Anno | 2021 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Australia, Tailandia |
Durata | 114 minuti |
Regia di | Taiki Sakpisit |
Attori | Chalad Na Songkhla, Manatsanun Phanlerdwongsakul, Sunida Ratanakorn . |
Tag | Da vedere 2021 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 1 dicembre 2021
Ploy rivive i traumi della sua giovinezza alla vigilia del colpo di stato che nel 2006 colpì la Thailandia. Il film è stato premiato a Rotterdam,
CONSIGLIATO SÌ
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Ploy, una donna thailandese, viene portata al cospetto del marito per dirgli addio. L'uomo, un politico, sta per lasciare il paese e sfuggire a quello che sarebbe stato il colpo di stato militare del 2006. È un evento che la riporta a trent'anni prima, quando la stessa famiglia deve affrontare un'altra assenza maschile, con il padre latitante in seguito alle proteste studentesche che rovesciarono la dittatura, e un'incidente in cui la giovane ragazza rischia di annegare. Due donne, due snodi critici per il paese, e un circolo vizioso di dolore familiare.
Con questo lungometraggio d'esordio, Taiki Sakpisit si inserisce nella ricca tradizione di un cinema thailandese florido di stile e immaginazione, che spesso indaga sul tempo e sulle cicatrici del passato.
Il bianco e nero potente di The Edge of Daybreak presiede su un mondo in rovina condannato dall'immobilità, in cui ad annegare nella risacca della storia sono le abitazioni, i corpi e la natura stessa. Griffato da sfumature quasi gotiche, il film ha uno sguardo tutto al femminile su figlie che diventano donne che diventano madri. Figure disperate che devono fare i conti con il trauma di uomini resi invisibili dalla storia thailandese, piena di rovesciamenti e tragedie. In questo senso l'opera di Sakpisit è gemella di quella di Jakrawal Nilthamrong (Anatomy of time), uscita nello stesso anno e preoccupata dalle epoche che si ripetono e dall'indagare su chi davvero ne paga il prezzo. Come d'abitudine per una cinematografia che vive un'epoca di splendore, la trama è deliberatamente offuscata e il ritmo glaciale, impercettibile come lo spostarsi delle ombre. L'effetto è ostico ma ipnotico e profondamente attraente, perché ognuno dei simboli su cui il regista si sofferma sembra celare storie e significati unici. Anche i volti delle donne protagoniste, madri e figlie, hanno l'aria di interrogare lo spettatore dal centro dell'inquadratura, sollecitando risposte che non arrivano mai. Fotografia e colonna sonora, però, fanno sì che distogliere lo sguardo sia impossibile, in una paralisi che attraversa la durata del film e le epoche della storia del paese.