversi modi con cui i negri, «mutilati della loro cultura e senza contatti con la nostra»,vengono sfruttati e alienati dalla nostra organizzazione socio-economica e i diversi modi diretti e indiretti della loro reazione. Dallo sport, al jazz, alla danza il negro riesprime la stessa volontà, che era quella della sua arte originaria, di capire e di cogliere il mondo.

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