Anno | 2021 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Sandrine Kiberlain |
Attori | India Hair, Rebecca Marder, Lucie Gallo, André Marcon, Anthony Bajon Ben Attal. |
MYmonetro | 3,75 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 4 aprile 2022
Una giovane ragazza ebrea a Parigi ancora non sa che sta per accadere qualcosa che segnerà per sempre la sua vita. Il film è stato premiato a Torino Film Festival, ha ottenuto 1 candidatura a Cesar, ha ottenuto 1 candidatura a Lumiere Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Nella Parigi occupa del 1942, in piena estate, la diciannovenne Irène, figlia di genitori ebrei, sorella minore di Igor, frequenta il conservatorio d'arte drammatica e preparare con il compagno di studi Jo una scena da una pièce di Malraux per l'esame finale. Attorno a lei la vita per gli ebrei comincia a essere difficile, tra obblighi e divieti, ma Irene pare non accorgersi di nulla, decisa a recitare, crescere, imparare; anche ad amare, dopo l'incontro con Jacques, giovane medico che ricambia la sua passione. Dopo la misteriosa sparizione di Jo, Irene trova comunque il modo di presentarsi all'esame, ma per lei il futuro è segnato da una tragedia pronta a incombere.
Per l'esordio alla regia, l'attrice Sandrine Kiberlain (in sala in questi giorni con Un altro mondo di Stephane Brizé) ha preso ispirazione dal Diario di Anna Frank e da una vicenda che coinvolse la nonna durante l'occupazione nazista.
In Une jeune fille qui va bien la grande Storia resta ai margini del quadro, occupato per intero dalla figura snella e innocente di Irène, interpretata da Rebecca Marder. Una scelta dettata da ragioni produttive, viste le ridotte dimensioni del budget, dalla quale emerge anche la volontà della regista di affrontare un contesto ampiamente affrontato da un'angolazione laterale e intimista: l'innocenza di Irène, l'entusiasmo a volte sin eccessivo per la vita, offusca le tragedie del suo tempo, prima di esserne travolto. Ciò che il film racconta è lo spazio di un'estate, un intervallo prima che tutto precipiti. Dal corpo che cade per finta di Irène nelle prove teatrali al corpo dell'uomo vestito di nero che nel finale si erge alle sue spalle (la Gestapo?), la protagonista passa dalla finzione del testo alla realtà del conflitto senza accorgersi quasi di nulla, o meglio dando sempre la precedenza alle sue brucianti passioni. Gli occhiali che a un certo punto è costretta a indossare (dopo aver finto problemi alla vista per avvicinare Jacques...) ribaltano in modo fin troppo esplicito il suo punto di vista: le lenti le sfocano la vista di Irène, trasformano la scritta "ebreo" che campeggia nel documento d'identità in una a macchia rossa. Sono al contrario la realtà del palcoscenico, la finzione dei ruoli in una scena, o ancora i disegni con cui si immagina con o senza occhiali a rappresentare la "vera verità" della sua vita. Tutt'attorno al personaggio bello e un po' idealizzato il mondo della sua famiglia crolla: il padre impiegato statale accetta ogni imposizione per paura e spirito di sopravvivenza; la madre intellettuale pare rassegnata; il fratello Igor, amante della musica e della matematica, cela una fragilità impotente. Gli invasori non si vedono mai, il tedesco è una lingua che forse sarebbe meglio imparare e le stelle di David appuntate al petto compaiono all'improvviso, a marcare il passare del tempo e l'inasprirsi delle leggi razziali.
Alla stessa maniera, la regia non allarga mai il contesto in cui sono inseriti i personaggi: un mondo per evitare troppe ricostruzioni d'ambiente, ma anche per riaffermare l'idea d'isolamento dei personaggi, il paradosso della fuoriuscita dalla Storia da parte di chi, da lì a poco, avrebbe subito un tentativo d'annientamento su larga scala. Tra primi piani, campi e controcampi, piani medi dei personaggi in strada, il punto di vista è perciò ravvicinato, pietosamente ristretto sui corpi e sui volti di chi non ha speranza. Le uniche concessioni al rigore stilistico scelto da Kiberlain per questa sua bella e acerba opera prima, vengono dalle scelte musicali, che passano da Offenbach a Philip Glass, ad addirittura i Metronomy ("Love Letters") o Tom Waits ("All The World Is Green") per sottolineare l'estraneità di Irène al proprio tempo. C'è in tal senso un momento rivelatore, quando l'orchestra in cui Igor suona il flauto esegue "Que reste-t-il de nos amours" Charles Trenet, canzone scritta proprio nel '42 e resa immortale da Truffaut in Baci rubati: è lì che Kiberlain, poco dopo aver citato Jules e Jim mostrando l'amore fra Irène e Jacques, fa capire come i suoi personaggi appartengano a una generazione cancellata, una "nouvelle vague" di giovani travolta dalla guerra. Per il loro il futuro non sarebbe arrivato, ma il sacrificio avrebbe rese possibile tutte le altre onde a venire...
Parigi, estate 1942. Irene è una giovane ragazza ebrea che sta vivendo lo slancio dei suoi 19 anni. La sua famiglia la guarda scoprire il mondo, le sue amicizie, il suo nuovo amore, la sua passione per il teatro... Irene vuole diventare un'attrice e le sue giornate trascorrono nella vita spensierata della sua giovinezza. Ma Irene non sa che il suo tempo potrebbe essere scaduto.
Per l’esordio alla regia, l’attrice Sandrine Kiberlain ha preso ispirazione dal “Diario” di Anna Frank e da una vicenda che coinvolse la nonna durante l’occupazione nazista.
In Une jeune fille qui va bien la grande Storia resta ai margini del quadro, occupato per intero dalla figura snella e innocente di Irène, interpretata da Rebecca Marder. Una scelta dettata da ragioni produttive, viste le ridotte dimensioni del budget, dalla quale emerge anche la volontà della regista di affrontare un contesto ampiamente affrontato da un’angolazione laterale e intimista: l’innocenza di Irène, l’entusiasmo a volte sin eccessivo per la vita, offusca le tragedie del suo tempo, prima di esserne travolto.
Ciò che il film racconta è lo spazio di un’estate, un intervallo prima che tutto precipiti. Dal corpo che cade per finta di Irène nelle prove teatrali al corpo dell’uomo vestito di nero che nel finale si erge alle sue spalle (la Gestapo?), la protagonista passa dalla finzione del testo alla realtà del conflitto senza accorgersi quasi di nulla, o meglio dando sempre la precedenza alle sue brucianti passioni.
Per raccontare le terribili conseguenze delle persecuzioni razziali fasciste in Francia, Une jeunes fille qui va bien si affida ad una rappresentazione d'epoca che lavora in sottrazione, attenta non hai costumi, ma più semplicemente all'eliminazione di oggetti estranei al periodo considerato, l'anno è il 1942. Protagonisti sono una giovane ragazza, quella del titolo, e la sua famiglia, il padre, il [...] Vai alla recensione »
Ha vent'anni, Iréne, vive con spensieratezza e allegria, condivide con i coetanei sogni, ideali e amori, studia per diventare attrice e per essere ammessa al conservatorio. Ha una famiglia un po' stravagante, con una nonna all'avanguardia, mentre il padre (di professione contabile) e il fratello sono tradizionalisti; lei invece, bella e frizzante, si dà arie da primadonna.