Titolo originale | Zeby nie bylo sladów |
Anno | 2021 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Polonia, Francia, Repubblica ceca |
Durata | 160 minuti |
Regia di | Jan P. Matuszynski |
Attori | Tomasz Kot, Agnieszka Grochowska, Robert Wieckiewicz, Tomasz Zitek, Aleksandra Konieczna Jacek Braciak, Sandra Korzeniak, Adam Bobik, Jacek Grygorowicz, Sebastian Pawlak. |
Tag | Da vedere 2021 |
MYmonetro | 3,03 su 10 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 9 settembre 2021
Un uomo muore per i maltrattamenti della polizia. La madre e un testimone si batteranno per ottenere giustizia.
CONSIGLIATO SÌ
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1983. Polonia. Grzegorz Przemyk è uno studente del liceo figlio di una nota poetessa. Per un eccesso di esuberanza adolescenziale viene arrestato e picchiato brutalmente dalla polizia. Morirà due giorni dopo in ospedale. Jurek Popiel è un amico che è stato fermato insieme a lui ed è stato testimone dell'accaduto. In seguito alla partecipazione di massa al funerale, si troverà al centro dell'attenzione dei membri del potere che pretenderanno che taccia su quanto ha visto accadere.
Jan P. Matuszynski non era ancora nato quando accadevano i fatti che, seppur con la necessaria elasticità di adattamento, porta ora sullo schermo. Così come non era nato quando, tra gli anni '70 e gli '80, Costa-Gavras girava Z. L'orgia del potere, La confessione e Missing.
Sembra però conoscere bene quei film o averne comunque assorbito lo stile per misteriosa osmosi perché sa come mostrare le macchinazioni del Potere mantenendo un ritmo e una tensione che impediscono a chi guarda di perdere dei passaggi. Sa cioè portare sullo schermo la vicenda che scosse l'opinione pubblica in quegli anni in cui il movimento Solidarnosc acquisiva una sempre più estesa adesione popolare e la legge marziale imponeva le sue restrizioni.
Lo fa con adesione e con attenzione a tutte le strategie messe in atto dal regime comunista per occultare la verità e conculcare le testimonianze non gradite. A tratti sembra di trovarsi di fronte ad una struttura kafkiana senza che però venga esercitata la necessaria strategia prevaricante quanto piuttosto un'ottusa ricerca della distorsione dei fatti.
È sempre importante che il cinema si impegni a far conoscere a generazioni che forse non ne sono a conoscenza eventi che hanno segnato la storia di un Paese. Visto dall'esterno quindi, questo è un film interessante, ma non ci si può esimere dal porsi un quesito sulla sua funzione all'interno della Polonia odierna.
Al governo c'è una coalizione di segno totalmente opposto a quella che governava all'epoca la quale però non si fa scrupolo di compromettere l'indipendenza della magistratura nonché di influire sui media (è Amnesty International a documentarlo). I suoi membri potrebbero utilizzare questo film trasformandolo in quello che non è e cioè un'opera non di testimonianza ma di propaganda. Cercando di far dimenticare che i metodi attuali, ammantati di 'democrazia', non sono poi tanto diversi da quelli di allora.
Irritante, se non fossi stata in sala grande me ne sarei andata. Benissimo la denuncia delle violazioni della libertà nella Polonia degli anni '80, ma il regista sembra ignorare che la Polonia di oggi non è certo un modello di democrazia. Per non parlare dell'esaltazione di Solidarnosc, fra preti e poetesse. L'unico bel personaggio è l'infermiere, mite e onesto.
È con grande curiosità che mi sono avvicinato a questa opera seconda, forte del ricordo del debutto del regista Jan P. Matuszynski, quel Last Family (Ostatnia rodzina) che rivoltava l'ipotesi di biopic di Zdzislaw Beksinski - pittore surrealista polacco della seconda metà del secolo scorso -, scansandone l'agiografia o il pedante bignamino, per descrivere del personaggio una dimensione bassamente quotidiana [...] Vai alla recensione »
Il caso della morte violenta di Grzegorz Przemyk, nel 1983, scosse l'Europa al punto tale da essere ricordato ancora oggi dai testimoni d'epoca, e l'eco del fattaccio anche da chi non era ancora presente. Pierangelo Bertoli dedicò all'avvenimento il pezzo Varsavia, contenuto nell'album Dalla finestra dell'anno successivo, e un ragazzo polacco nato proprio nel 1984, il regista polacco Jan P.
Nella Polonia comunista del 1983 uno studente viene picchiato a morte dalla milizia. Il regime schiera la sua macchina dittatoriale - servizi segreti, tribunali, media - per screditare l'unico testimone oculare del pestaggio. Dopo il celebrato debutto The Last Family (2016), Jan P. Matuszynski torna con un'opera seconda che rivela uno sguardo registico già pienamente maturo.
I casi di maltrattamento di giovani e meno giovani cittadini da parte della polizia non sono certo una novità o una cosa rara, e anche il caso di George Floyd, tra gli altri, ha giustamente scosso l'opinione pubblica mondiale e riportato alla ribalta simili scandali. Anche in Italia, giusto per nominare solo il più noto episodio recente, la triste vicenda di Stefano Cucchi ha sollevato indignazione [...] Vai alla recensione »
Va meglio con l'altro film in Concorso. "Leave no traces" del polacco Jan Matuszynski ci conduce nella Varsavia sovietica del 1983, quando due giovani studenti vengono brutalmente arrestati, mentre innocuamente si divertono in piazza e ferocemente malmenati in questura. Uno muore in poche ore, l'altro rischia la galera, al pari dei due sfortunati infermieri accorsi con l'ambulanza.
Fu nell'epoca di Solidarno che la Polonia riscoprì il diritto alla libertà di parola e di opinione, una stagione felice che ebbe anche i suoi risvolti inattesi e non tutti positivi. Qualcosa in quella rivoluzione evidentemente non ebbe a funzionare perfettamente attesa l'odierna situazione politica di quel Paese. In quel lungo cammino verso una libertà da conquistarsi metro per metro - anche con [...] Vai alla recensione »
Il cinema civile esiste ancora e ha la forma di eby nie byo ladów (Leave No Traces), che del nobile filone è esempio sì tradizionale ma incredibilmente solido, capace di tenere alta l'attenzione dello spettatore per due ore e quaranta grazie a una narrazione serrata e coinvolgente. All'opera seconda, Jan P. Matuszyski, nato nel 1984, ricostruisce (a partire dal libro di Cezary azarewicz) un delitto [...] Vai alla recensione »
Giugno 1983. La morte, a diciannove anni, di Grzegorz Przemyk (Mateusz Górski), figlio della poetessa e attivista Barbara Sadowska (Sandra Korzeniak), ucciso a calci nello stomaco da membri della milizia civica, magari a noi dice poco, ma è una data spartiacque per la storia recente della Polonia: il paese proprio in quel momento stava uscendo da un biennio di applicazione della legge marziale, e vedeva [...] Vai alla recensione »
C'è una canzone di Pierangelo Bertoli intitolata "Varsavia". Dice un verso: "Hanno ucciso un ragazzo di vent'anni / l'hanno ucciso per rabbia o per paura / perché aveva negli occhi quell'aria sincera / perché era una forza futura". Quel ragazzo si chiamava Grzergorz Przemyk, venne picchiato a morte dalla Milizia civica polacca il 12 maggio del 1983, durante il regime comunista.