Anno | 2022 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia, USA |
Durata | 97 minuti |
Regia di | Sébastien Lifshitz |
Tag | Da vedere 2022 |
MYmonetro | 3,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 3 settembre 2022
Due donne raccontano gli arbori della trans-identità nell'America degli anni '50 e '60.
CONSIGLIATO SÌ
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Tra gli anni '50 e '60, in una residenza privata sui monti Catskills, nello Stato di New York, trovarono un posto segreto e riservato decine di donne transgender e uomini crossdressers, cioè con la passione per l'indossare abiti femminili. In quegli anni travestirsi era illegale, così come dichiarare la propria omosessualità, e tali incontri poterono avvenire solo tramite annunci personali pubblicati dalla rivista di nicchia "Transvestia". Battezzato "Casa Susanna" dal soprannome di uno dei suoi due promotori en travesti (Tito, detto Susanna, compagno di Maria, liberale parrucchiera di origini italiane), quel piacevole resort, teatro di incontri e anche spettacoli di female impersonators, in seguito chiuso, è richiamato alla memoria dalle testimonianze di due degli originali partecipanti a quelle riunioni e da familiari di frequentatori della casa.
Procedendo nel solco tracciato dal bellissimo e inusitato Les invisibles (2012), preziosa ricognizione nella clandestinità e nell'isolamento degli omosessuali francesi anziani (e dopo essersi avvicinato nel 2004 al mondo transgender con Wild Side), Sébastien Lifshitz aggiunge un nuovo capitolo alla sua opera di storiografia della comunità LGBTQ+, ovviamente molto prima che le distinzioni operate da questo acronimo fossero chiaramente espresse e chiare.
Come in Les Invisibles, anche Casa Susanna - presentato come Evento speciale alla Giornate degli Autori 2022 - è costruito da interviste inedite; qui a fare la differenza è un solido, raro, strabiliante patrimonio di immagini private, proveniente dal libro fotografico omonimo pubblicato da Powerhouse, e dagli home movies delle persone intervistate. Scatti a colori, non destinati alla circolazione, che ritraggono uomini truccati e acconciati come la perfetta moglie statunitense di quell'era, tra trucco pesante, chiome gonfie, twin set e tacchi, vestaglie da camera, mises da sera, borsette e guanti. Rigorosamente in posa, sia in interni davanti a un divano che nella natura, a fianco di un'auto.
In quel paesaggio tuttora rilassante e dai colori rigeneranti, il regista fa tornare e incontrare due testimoni dirette di Casa Susanna, che si sono conosciute nel 1962: Katherine Cummings, pioniera australiana nella transizione di genere, attivista e accademica, scomparsa a 87 anni a gennaio 2022, alla quale il film è dedicato, e Diana Merry-Shapiro, programmatrice informatica per la Xerox, tra le prime a sottoporsi a transizione sulla scia di Christine Jorgensen, per convenzione considerata (più che altro sul piano mediatico) la prima "operata" statunitense.
Alle loro si alternano le voci, coinvolte in secondo grado, di Elizabeth "Betsy" Wollheim, figlia dello scrittore di fantascienza Donald A. Wollheim, autore di "A Year Among the Girls" (nel 1966 sotto lo pseudonimo di Darrel G. Raynor) che, da adulta, Betsy scopre essere stato tra i frequentatori più assidui del gruppo. E quella del nipote di Maria, cofondatrice con Tito di Casa Susanna, ai tempi bambino ma non abbastanza piccolo per non ricordare di aver spiato quelle figure bizzarre ed eleganti radunate a casa della nonna.
Ai filmati familiari in pellicola si aggiungono le immagini della New York coeva, tratte anche da 3rd Ave, El di Carson Davidson e Daybreak Express di D.A. Pennebaker, mentre nel girato recente Lifshitz lascia alle sue protagoniste anziane tutto il tempo necessario per ricordare esperienze lontane, non rinunciando a una loro parola, forse un po' a discapito del ritmo. È una lezione di storia commovente rivivere attraverso i racconti e le reazioni di Katherine e Diana l'atmosfera di oppressione e terrore vissuta dalle persone queer come loro in quegli anni di conformismo e ignoranza della materia.
Prendere atto delle loro esistenze coraggiose e terribilmente solitarie (suggerite da But Not for Me di Gershwin) in un clima di aperta ostilità sociale, in mancanza assoluta di punti di riferimento, il rischio di finire in carcere o di subire elettrochoc, quando non ricattate o estromesse con violenza e vergogna dal sistema. Ma è anche toccante apprendere dalle manifestazioni di comprensione delle mogli, pronte ad assecondare per il travestimento dei mariti come una passione transitoria, un hobby stravagante. Quando invece ogni frammento del film ribadisce come un taglio di capelli, un abito, e ognuno di quei weekend "protetti" abbia rappresentato un passo verso la costruzione di molte identità.