Anno | 2020 |
Genere | Documentario, Sperimentale |
Produzione | Belgio |
Regia di | Paloma Sermon-Daï |
Attori | Ysma Sermon-Daï, Damien Samedi . |
Tag | Da vedere 2020 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 9 dicembre 2021
Presentato alla 70esima edizione del Festival di Berlino.
CONSIGLIATO SÌ
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Damien Samedi ha quarantatré anni ed e ha una tossicodipendenza cronica. Lavora per farsi e se non si fa non riesce a lavorare. Nonostante questo ha intenzione di ripulirsi e ha mantenuto un rapporto affettivo molto stretto con la madre Ysma, che a sua volta è legatissima a lui. Sono l'uno la ragione di vita dell'altra, e il loro rapporto fatto di antiche cicatrici si rivela in una serie di brevi visite casalinghe, dialoghi al tavolo di cucina, messaggi in segreteria. Nel piccolo centro di Sclayn, in Vallonia, dove vivono entrambi, non è stato facile per entrambi sopravvivere: lei a un marito violento e assente e a difficoltà economiche, lui a un'adolescenza burrascosa, che però resta fuori campo, viene evocata solo da una prima sequenza, presa da una serata elettronica alterata di fine anni Novanta allo Sportpalaeis di Antwerp.
Il primo lungometraggio della regista belga Paloma Sermon-Daï, presentato al Forum della Berlinale 2020, attinge direttamente a un soggetto autobiografico: Damien è uno dei suoi fratelli maggiori.
La materia sarebbe di per sé incandescente ma la regista la raffredda con un approccio sensibile e antispettacolare, teso a un'essenzialità che allontani ogni tentazione di facile commozione. Niente commento sonoro ad effetto o ricerca della reazione emotiva, ma piani fissi, silenzi, parole e immagini solo strettamente necessari: il dialogo della terapia di Damien, lo scorrere apparentemente placido della Mosa, pochi scorci rurali, un appartamento che riverbera anni di non detti.
Al centro c'è un rapporto viscerale tra madre e figlio, che si proteggono dalle rispettive fragilità. Una relazione che guarda indietro, come quando Damien riascolta sul nastro se stesso bambino, ma che è anche abbastanza lucida da pensare al futuro, a quando lei non sarà più ma gli ricorderà di prendersi cura di sé.
Una comunicazione peculiare, una corrente invisibile d'amore costituisce lo scheletro stesso del film, in un equilibrio delicato di possibilità e rimpianti, di volontà di non giudicare l'errore umano, pur riconoscendolo. La vita "tossica" di Damien corre in secondo piano, come una cortina di nebbia che solo la madre può penetrare, una "vita segreta", come dice da una tv una canzone di Leonard Cohen, a cui Ysma è la sola ad avere un istintivo e parziale accesso.