Anno | 2021 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 70 minuti |
Regia di | Massimo D'Orzi |
Uscita | martedì 1 febbraio 2022 |
Tag | Da vedere 2021 |
Distribuzione | Cinecittà Luce |
MYmonetro | 2,50 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 1 febbraio 2022
Religioni, donne... e assassini nella Bosnia di ieri e di oggi. In Italia al Box Office Bosnia Express ha incassato 15,6 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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Da Trieste si parte, via acqua, per la Bosnia Erzegovina, verso Sarajevo, e poi Srebrenica, Tuzla, Stolac, Mostar, fino a Medjugorie. In questi luoghi intrisi di storia, all'incrocio tra religioni ben radicate e nazionalismi sempre accesi, in un impasto di lingue, si dipana un itinerario lento, non lineare. Rapsodico e diseguale come può essere la ricognizione di uno straniero in un ex teatro di guerra. Inevitabilmente incompleta, che eppure tenta di catturare l'imprendibile: le molteplici cause dello scoppio di un conflitto cruento che ha sbriciolato generazioni e sancito lacerazioni invisibili, non per questo più sanabili. E le sue conseguenze, attraversando un Paese, spesso contemplandolo dai finestrini di un treno a bassa velocità. Ci si prende il tempo di soste dovute e svolte impreviste, in ascolto dei luoghi, che siano fabbriche abbandonate, abitazioni private, cimiteri, quartieri, luoghi di culto: una casa di Sarajevo che è stata quartier generale per i reporter da tutto il mondo, una moschea dove due amiche si confrontano sul futuro, le voci di intellettuali, esponenti religiosi e militari, ma soprattutto artisti: dei "non famosi" che attraverso la musica, il canto, il balletto, il teatro, cercano una catarsi da un passato, ancora troppo vicino, di morte e violenza cieca.
Liberamente tratto dal libro omonimo di Luca Leone (Infinito edizioni, 2010) e terzo atto di un'ideale trilogia inaugurata da Adisa o la storia dei mille anni (2004) e proseguita con Sàmara (2009), Bosnia Express di Massimo D'Orzi attinge a codici e linguaggi eterogenei e un montaggio che insegue più piani, procedendo per movimenti asimmetrici.
Una voce fuori campo, a momenti eccessivamente enfatica, introduce e accompagna il viaggio con un prologo favolistico; una cornice, messa in scena, vede due giovani donne silenti, circondate da ritagli di articoli di giornali italiani; alcuni cinegiornali italiani in pellicola documentano la fragile convivenza di Oriente e Occidente e i passaggi epocali, come la dittatura e morte di Josip Tito, di cui D'orzi riprende il tunnel segreto e centrale di spionaggio, scoperto di recente e attuale meta di visite guidate; alcuni concisi interventi di informati osservatori di guerra; rapidi inserti di insostenibili immagini sul campo (tra cui il famigerato generale Ratko Mladic).
L'obiettivo non è l'inchiesta giornalistica, che presto denuncia il proprio autosabotaggio, semmai la deviazione come metodo, la ricerca di momenti lirici, sospesi, che con la loro astrazione colgano l'indicibile, scartando il reportage accorato, il documento classicamente inteso, a favore di un approccio più liberamente sensoriale.
Tra questi segmenti lo sguardo della macchina digitale intercetta paesaggi carichi di fatalità, come le domande che prendono vita dal ponte di Mostar (fulcro narrativo anche di I tuffatori di Daniele Babbo). La chiave che il film sceglie è rileggere la guerra attraverso l'impatto che ha avuto e ha sulle donne, che infatti costellano il tragitto, da un coro locale fino al gruppo che sale a piedi nudi verso il santuario cattolico.
Si esplicita man mano la precisione del progetto politico del loro annientamento, e in conseguenza di questo, dell'intera società libera. Al posto delle testimonianze delle superstiti il film inanella canti, sguardi, passaggi creativi di saperi, nelle aule di una scuola come in un'accademia di danza, in una lezione al conservatorio o in una sala prove. La vita che lentamente ma con decisione si riprende il proprio spazio, sempre all'erta per la minaccia del Baba Roga, la creatura soprannaturale e terrificante delle leggende baltiche, "il mostro che si nasconde nelle pieghe della Storia".
La calda ed accogliente voce del prologo, raccontando una legenda popolare, dà il benvenuto in un Paese altrettanto accogliente, ospitale e, a sua volta intessuto di leggende di varie origini. Questa voce “a momenti eccessivamente enfatica”, come dice Raffaella Giancristofaro, è tale, a mio avviso, per rispecchiare l’eccessiva enfasi dei cittadini di Bosnia ed Erzegovina nell’accogliere un ospite, [...] Vai alla recensione »
Film stucchevolmente "poetico", non all'altezza di rispondere a nessuno dei quesiti che si propone di indagare. 70 minuti sprecati.
Questo non è un commento, questo è un opera d'arte. Grazie Azra. Non ho visto il film, ma dopo aver letto la tua accurata recensione, lo voglio assolutamente vedere!
Una ferita ancora aperta è una fenditura dentro la quale si annidano nel tempo i mali. Solo la vita può richiuderne i lembi e lasciare con il suo filo di cesura traccia che diventa cicatrice. È così per la guerra, o le guerre, dovremmo dire, dell'ex Jugoslavia. Massimo D'Orzi riflette, con il suo viaggio di ritorno nei luoghi più martoriati da quella ferita ancora, giustamente non rimarginata, per [...] Vai alla recensione »
Sarajevo, Srebrenica, Mostar, Medugorje. Il "diario di bordo" di Massimo d'Orzi attraversa da parte a parte la Bosnia d'oggi. L'obiettivo, indagare il ruolo delle religioni nel conflitto degli anni 90. D'Orzi è onesto, ammette il fallimento: il compito è fuori portata, se ne rende subito conto, e d'altronde per portarlo a termine non basterebbe un'intera squadra di storici e sociologi.
La memoria del conflitto che negli anni '90 ha insanguinato la Bosnia, con tutti gli antecedenti storici, antropologici e politico-religiosi atti a spiegarne in qualche modo l'origine, è un mosaico in perpetuo divenire. Ogni tessera che si aggiunge amplia le prospettive, modifica la percezione di fondo, rende mestamente omaggio alle vittime, senza però mai dissipare per intero quella foschia che sembra [...] Vai alla recensione »