Titolo originale | Babenco: Alguém Tem que Ouvir o Coração e Dizer Parou |
Anno | 2019 |
Genere | Documentario |
Produzione | Brasile |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Bárbara Paz |
Attori | Willem Dafoe, Selton Mello, Hector Babenco, Fernanda Montenegro, Fernanda Torres Bárbara Paz, Paulo José, Xuxa Lopes, Regina Braga, Dráuzio Varella, Carmo Sodré, Michael Wade. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,25 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 28 settembre 2022
Hector Babenco. Gli ultimi mesi di vita del grande regista filmati e raccontati in un documentario/omaggio pieno di amore. Il film è stato premiato al Festival di Venezia,
CONSIGLIATO SÌ
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Babenco: Tell Me When I Die è il primo film da regista di Bàrbara Paz, terza e ultima moglie di Hector Babenco, il regista argentino/brasiliano autore di Pixote, del Bacio della donna ragno e di Ironweed. È un documentario, nel quale il regista - minato dal cancro da molti anni - viene filmato in modo intimo. Primissimi piani, scorci del suo corpo nudo e stanco, poi ancora stanze d'ospedale, e dentro quelle stanze lui. Interrogato da Bàrbara, Hector Babenco non perde l'allegria, o una specie di infantile dolcezza. Fra un momento e l'altro di questa cronaca, spezzoni dei film diretti da Babenco: e i momenti della cerimonia degli Oscar, quando Il bacio della donna ragno finì nella cinquina dei candidati per il miglior film. Così come i momenti delle riprese de Il mio amico Hindu, il film in cui Babenco ha messo in scena la propria malattia, facendo interpretare il suo alter ego all'attore Willem Dafoe.
Bàrbara Paz filma il suo compagno senza nascondere nulla, senza addolcire la realtà inesorabile. Il suo inoltrarsi verso la morte. Ma, come già aveva fatto Wim Wenders con Nicholas Ray in Nick's Movie, riesce a raccontare con lirismo, tocchi impressionistici e altri surreali la cronaca di un'agonia, trasformandola in una appassionata lettera d'amore.
"Dopo il successo, viene sempre la tempesta", dice nel film Hector Babenco. "Seppi di avere il cancro a 38 anni, appena dopo Il bacio della donna ragno". Era il film che gli avrebbe dato la fama internazionale, che lo avrebbe reso il primo regista latino americano candidato all'Oscar, che gli avrebbe aperto le porte del cinema internazionale. E nello stesso momento, era la sentenza di morte, che lui avrebbe cercato di rimandare all'infinito. Avrebbe convissuto oltre trent'anni con il cancro. È morto nel 2016.
È difficile filmare un uomo che sa di essere vicino alla morte, e che tuttavia non perde l'infantile speranza di essere più furbo di lei, di farla franca, di vivere ancora. È difficile filmare le corsie d'ospedale, o il corpo divenuto gonfio e flaccido dell'uomo che si ama. Uno sguardo spaurito, da uccello, un sorriso fragile.
È difficile, ma Bàrbara Paz ci è riuscita. È riuscita a tenere lo sguardo fermo su quel franare di vita. E a creare un film tenero, intimo, libero, a tratti persino gioioso. Ha scelto, deliberatamente, di non costruire una "biografia", di non raccontare in modo didascalico una carriera importante, epocale. Preferisce far muovere il suo film in modo fluido, costruirlo per libere associazioni. Monta insieme gli home movies del giovane Babenco e brevi sequenze dei film che poi quel ragazzo avrebbe girato. Mescola realtà e finzione, e mescola anche i ruoli: è lei la regista, ma a volte è l'allieva.
"Che focale stai usando adesso? Lo vedi il numero? È 105? Allora è un teleobiettivo: vedi, metti a fuoco il mio naso ma la mia mano è già fuori fuoco. Adesso fai zoom indietro, arriva a 24. Vedi che è tutto a fuoco?". È Babenco che fa le prime lezioni di riprese a Bàrbara, mentre lei lo sta filmando. E poi scherza: "sintetizza, se no invece di un film fai una serie: La morte di Hector, terza puntata...".
È un ritratto intimo, non è un monumento. Ci si deve infilare negli spiragli dei ricordi, quando Babenco ricorda la sensazione di essere sempre "fuori posto". Bambino ebreo, e "essere ebreo non significa niente", ma significa anche sentirsi sempre fuori posto. I ricordi dei lavori assurdi che ha fatto: venditore di tombe alle famiglie, "perché quando succede l'inevitabile, l'ultima cosa che vuoi è perdere tempo a comprare una tomba". E poi comparsa nei film western degli anni '60. E poi il cinema, da regista. A raccontare gli emarginati, gli omosessuali, le prostitute, gli spacciatori.
Babenco: Tell Me When I Die è così la storia di un uomo che muore, la cronaca di una dissoluzione, come era stato quel ritratto intimo e appassionato che Wenders aveva fatto del suo amico Nicholas Ray, in Nick's Movie - Lightning Over Water. Ed è la storia di un regista coraggioso: "Gli emarginati danno del tu alla morte", dice nel film. Vediamo una sequenza di Pixote, uno dei suoi primissimi film, storia disperata e violenta di un ragazzino disperato e violento, vittima di abusi, stupri, e a sua volta criminale. Il film non lo dice, ma ferisce pensare che quel ragazzino, nella realtà, era davvero un piccolo criminale. E che fu ucciso, sette anni dopo la "prima" del film, in uno scontro con la polizia.
Non troveremo un racconto didascalico, non troveremo la "storia" di Babenco regista. Ma forse riusciremo a capire meglio chi sia stato. Alla Mostra del cinema di Venezia, dove il film ha vinto come miglior documentario sul cinema a Venezia Classics, Bàrbara Paz ha dedicato il premio a Hector Babenco - "mi hai dato tutto", ha detto fra le lacrime - e ha gridato "Dobbiamo tutti dire 'no' alla censura: viva la libertà di espressione!", in aperta opposizione al presidente del suo paese, Bolsonaro. Quella libertà che è il tratto più evidente del suo film, racconto intimo sulla vita e la morte, sul cinema e la vita.
Hector Babenco è un uomo dalle molte vite e dalle molte nazionalità di origine. Tra le sue varie attività c’è quella del regista che gli da notorietà con una nomination agli Oscar. La sua vita è anche costellata dalla malattia, dai frequenti ricoveri, dai miracolosi recuperi e da un atteggiamento sempre dissacrante, che si rifletti nei suoi film.
Babenco: Tell Me When I Die è il primo film da regista di Bàrbara Paz, terza e ultima moglie di Hector Babenco, il regista argentino/brasiliano autore di Pixote, del Bacio della donna ragno e di Ironweed. È un documentario, nel quale il regista – minato dal cancro da molti anni – viene filmato in modo intimo. Primissimi piani, scorci del suo corpo nudo e stanco, poi ancora stanze d’ospedale, e dentro quelle stanze lui. Interrogato da Bàrbara, Hector Babenco non perde l’allegria, o una specie di infantile dolcezza.
Fra un momento e l’altro di questa cronaca, spezzoni dei film diretti da Babenco: e i momenti della cerimonia degli Oscar, quando Il bacio della donna ragno finì nella cinquina dei candidati per il miglior film. Così come i momenti delle riprese de Il mio amico Hindu, il film in cui Babenco ha messo in scena la propria malattia, facendo interpretare il suo alter ego all’attore Willem Dafoe.
È difficile filmare un uomo che sa di essere vicino alla morte, ma Bàrbara Paz ci è riuscita. È riuscita a tenere lo sguardo fermo su quel franare di vita. E a creare un film tenero, intimo, libero, a tratti persino gioioso. Ha scelto, deliberatamente, di non costruire una “biografia”, di non raccontare in modo didascalico una carriera importante, epocale.
«Ho già vissuto la mia morte e ora non mi resta che farne un film». Queste le parole dette dal regista brasiliano Hector Babenco alla moglie Bárbara Paz quando si rende conto che non gli rimane più molto tempo da vivere. Lei accetta la sfida di esaudire l'ultimo desiderio del suo defunto compagno: essere il protagonista della sua stessa morte. «Ho già vissuto la mia morte»: con questa paradossale [...] Vai alla recensione »