Anno | 2019 |
Genere | Biografico, Commedia, Drammatico |
Produzione | USA |
Durata | 117 minuti |
Regia di | Craig Brewer |
Attori | Eddie Murphy, Keegan-Michael Key, Wesley Snipes, Mike Epps, Craig Robinson Tituss Burgess. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 2 gennaio 2020
Un cabarettista crea il suo alter ego Dolemite e plasma la sua stessa leggenda. Il film ha ottenuto 2 candidature a Golden Globes, 4 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, 1 candidatura a CDG Awards, 1 candidatura a NSFC Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Rudy Ray Moore ha mancato il suo appuntamento col destino. Impiegato in un negozio di dischi di Los Angeles, sognava di diventare uno stand-upper di successo. Ma nessuno lo ha mai preso sul serio, almeno fino al giorno in cui 'intervista' Ricco, un senza tetto che frequenta il suo negozio e sembra avere tante storie da raccontare. E quelle storie diventano il repertorio (ritrascritto e rielaborato) di Rudy, che inventa il personaggio di Dolemite, pappone stravagante che combina rime e parole crude. Il successo è immediato ma Rudy vuole di più. Vuole sedurre un pubblico più grande. Arruolato un esercito disparato di principianti, gira il suo primo film e diventa il pioniere della blaxploitation.
Realizzato da Craig Brewer, regista di serie B (Footloose, Black Snake Moan), e scritto da Larry Karaszewski e Scott Alexander, specialisti di artisti 'marginali' e di plateale inversione della norma (Ed Wood, Larry Flynt, Man on the Moon), Dolemite Is My Name convoca tutta l'eredità del cinema afroamericano.
Reclutando Eddie Murphy, Wesley Snipes, Chris Rock, Keegan-Michael Key, Snoop Dogg, l'autore confronta le generazioni come Rudy Ray Moore assembrava i generi nelle sue deflagranti produzioni, dove il kung-fu incontrava il poliziesco, la commedia l'erotismo. All'appello rispondono comici e rapper, tutti debitori di Eddy Murphy e naturalmente di Rudy Ray Moore. Se Craig Brewer non riesce a eguagliare i monumenti di Tim Burton e di Miloš Forman, il suo effetto notte resta in ogni caso un piccolo gioiello che disegna lo scorcio biografico di un altro freak capace di disarticolare i meccanismi comici.
Spettacolarmente divertente, colorito e colorato, Dolemite Is My Name rivela un'intelligenza spregiudicata che ammicca al di là della sgradevolezza di certe battute e lascia ai personaggi autonomia di estri e di invenzioni.
Ed è su questo piano che si muovono con fervore e sensibilità Eddie Murphy e Wesley Snipes. Irresistibile il primo, 'marziale' il secondo. Nella Los Angeles degli anni Settanta, Moore inventa il personaggio del titolo e aggiorna al gusto dell'epoca la tradizione orale afroamericana affondata nella schiavitù. Trentatré tournée e otto dischi dopo, decide di adattare le sue performance da solo sul grande schermo, diventando il precursore del supporto multiplo (dalla scena al disco, dal disco al cinema), della logica del franchise (pubblicò diversi seguiti), del do it yourself (faceva tutto lui, compresa la distribuzione) e del rap (Dolemite è soprannominato il "padrino del rap").
È la sua modernità a muovere il desiderio di produrre un biopic inscritto nella linea di ritratti di uomini dello spettacolo che hanno applicato la sua regola più importante: la reversibilità. Quello che è trash un giorno, può diventare desiderabile il giorno dopo, quello che è oltraggioso, accettabile. A condizione di saperlo vendere e la risata per Rudy & compagni resta la migliore delle armi. Performance e registrazioni lo consacrano allora figura confidenziale di una controcultura audace e profana. Icona tardiva della blaxploitation, Moore rilancia sempre. Dopo le luci dei riflettori, vuole catturare la luce del cinema girando un film sul suo personaggio e guadagnandosi un posto accanto alle commedie di Billy Wilder.
E in una scena capitale del film, Moore e compagni vanno all'Orpheum Theatre a vedere Prima Pagina, commedia del 1974 di Billy Wilder. Nella sala, a maggioranza bianca, tutti ridono tranne loro. Perché, ci dice Moore, esiste un umorismo per bianchi e un umorismo per neri. Nessun componente della loro comunità appare nel film, niente di quello che accade sullo schermo assomiglia al loro quotidiano o risponde ai codici di South Los Angeles. La sua missione diventa allora quella di promuovere un cinema di neri per i neri, e poco male se sarà meno raffinato e più raffazzonato.
E il cuore del film si trova proprio lì, nel racconto making of di Dolemite, 'filmaccio' dalle gag sagaci e il kung-fu approssimativo che ricorda da vicino, ma con un pizzico di meschinità in meno, la performance di James Franco in The Disaster Artist. Dolemite Is My Name si concentra soprattutto su un episodio poco conosciuto del divertissement nero, che ha per protagonista un affabulatore di storie improvvisate in versi, costellate da scansioni ripetitive di frasi di grande effetto e da rituali di insulti (i Dozens, giochi verbali molto in uso nella comunità afroamericana da cui deriva la narrativa del rap).
Il successo mainstream di Eddy Murphy negli anni Ottanta fu di fatto il proseguimento e la somma di questa vena esuberante e irriverente aperta negli anni Settanta. Eddie Murphy non ha più la presenza cartoonesca dei suoi debutti ma sotto il trucco ritroviamo l'energia briosa diluita in un ruolo che gli corrisponde, quello di un istrione pieno di illusioni che convinse un gruppo di amici a seguirlo in un'impresa delirante. Ma Dolemite Is My Name non è solo un film su un uomo che desidera farsi intendere dal mondo, è pure un biopic che copre una porzione della commedia nera americana, che non era andata oltre la periferia di Los Angeles, una parabola funk che gestisce con sapienza i codici della success story e il manifesto perfetto di Netflix, che ha fatto della standardizzazione di nicchie multiple il suo modello economico.
Un po' d'azione, un po' di sesso, un po' di humour e soprattutto un po' di targeting dei consumatori. Risalendo fino alla sorgente primitiva del suo algoritmo, Netflix produce una commedia popolare, nel senso migliore del termine. Un film di successo che mette tutti d'accordo con una grande risata.
Ispirato alla vita di Rudy Ray More,cabarettista e attore considerato da più parti il padrino del rap(Snoop Dogg incluso,che interpreta Roj)un leggero e simpatico biophic che nella seconda parte sembra diventare la versione all black di "The disaster artist",ennesima rilettura del perdente orgoglioso e inarrestabile che si riscatta in barba alla mancanza di talento e dell'american [...] Vai alla recensione »
... il film non decolla! Sempre così, ahimé. Purtroppo la realtà ha i piedi per terra e, quindi, non può volare. Questo film, ben fatto, curato nei dettagli (basti pensare ai costumi di Eddie Murphy), con un cast stellare, diciamo pure formalmente perfetto, è l'ennesima riprova che una storia vera può essere interessante, ma mai avvincente. E infatti l'unico punto debole del film è proprio la storia! [...] Vai alla recensione »