Anno | 2023 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Italia |
Durata | 89 minuti |
Al cinema | 32 sale cinematografiche |
Regia di | Andrea Baroni |
Attori | Grace Ambrose, Francesca Carrain, Luigi Di Fiore, Paola Sambo, Valentina Filippeschi Simone Guarany, Silvia D'Amico. |
Uscita | giovedì 27 giugno 2024 |
Distribuzione | Fandango |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento martedì 25 giugno 2024
Tre sorelle crescono in un mondo chiuso, educate dalla nonna e del padre al rispetto della religione e al soffocamento del desiderio.
CONSIGLIATO NÌ
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Tre giovani sorelle, le adolescenti Sara ed Ester e la più piccola Miriam, vivono in un casolare di campagna con il padre Armando e la nonna Paolina. Soggiogate da un oscurantismo religioso che affida al Vecchio Testamento ogni aspetto della loro educazione, le tre ragazze sono state abituate fin dalla nascita a soffocare ogni istinto. Il padre ha inculcato in loro il rispetto per l'autorità e il lavoro della terra, mentre la nonna le tiene sotto controllo con vessanti obblighi di penitenza e confessione. Ma cosa succederà a Sara, Ester e Miriam quando nel casolare arriverà un altro nipote, il maturo e silenzioso Primo?
Stretto tra il modello narrativo del cinema di Shyamalan e quello visivo dei primi lavori di Pallaoro (Medeas) o del Salvatores di Io non ho paura, l'esordio di Baroni indaga il percorso di crescita di tre giovani donne opponendo alla cattività dello spirito la liberazione della carne.
Sara, Ester e Miriam sono i frutti diversi di una medesima pianta, come del resto ricorda più volte il film stesso, mostrando i dettagli di fichi maturi avidamente mangiati... La prima, la maggiore, è rispettosa dei dettami religiosi, quasi una mistica, rigida perché spaventata; la seconda, invece, è ribelle e passionale, ascolta alla radio musica leggera (canzoni anni '60 e '70, Patti Pravo e Dalida, unici elementi con i costumi a spezzare l'atemporalità dell'ambientazione) e soprattutto sogna di innamorarsi di cavalieri che la portano fuori dalla valle (il limite estremo dello spazio loro consentito); infine la più piccolina, innocente e plasmabile, e usata dal potere manipolatore dei due capifamiglia... Uguali ma diverse, dunque, e per questo pericolose.
L'assenza attorno a cui ruota la vita delle tre sorelle è ovviamente quella della madre, che si vede nella prima sequenza (interpretata da Silvia D'Amico) coinvolta in un rituale di cui si capirà la natura solamente alla fine. La famiglia sfasata, dove la nonna si è sostituita alla nuora in una relazione quasi incestuosa col figlio, diventa la metafora di un rapporto malato prima di tutto con la religione, presa alla lettera nei passi della Bibbia citati, ma mai veramente capita. Soprattutto, la Bibbia è all'origine dell'altra sostituzione messa in atto dal racconto, e cioè quella del corpo con la parola, con quest'ultima che cerca di cancellare gli impulsi della carne e scatena inevitabilmente una tragedia.
La rottura dell'equilibrio passa per la classica figura melodrammatica dell'intruder, il cugino disperato e rozzo (interpretato da Simone Guarany) che ha una funzione puramente drammaturgica, senza voce o personalità, ma valido solo - e per l'appunto - per il suo corpo. Un corpo da ammirare, sognare, possedere, come le tre sorelle a loro modo faranno.
L'evidente metaforizzazione di ogni passaggio è il limite principale di Amen, che sceglie di restare chiuso in uno spazio definito e in un tempo incerto e vi fa muovere i personaggi come vittime di un sistema che priva della libertà e della volontà. Se la cosa può avere un senso nella logica oscurantista del contesto che mette in scena, ne ha meno nel momento in cui l'evidente trama simbolica - percorsa da frequenti riferimenti alla sporcizia della terra, alla fatica del lavoro e al dolore della fede, come se non ci fosse altro linguaggio per la religione - procede in modo leggibile e interpretabile, sia nella scelta di introdurre la figura dello straniero che redime e distrugge, sia nel condannare e insieme elevare le tre sorelle, colpevoli innocenti come moderne Ofelie (da cui il rimando a un celebre quadro di Dante Gabriel Rossetti nel finale). Il rituale che lega almeno due di loro al destino della madre si consuma del resto nell'acqua, con un ribaltamento ancora una volta simbolico fra materia e spirito, durezza e fluidità.
È però visivamente che Amen risulta pedante e didascalico, laddove la solita produzione curata e un po' mielosa della Fandango si accompagna una recitazione impostata, in particolare di Paola Sambo e Luigi Di Fiore, rispettivamente la nonna e il padre. Grace Ambrose, Francesca Carrain e Valentina Filippeschi sono invece le sorelle amiche e nemiche, lasciate libere di esprimersi della regia dell'esordiente Baroni, ma ancora troppo acerbe per reggere interamente un film.
Sin dal titolo di questo primo lungometraggio per la regia di Andrea Baroni, lo spettatore s'aspetta un'opera che lo coinvolga spiritualmente. E certamente ciò accade, anche se il trasporto interiore avviene in una forma che potrebbe essere individuata con la seguente espressione: "con la giusta distanza". Oggettivata insomma. Nel senso che la storia che questo film ci narra sembra presentarci più [...] Vai alla recensione »