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Ultimo aggiornamento giovedì 26 settembre 2019
CONSIGLIATO NÌ
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Aisa, la figlia di soli 4 anni di Saima, sembra condannata da un male incurabile, un tumore al cervello che continua a espandersi. L'unica consolazione della bambina è la fiaba che la madre le racconta, sui fratelli guerrieri Rajah e Sulayman, inviati a combattere contro i due draghi che devastano Mindanao. Intanto il padre di Aisa, Malang, è al fronte come medico militare, durante i sanguinosi scontri tra l'esercito filippino e i ribelli di Mindanao.
Mindanao è la seconda isola delle Filippine per dimensioni e importanza, gravata da decenni da lotte intestine e spinte indipendentiste.
È anche la patria del presidente Rodrigo Duterte, che nel 2017 ha dichiarato la legge marziale sull'isola, avallando una dura repressione militare ai danni dei ribelli. Negli ultimi anni lo stesso Brillante Mendoza è stato accusato da più parti - colleghi come Lav Diaz, stampa, ecc. - per le sue posizioni accondiscendenti nei confronti del governo di Duterte, fino a divenire il regista ufficiale del presidentissimo e della sua mano forte contro gli oppositori. Forse in virtù del clima di tensione nel Paese, o forse per un reale intento del regista, la posizione etica e politica di Mindanao rimane indistinta, confusa. O, per meglio dire, ambigua. Da un lato gli orrori della guerra sono presentati in maniera cruda e priva di compromessi, come nello stile del regista di Kinatay, ma d'altra parte è grazie all'opera di questi valorosi guerrieri che si può cullare l'illusione di una pacificazione in un'isola leggendaria per la sua turbolenza come Mindanao. Sul piano appunto della leggenda e del mito Mendoza gioca la sua carta stilistica più peculiare, alternando il racconto crudo e documentaristico della famiglia protagonista - divisa tra fronte di guerra e l'ospedale in cui Aisa combatte la sua battaglia contro il cancro - all'animazione in 3D dei disegni primitivi e volutamente infantili con cui viene raccontata la leggenda dei draghi di Mindanao, allegoria più che evidente dei mali del mondo e della loro natura ineluttabile, dal tumore che colpisce Aisa alla scia di sangue che investe le Filippine.
Il conflitto intestino uccide la speranza, sembra volerci dire Mendoza, intorno al solito si vis pacem para bellum. Ma i mezzi utilizzati per raccontare una verità dolorosa quanto ovvia travalicano spesso nel ricattatorio, soffermandosi su immagini di fronte alle quali è impossibile opporre resistenza. Mendoza gioca pesante e gioca scorretto, si direbbe al tavolo del poker. Ma del regista che tanto prometteva, al tempo della Palma d'oro per la miglior regia di Kinatay, sembra rimasto davvero pochissimo.