Titolo originale | Rizi |
Titolo internazionale | Days |
Anno | 2020 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Taiwan |
Durata | 127 minuti |
Regia di | Tsai Ming-liang |
Attori | Anong Houngheuangsy, Lee Kang-sheng . |
Uscita | giovedì 14 ottobre 2021 |
Tag | Da vedere 2020 |
Distribuzione | Double Line |
MYmonetro | 3,38 su 13 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 30 settembre 2021
Kang vive da solo in una grande casa. Non invece vive in un piccolo appartamento, in città. Si incontrano, poi si lasciano, e le loro vite tornano a scorrere come prima. In Italia al Box Office Days ha incassato 10,7 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Lo scorrere dei giorni accomuna due personaggi molto diversi tra loro e lontani l'uno dall'altro. A Taiwan, Kang vive in una casa immersa nella natura, con grandi vetrate attraverso le quali fissare lo sguardo, e trascorre giornate di contemplazione tra una seduta di fisioterapia, un massaggio, e altri tentativi di curare il male che lo affligge. A Bangkok risiede invece Non, un immigrato di Laos che cucina nel suo angusto appartamento. I due si incontrano in una camera d'albergo prima di tornare alle rispettive vite.
Negli ultimi anni, il cinema di Tsai Ming-liang si è evoluto verso l'essenzialità in una delle più eleganti ricerche di minimalismo del panorama contemporaneo. Pur rientrando pienamente in questa poetica, l'elegiaco e raffinato Days rappresenta una tappa significativa in quanto primo lungometraggio di finzione dall'epoca di Stray Dogs, che vinse il Gran Premio della giuria a Venezia nel 2013.
Sia il concetto di lungometraggio che quello di "finzione" richiedono però parentesi infinite, visto che le immagini liquide di Tsai hanno allagato qualunque distinzione e prodotto gemme che nel solo ultimo decennio includono Journey to the West (sull'arte di camminare lentamente a Marsiglia), Afternoon (candido ritratto "casalingo" del regista e dell'inseparabile Lee Kang-Sheng), e perfino un'esplorazione del formato della realtà virtuale in The Deserted, che aggiungeva volume ai giochi spaziali e prospettici dell'autore.
Tsai sembra essere giunto ai confini del cinema, aver fatto una breve pausa, e deciso di continuare verso l'ignoto. Days è formalmente in continuità con ciò che è venuto prima, forte delle sue lunghe inquadrature fisse, dei pochi dialoghi, e di quell'invito alla contemplazione che avvolge lo spettatore alterandone i circuiti nervosi. Contiene però nuove mutazioni, come l'avvertimento iniziale che assicura che il film è "intenzionalmente non sottotitolato"; può dunque liberarsi ufficialmente di un altro fardello e consegnare la manciata di battute che contiene alla dimensione del puro spettro sonoro.
Cambia il cinema di Tsai per seguire in qualche modo il percorso di Lee Kang-Sheng, attore, partner, volto ma soprattutto entità guida: il suo soffrire a causa di problemi fisici ha alterato il movimento degli ultimi film di Tsai, e Days ne narrativizza (per quanto sottilmente) l'esperienza personale, mostrandolo sotto inquietanti apparecchiature, soggetto a massaggi e agopuntura, e in cammino tra la folla con le mani sul volto, a tendere la pelle per dare sollievo al collo.
L'incontro con Anong Houngheuangsy, che invece non sta fermo un secondo nella frenesia di Bangkok (dove Tsai lo ha trovato, studiato e impiantato nella storia), è il punto focale del film ma ne occupa una piccola parte, e sia prima che dopo i due uomini rimangono inquadrati alternativamente nelle loro vite, atomi umani ognuno con il suo moto univoco.
Anche l'apertura a un'individualità esterna è una novità per Tsai e Lee (si ricorda il Denis Lavant che pedinava il monaco di Journey to the west), e insieme alla consueta densità delle immagini - alcune ripetute, altre cambiate di angolo, ma tutte mozzafiato e in questo film griffate spesso di rosa - contribuisce alla riuscita di un film singolare, straziante e terapeutico, che forse ancor più di Stray Dogs potrebbe essere adatto come ingresso alla filmografia del maestro taiwanese per chi ancora non ne è fan.
Il regista ha fatto di meglio, il film sembra ricordare una versione estremizzata di stray dogs. Bello per i fan, ma non aggiunge granché alla carriera del maestro. Diluito.
Che cosa racconta davvero Days, l'ultimo film del 64enne regista taiwanese, di origine malese, Tsai Ming-Liang, di cui molti ricorderanno il Leone d'oro 1994 per il poetico e malinconico Vive l'Amour, o Il gusto dell'anguria o ancora il più recente Stray Dog, pure premiato alla Mostra di Venezia? Secondo i canoni di uno spettatore occidentale poco, quasi nulla.
Dice Tsai Ming-liang di avere smesso, dopo Stray Dogs, di fare film come li faceva in precedenza, di essersi liberato del tutto della sceneggiatura (che già usava come un pre-testo, sganciandosi da ogni sua forma tradizionale) e, più in generale, di un modo convenzionale di realizzare opere per il cinema. Di avere radicalizzato la sua posizione di cineasta, aprendosi a nuove esperienze visive realizzando [...] Vai alla recensione »
Affascinante osservare come Tsai Ming-liang giunga a sfiorare la classicità della sua forma cinema, dopo avere lavorato dentro e intorno alle formulazioni più radicali del modernismo. Days, in questo senso, è quasi un film "tradizionale". Tsai adotta un'osservazione documentaria frontale, evocando il sospetto del "tempo reale" o "morto" (ma anche queste sono "forme").
A Lee Kang-Sheng è tornato il dolore al collo che lo affliggeva in The River e Tsai è tornato a filmare quel corpo che è la matrice silenziosa del suo cinema. Intanto a Bangkok ha conosciuto Anong, un giovane immigrato laotiano, che lì sopravvive tra vari lavori e si dedica con passione alla cucina della sua tradizione. È dentro questa quotidianità documentaria che Days compone la sua elegia, osservando [...] Vai alla recensione »
Tra la sospensione del tempo e il silenzio del dolore: come sempre in Tsai Ming-liang il dialogo tra la dimensione spirituale e quella fisica passa attraverso la definizione immanente dell'esserci, la quadratura del cerchio esistenziale nelle volumetrie degli spazi di vita. Il suo nuovo esercizio di cinema è in Concorso a Berlino 70 e si chiama Rizi, ovvero Days: come sempre costruito addosso a Lee [...] Vai alla recensione »
Kang vive da solo in una grande casa. Prova uno strano dolore di origine sconosciuta che difficilmente riesce a sopportare e che lo afferra tutto il suo corpo. Non vive in un piccolo e modesto appartamento a Bangkok dove cucina i piatti tradizionali del suo villaggio natio. Quando Kang incontra Non in una stanza d'albergo, i due uomini condividono le proprie solitudini.
Pare che davvero Lee Kang-sheng abbia sofferto di una malattia misteriosa per un po' di tempo. È, dunque, dal dato reale, dal disagio dell'amico di sempre, che Tsai Ming-liang prende spunto per questo suo ritorno alla "narrazione". Una specie di diario in presa diretta delle tribolazioni del suo attore, che per forza di cose finiscono per diventare il racconto dei dolori di Hsiao Kang.
In un cinema sempre più disposto a mettere in crisi il rapporto fra immagine e realtà filmata seminando il dubbio dell'origine e della natura di ciò che si vede (alla Berlinale film buoni e meno buoni vertevano su simili meccanismi di narrazione e missinscena: Favolacce, Shirley, Undine, Roads Not Taken), Tsai Ming Liang crede ancora nella materialità della vita, nello spazio da inquadrare, nel tempo [...] Vai alla recensione »
Kang osserva la pioggia che cade. Si lava: ha un curioso terzo piccolo capezzolo a sinistra. Non (è un nome) è un giovane che prepara meticolosamente la cena. Kang incontra Non in un hotel per un massaggio che si fa sempre più erotico. Kang dopo aver pagato Non gli regala un carillon con il tema di "Luci alla ribalta". Kang e Non mangiano in un locale.
C'è sempre dell'acqua nelle immagini di Tsai Ming-liang, e ci sono frutta o vegetali, spazi vuoti, luoghi indistinti di folla o di natura, pesci rossi e volti in primo piano che si imprimono nell' inquadratura mentre l'obiettivo scava dentro alle loro emozioni, ai tumulti che possono balenare anche in un impercettibile tremolio della palpebra. E ci sono soprattutto solitudini che si stagliano in quei [...] Vai alla recensione »
Il tempo scorre sempre lento nel bellissimo cinema del regista malese Tsai Ming-liang, mentre i secondi diventano minuti, i minuti diventano ore e le ore diventano Giorni, come il titolo della pellicola di Ming-liang presentata al concorso di Berlino. Forse il lavoro più toccante di Tsai Ming-liang. Days, 127 minuti senza dialoghi, racconta un momento nelle vite di due uomini mentre queste si toccano, [...] Vai alla recensione »
Giunto all'undicesimo film nell'arco di trent'anni (l'ultimo risaliva a sette anni fa, s'intitolava Stray dogs e aveva ottenuto il premio della Giuria a Venezia), Tsai Ming-laing torna per la quinta volta a Berlino con un film che reca il titolo internazionale Days e che può essere considerato la summa del suo stile inconfondibile. Si tratta innanzitutto di un film senza dialoghi, come viene specificato [...] Vai alla recensione »