Last and First Men

Film 2020 | Fantascienza, Documentario

Titolo originaleLast and First Men
Anno2020
GenereFantascienza, Documentario
ProduzioneIslanda
Regia diJóhann Jóhannsson
AttoriTilda Swinton .
TagDa vedere 2020
MYmonetro Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 2 recensioni.

Regia di Jóhann Jóhannsson. Un film Da vedere 2020 con Tilda Swinton. Titolo originale: Last and First Men. Genere Fantascienza, Documentario - Islanda, 2020, Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 2 recensioni.

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Ultimo aggiornamento domenica 27 settembre 2020

Trasposizione cinematografica del romanzo del 1930, "Gli ultimi uomini".

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Una grande opera di fantascienza trasposta in un film radicale e ipnotico.
Recensione di Andrea Fornasiero
domenica 27 settembre 2020
Recensione di Andrea Fornasiero
domenica 27 settembre 2020

Da duecento milioni di anni nel futuro, giunge un messaggio al presente: la più evoluta versione immaginabile della specie umana è prossima all'annientamento per via della incombente disintegrazione del sole. Non una catastrofe causata da loro stessi, bensì un improrogabile fenomeno astronomico. Immortali e telepatici, gli uomini del futuro contemplano il proprio annientamento e reagiscono disseminando l'umanità nello spazio come un virus. Inoltre comunicano con il presente, cercando di guidarci verso importanti verità e allo stesso tempo ritrovando in noi lo spirito di sopravvivenza, la voglia di combattere la morte fino allo stremo, che hanno ormai perduto.

Tratto da un seminale ed omonimo romanzo di fantascienza del 1930, Last and First Men è il primo e unico film del musicista islandese Jóhann Jóhannsson, morto a soli 48 anni nel 2018.

Presentato nel 2017 al Manchester International Festival, con accompagnamento dal vivo eseguito dalla BBC Philarmonic, è poi arrivato alla sua forma finale al Festival di Berlino del 2020. Sul fronte delle immagini si assiste a ripetute riprese delle architetture brutaliste degli Spomeniks, strutture commemorative delle tragedie e degli atti eroici della Seconda Guerra Mondiale, erette durante il regime di Tito in quella che era la Jugoslavia.

Ideati dallo scultore croato Dušan Džamonja hanno forme tanto aliene quanto primitive, si ergono incongrue in un paesaggio scabro, spesso in un nudo cemento che richiama le pietre di Stonehenge, a volte con volti stilizzati che sembrano arrivare dalle antichità del Sud-Est asiatico. Inquadrate sia in totale sia nei loro numerosi dettagli, nel bianco e nero sgranato delle riprese in 16 mm., sembrano davvero monumenti di una umanità a noi distante e incomprensibile.

Mentre si susseguono queste immagini, solo raramente intercalate da un segnale verde o a un certo punto da una rappresentazione del sole rosso, la voce di Tilda Swinton legge brani del romanzo dell'inglese Olaf Stapledon, riadattati dallo stesso Jóhannsson insieme al drammaturgo José Enrique Macián. Il tutto accompagnato da una musica a sua volta straniante ed eterea, una composizione in aria di modernismo di Francesco Donadello. Il romanzo originale (in italiano noto con il titolo Gli ultimi uomini) raccontava tutta l'evoluzione dell'umanità fino a miliardi di anni nel futuro, con tanto di migrazioni su Venere e Nettuno e con ben 18 diverse specie umane che si susseguono in un impressionante sforzo immaginifico.

Il film si concentra invece sul sentimento della perdita e ci presenta gli ultimi uomini della Terra, capaci di creare una sorta di "supermente" entrando tra loro in contatto telepatico, senza raccontare come si sia arrivati fino a loro. Inoltre questi uomini non sono stati obbligati a migrazioni all'interno del sistema solare e sono rimasti sul nostro stesso pianeta fino alla fine - in omaggio al romanzo, nei primi brani del film, si accenna alla possibilità che forse Nettuno sopravviva alla disintegrazione del Sole, divenendo abitabile, ma solo per scartare questa ipotesi.

Mentre il sole nei secoli si è fatto prima bluastro e poi sempre più luminoso, le radiazioni hanno portato a una degenerazione di questa perfetta umanità, che si descrive dicendo "siamo le rovine di quello che eravamo" e che canta la propria elegia invitandoci a creare un presente migliore. Perché in fondo ci sarà anche un mondo perfetto, ma pur sempre destinato alla fine. Nemmeno l'immortalità è eterna e la voce pacata, volutamente monotona, serena e cantilenante di Tilda Swinton non tradisce che un'emozione: la nostalgia per quello che andrà perduto. Per quanto l'umanità si sia evoluta e abbia raggiunto meravigliose vette, la sua lunga storia è "solo un lampo rispetto alle stelle, che l'hanno generata e che allo stesso modo la uccideranno".

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