Nel nome del padre [1]

Film 1972 | Commedia 109 min.

Regia di Marco Bellocchio. Un film con Laura Betti, Lou Castel, Yves Beneyton, Piero Vida, Vittorio Fanfoni, Edoardo Torricella. Cast completo Genere Commedia - Italia, Francia, 1972, durata 109 minuti. - MYmonetro 3,28 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 17 maggio 2018

Alla fine degli anni Cinquanta, un giovane di ricca famiglia emiliana viene mandato in collegio dai preti.

Consigliato sì!
3,28/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,06
CONSIGLIATO SÌ
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Cinema
Trailer
Director's Cut "breve" del capolavoro più immaginifico e sanguigno di Bellocchio.
Recensione di Edoardo Becattini
Recensione di Edoardo Becattini

Spedito in collegio da un padre che non sopporta la sua insubordinazione, il giovane Angelo Transeunti si ritrova in un freddo ambiente popolato di studenti indisciplinati ma timorati di Dio, sacerdoti rigorosi e convittori trattati come schiavi. La sua innata indisposizione a regole e istituzioni inizia a diffondersi come un male all'interno delle mura ecclesiastiche: i ragazzi cominciano a deridere le lezioni e a ribellarsi alla disciplina imposta del vicerettore Padre Corazza, mentre i convittori decidono di non soccombere a un'oppressione mascherata da carità cristiana e organizzano uno sciopero. Per infondere nuovi dubbi e timori anche nelle più giovani coscienze, Transeunti e altri ragazzi mettono in scena una versione "brechtiana" del Faust, in cui fra irrisione e anticlericalismo, sconvolgono definitivamente le coscienze di tutti gli abitanti del collegio.
Sulle ceneri del Sessantotto, Marco Bellocchio eleva il tumulto culturale e politico giovanile di quegli anni in un impeto immaginifico e sanguigno. Nel nome del padre è l'opera che più di ogni altra è riuscita a portare quello spirito ribelle e acerbo al suo apice visionario e, contemporaneamente, al suo scacco definitivo, all'impossibilità di farsi azione politica efficace.
Dopo aver sviscerato il nero malessere della famiglia borghese (I pugni in tasca) e l'ottuso trasformismo della politica (La Cina è vicina), al terzo lungometraggio Bellocchio sfoga la propria insofferenza nei confronti delle istituzioni "quiete e repressive" verso l'educazione cattolica. Ambienta il suo racconto nel '58 non solo per ragioni autobiografiche, ma anche perché è l'anno simbolico in cui muore Pio XII, il papa accusato di indulgenza durante la Shoah. Morte simbolica che risveglia nel regista piacentino tutto lo spirito ribelle di una gioventù intrisa di valori inculcati, capace di fuoriuscire in un grido estraniante e allucinato, potente e visionario.
Nel nome del padre è una parabola ancor prima di una storia, un apologo che ha inizio fin dalla prima sequenza (un sonoro scambio di schiaffi fra padre e figlio) e che deflagra immagine dopo immagine in una sfida all'acquiescenza morale e al cinema istituzionale, uno schiaffo e uno sputo al "cinéma du papa". Ogni inquadratura sembra fuoriuscire da un quadro della pittura rinascimentale tedesca e configurarsi come un'Allegoria di Dürer: un collegio che sembra un manicomio diviso per classi sociali; figure grottesche dal nome emblematico (Corazza, Diotaiuti, Salvatore); un giovane borghese che cammina a testa alta e coi pugni in tasca e che istiga alla rivoluzione. Bellocchio trasfigura figure e icone della cultura cattolica attraverso l'impeto della cultura tedesca moderna, presente a più riprese sotto varie figurazioni (da Goethe a Nietzsche, da Brecht all'iconografia nazista), e dall'accostamento costruisce un progetto politico aggressivo (ogni istituzione - cattolica, scolastica, familiare - è un fascismo, una superstizione basata sulla paura), ma fallimentare, destinato a fare della "lezione" di Transeunti una rivoluzione per folli.
Il fatto poi che Bellocchio abbia deciso di riprendere in mano a quarant'anni di distanza proprio questo film è un ulteriore riprova di questa vittoria dell'immagine contro la disillusione politica. In questo anomalo "director's cut", accorciato di una quindicina di minuti rispetto alla versione del 1971, è come se la ricchezza passionale della gioventù incontrasse la sottile saggezza della maturità artistica. Come se l'incisiva espressività del film si rinnovasse in un intreccio di violenza e disillusione, passione ribelle e lucida razionalità.

Sei d'accordo con Edoardo Becattini?

Alla fine degli anni Cinquanta, un giovane di ricca famiglia emiliana viene mandato in collegio dai preti. Fiero mascalzone, paranoico, imbevuto di teorie naziste mette a soqquadro la scuola provocando scandali, disordini e l'allontanamento di alcuni insegnanti. Alla fine dell'anno però il suo potere cadrà a pezzi. Verrà cacciato dal collegio.


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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
domenica 3 ottobre 2010
weachilluminati

Un film complesso dove la regia utilizza in maniera  pervadente   un intreccio  allegorico e simbolico  da decifrare; due piani di comunicazione ,uno apparente ,uno implicito. Nello sviluppo di tutto si inserisce anche la vita vissuta di Bellocchio che ha avuto una esperienza in  collegio presso i Salesiani che ha inciso profondamente sui suoi convincimenti di sicura [...] Vai alla recensione »

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