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lunedì 12 giugno 2006
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ci chiameremo asfodelo
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Le ombre dei defunti secondo i Greci vagavano sui prati di asfodeli, fiori raccolti in grappolo su un lungo fusto associati al culto delle divinità dell’oltretomba probabilmente per l’aspetto spettrale quando erano mossi dal vento nella semioscurità; il nome asfodelo però è musica per le orecchie e Altman, nel suo ultimo capolavoro “Radio America”, lo dà agli angeli bianchi che hanno la funzione di accompagnare i vivi nell’aldilà. Per una porta che si chiude se ne apre un’altra, dice filosoficamente una delle protagoniste, ma non è così semplice: una civiltà in via di estinzione e la vita di ognuno cosa lasciano dietro di sé? Il cineasta arrivato all’età di 81 anni avverte l’urgenza di cercare una risposta, e lo fa da artista, come sempre, lasciando intuire che la forza dell’immaginazione e la libera inventiva sono l’unica forma di saggezza destinata a sopravvivere agli uomini e ai loro effimeri imperi: nessuno sfugge al destino, né gli individui né i popoli, ma si può morire o in un malinconico silenzio o restando vivi fino all’ultimo, cantando a squarciagola nell’attesa del “tra poco”, ridendo fino alle lacrime per battute sguaiate o barzellette insulse.
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Le ombre dei defunti secondo i Greci vagavano sui prati di asfodeli, fiori raccolti in grappolo su un lungo fusto associati al culto delle divinità dell’oltretomba probabilmente per l’aspetto spettrale quando erano mossi dal vento nella semioscurità; il nome asfodelo però è musica per le orecchie e Altman, nel suo ultimo capolavoro “Radio America”, lo dà agli angeli bianchi che hanno la funzione di accompagnare i vivi nell’aldilà. Per una porta che si chiude se ne apre un’altra, dice filosoficamente una delle protagoniste, ma non è così semplice: una civiltà in via di estinzione e la vita di ognuno cosa lasciano dietro di sé? Il cineasta arrivato all’età di 81 anni avverte l’urgenza di cercare una risposta, e lo fa da artista, come sempre, lasciando intuire che la forza dell’immaginazione e la libera inventiva sono l’unica forma di saggezza destinata a sopravvivere agli uomini e ai loro effimeri imperi: nessuno sfugge al destino, né gli individui né i popoli, ma si può morire o in un malinconico silenzio o restando vivi fino all’ultimo, cantando a squarciagola nell’attesa del “tra poco”, ridendo fino alle lacrime per battute sguaiate o barzellette insulse. Dopo l’11 settembre più o meno inconsciamente chiediamo a scrittori e cineasti di parlarci della fine: molti, e sono i più, scelgono di farsi fiacchi cantori dell’abisso, invece, Altman, analogamente a un altro grande Maestro del cinema contemporaneo il cinquantenne Almodovar, tira fuori dal cappello a cilindro del geniale prestigiatore l’energia vitale esercitata dall’invisibile sul visibile. A distanza di trent’anni il regista riscrive la sua opera più significativa Nashiville recuperandone la plurivocità per rappresentare le mille anime di una sola Nazione ma nello stesso tempo guardando al suo intuibile crepuscolo ne evoca, con un sorriso orgoglioso e malinconico, la fragilità in una prospettiva eterna e metafisica: là c’erano le contraddizioni esplosive di una Paese e il tempo nella sua linearità, qui la morte è la zona di convergenza fra passato, presente e futuro, fra terreno e spirituale, fra cultura alta e folclore, fra lo sberleffo e la maschera tragica, fra un qua sfuggente e un là inconoscibile. Un vecchio chiude gli occhi per sempre mentre attende al buio l’amante, un’adolescente scrive poesie sul modo migliore per congedarsi dal mondo, una incantevole bionda ha un incidente ridendo mentre ascolta alla radio una sciocca storiella di pinguini in smoking e viene trasformata nell’angelo Asfodelo, eterea apparizione in soprabito chiaro per chi è destinato prima o poi ad uscire di scena, A prairie company una trasmissione radiofonica diffusa in diretta alla presenza del pubblico in un teatro del Minnesota dà vita per l’ultima volta al più effervescente degli spettacoli: la nenia funebre diventa cosi uno squillante e gioioso inno alla vita e alla sua multiforme sacralità. Altman simula la conclusione di un programma di successo per fare di un glorioso commiato il corteo trionfale dell’esistenza, in cui il canto di un passerotto, Fitzgerald, i quadri di Hopper, il detective duro e la femme fatale, le divagazioni improvvisate su un nastro isolante, le barzellette insipide, la versione sboccata della genesi di una coppia di patetici cowboy canterini, le canzoni popolari, la musica country, le freddure, ovvero il carnevalesco e il sublime lasciano lo stesso rimpianto. Ed altri saranno chiamati a fare i conti con l’imprevedibile domani, noi porteremo il nome di Asfodelo.
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maria cristina nascosi
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giovedì 8 giugno 2006
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altman e le periferie dell'anima. americana.
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RADIO AMERICA è l'ultima opera, in ordine di tempo, di Robert Altman, splendido ottantenne, uno degli ultimi grandi ‘vecchi’ del cinema contemporaneo.
Con un andamento ellittico, come nella sua solita cifra stilistica da alcuni film a questa parte, A Prairie Home Companion, questo il titolo originale della pellicola, comincia e finisce con una zoomata su di un bar, sulle sue vetrate che, illuminate all’interno, mostrano una serie di astanti, una visione che ricorda molto da vicino uno dei migliori quadri di Edward Hopper, il pittore delle periferie dell’anima americana.
Presentato IN CONCORSO AL 56MO FESTIVAL DI BERLINO, è stupendamente interpretato da un gruppo di stars che solo Altman riesce a mettere insieme (pagandole tra l'altro al minimo sindacale), tra cui Meryl Streep, Kevin Kline, Virginia Madsen, Tommy Lee Jones, Lily Tomlin.
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RADIO AMERICA è l'ultima opera, in ordine di tempo, di Robert Altman, splendido ottantenne, uno degli ultimi grandi ‘vecchi’ del cinema contemporaneo.
Con un andamento ellittico, come nella sua solita cifra stilistica da alcuni film a questa parte, A Prairie Home Companion, questo il titolo originale della pellicola, comincia e finisce con una zoomata su di un bar, sulle sue vetrate che, illuminate all’interno, mostrano una serie di astanti, una visione che ricorda molto da vicino uno dei migliori quadri di Edward Hopper, il pittore delle periferie dell’anima americana.
Presentato IN CONCORSO AL 56MO FESTIVAL DI BERLINO, è stupendamente interpretato da un gruppo di stars che solo Altman riesce a mettere insieme (pagandole tra l'altro al minimo sindacale), tra cui Meryl Streep, Kevin Kline, Virginia Madsen, Tommy Lee Jones, Lily Tomlin.
Per Altman , A Prairie Home Companion, questo il titolo originale del film, rappresenta qualcosa di diverso da tutto ciò che ha girato fino ad ora ma, allo stesso tempo è la summa di una vita di lavoro - concetto condiviso anche da sua moglie - e come lui stesso afferma :
“Non puoi fare niente, in qualsiasi momento, che non rifletta la temperatura del tempo, ciò che succede intorno, nella vita delle persone, ciò che è importante, ciò che fanno... Non credo si possa fare un'opera d'arte, un film o una canzone, separata dal suo contesto. E' un film politico, come ogni film lo è, d'altronde è normale che la realtà influenzi il modo di raccontare una storia... ”
MARIA CRISTINA NASCOSI
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stefano
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domenica 4 giugno 2006
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nashville, capitolo secondo
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Uno storico show radiofonico ("A prairie home companion", ovvero "La voce amica della prateria") che va in onda da oltre trent’anni, giunto ormai alla sua ultima puntata prima della definitiva chiusura. Nell’arco di quest’ultima serata si alternano le vicende di una dozzina di personaggi, protagonisti di un commovente e nostalgico spettacolo d’addio. C’è il presentatore, l’esperto e inossidabile Garrison Keillor, che dirige impeccabilmente l’intero show; c’è un bizzarro ed elegantissimo detective, Guy Noir, che sembra uscito da un film degli anni ’40 ed è interpretato dall’esilarante Kevin Kline; c’è una simpatica coppia di cowboy, Lefty e Dusty, che si divertono a raccontare barzellette sporche; ci sono Rhonda e Yolanda Johnson, un delizioso quanto anacronistico duo canoro che raccoglie quel che resta di un gruppo originario di quattro sorelle; c’è Lola, figlia adolescente di Yolanda, ossessionata dalla morte e dal suicidio; c’è un bieco e cinico “cacciatore di teste”, che si prepara a far chiudere lo spettacolo e ha il volto severo e inflessibile di Tommy Lee Jones.
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Uno storico show radiofonico ("A prairie home companion", ovvero "La voce amica della prateria") che va in onda da oltre trent’anni, giunto ormai alla sua ultima puntata prima della definitiva chiusura. Nell’arco di quest’ultima serata si alternano le vicende di una dozzina di personaggi, protagonisti di un commovente e nostalgico spettacolo d’addio. C’è il presentatore, l’esperto e inossidabile Garrison Keillor, che dirige impeccabilmente l’intero show; c’è un bizzarro ed elegantissimo detective, Guy Noir, che sembra uscito da un film degli anni ’40 ed è interpretato dall’esilarante Kevin Kline; c’è una simpatica coppia di cowboy, Lefty e Dusty, che si divertono a raccontare barzellette sporche; ci sono Rhonda e Yolanda Johnson, un delizioso quanto anacronistico duo canoro che raccoglie quel che resta di un gruppo originario di quattro sorelle; c’è Lola, figlia adolescente di Yolanda, ossessionata dalla morte e dal suicidio; c’è un bieco e cinico “cacciatore di teste”, che si prepara a far chiudere lo spettacolo e ha il volto severo e inflessibile di Tommy Lee Jones. Ma c’è soprattutto l’Angelo della Morte, la bionda Virginia Madsen in impermeabile bianco che si muove eterea e silenziosa dietro le quinte dello show, sentenziandone l’ineluttabile destino. Il mitico regista Robert Altman, vincitore di uno strameritato Oscar alla carriera, si ispira alla storica trasmissione “A prairie home companion” per descrivere con un profondo senso di affetto e nostalgia il mondo della radio e i suoi protagonisti, metafora di un’America ancora legata alle proprie tradizioni e inevitabilmente destinata a scomparire. Ancora una volta, come nei suoi migliori film (da “America oggi” al recente, bellissimo “Gosford Park”), Altman riprende la struttura corale del racconto per seguire i suoi personaggi nell’arco di un’unica serata, accompagnato in sottofondo da una serie di classici della musica country. Un film splendido e commovente, che arriva a trent’anni di distanza dal leggendario “Nashville” (un capolavoro da vedere e rivedere per tutti gli appassionati di cinema!), di cui recupera i temi e le atmosfere; questa volta, però, Altman abbandona i toni del dramma per quelli della commedia elegiaca, trasformando il finale cupo e atroce di “Nashville” in una conclusione quieta e malinconica. Da non perdere le numerose gag del film, e una menzione speciale per le due sorelle Johnson: l’eccezionale Meryl Streep (incredibilmente dotata anche come cantante) e la simpaticissima Lily Tomlin (ve la ricordate in "Nashville"?). Per concludere, "Radio America" è un film da non perdere, un autentico gioiello nella filmografia di uno dei più grandi registi di sempre!
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(di rossella)
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stefania
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lunedì 12 giugno 2006
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carino,ma tu riesci a respirare solo da quel coso?
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Dialoghi incessanti e esilaranti come quello delle battute dell’ultimo spettacolo tra Dusty e Lefty fanno di Radio America un film da ricordare.
Chi non è scoppiato a ridere alla battuta dell'elefante davanti all'uomo nudo:" carino! ma tu riesci a respirare solo da quel cosetto?"
Ma non è solo questo.
Radio America, squarcia il velo sulle contraddizioni americane. Un paese dove tradizione ed innovazione non possono coesistere. L’america cresce distruggendo il proprio passato e dimenticandolo.
Così è possibile solo scegliere una delle due opzioni, o si rimane incastonati in un passato che non c’è più con la sola certezza di ricordarlo e si è destinati ad essere dimenticati o si decide di vivere in un cinico presente senza passato.
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Dialoghi incessanti e esilaranti come quello delle battute dell’ultimo spettacolo tra Dusty e Lefty fanno di Radio America un film da ricordare.
Chi non è scoppiato a ridere alla battuta dell'elefante davanti all'uomo nudo:" carino! ma tu riesci a respirare solo da quel cosetto?"
Ma non è solo questo.
Radio America, squarcia il velo sulle contraddizioni americane. Un paese dove tradizione ed innovazione non possono coesistere. L’america cresce distruggendo il proprio passato e dimenticandolo.
Così è possibile solo scegliere una delle due opzioni, o si rimane incastonati in un passato che non c’è più con la sola certezza di ricordarlo e si è destinati ad essere dimenticati o si decide di vivere in un cinico presente senza passato. Per sempre.
Il film inizia con un’inquadratura di uno dei tipici dining americani che ricalca uno dei più famosi quadri di Hopper- “nighthawks” e appena Guy Noir (strepitoso Kevin Kline) esce dal locale l’ambientazione, le inquadrature e il dialogo fanno credere che il film sia ambientato negli anni 40. E’ solo nell’ingresso al Fitzgerald Theatre che appare il mondo moderno che guarda caso sta andando a festeggiare la disfatta e la morte di uno spettacolo radiofonico che per 50 anni è andato in onda.
Lo spettacolo radiofonico è composto da più di una ventina di personaggi che ognuno a suo modo contribuisce a dar vita ad una storia, ad un programma radiofonico e ad film eccezionale. Le sorelle Johnson sembrano uscite dalla casa nella prateria (meryl streep più brava che mai), il duo western (dusty e lefty) ipnotizza la platea con battute al vetriolo spassosissime, gli spot radio che fanno ricordare a noi italiani le vecchie reclame dei carosello. Sembra che tutto ciò che accade su quel palco non abbia tempo, non sia mai invecchiato, mai morto. Anche l’angelo della morte o della radio (nei titoli di coda è semplicemente la donna pericolosa –una splendida virginia madsen) non ha tempo eppure riesce per un attimo a far credere che lo spettacolo sia salvo, facendo morire il cattivo tagliatore di teste (tommy lee jones) cinico mandante dei nuovi proprietari del teatro “uomini di Dio” che ignora chi sia Francis Scott Fitzgerald (a proposito di dimenticare il proprio passato). A nulla varrà la morte del mandante, gli “uomini di Dio “ hanno deciso che al posto del teatro sarà costruito un parcheggio, macchine al posto della cultura, questo è il rimpiazzo!Solo l’esilarante e ingenuo Detective salverà l’emblema del teatro – il busto di fitzgerald- dalla morte.
Il film è delicato, sottile, ironico nella maniera più intelligente possibile. I dialoghi sono tutti da imparare a memoria per quanto sono ben strutturati e alcune scene sono talmente tanto in crescendo che sembra impossibile seguire il loro ritmo (una per tutta la pubblicità del nastro adesivo con il rumorista che ammette il suo limite nel non riuscire a riprodurre il rumore della sciabola sguainata e scintillante!).
La scena finale riprende il dining di hopper con all’interno non più solo Guy Noir ma tutti i superstiti del programma radiofonico (il programma non esiste più ma i loro personaggi, le loro tradizioni sono ancore tutte salve, pensano addirittura di fare un tour !), ma la figlia di Yolanda Johnson ha già dimenticato il palco e corre fredda ed impassibile parlando al suo cellulare cercando la delega su i soldi della madre.
Hopper descriveva la solitudine delle grandi città nei suoi quadri, Altman descrive la solitudine di tutto un paese.
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leo pellegrini
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venerdì 9 giugno 2006
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un struggente capolavoro
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Come in "Nashville" e "I protagonisti" un cast stellare e una moltitudine di storie intrecciate: un vero microcosmo non solo per la consueta riflessione sul mondo dello spettacolo ma soprattutto per rappresentare una nazione invecchiata in cerca di una nuova identità.
Giustamente MyMovies esalta la voglia politica (nel senso più positivo del termine) di raccontare un pezzo di America che finisce con il rappresentarla tutta... la straordinaria capacità di seguire un numero considerevole di personaggi senza perderne di vista uno e dando ad ognuno una sua consistenza.
Impossibile non dare ragione, sottolinea Il Messagero, "a Meryl Streep quando si dice fiera dell'idea che il film porterà nel mondo un'immagine dell'America, oggi generalmente poco amata al di fuori dei suoi confini, molto diversa da quella che purtroppo si è imposta in questi anni".
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Come in "Nashville" e "I protagonisti" un cast stellare e una moltitudine di storie intrecciate: un vero microcosmo non solo per la consueta riflessione sul mondo dello spettacolo ma soprattutto per rappresentare una nazione invecchiata in cerca di una nuova identità.
Giustamente MyMovies esalta la voglia politica (nel senso più positivo del termine) di raccontare un pezzo di America che finisce con il rappresentarla tutta... la straordinaria capacità di seguire un numero considerevole di personaggi senza perderne di vista uno e dando ad ognuno una sua consistenza.
Impossibile non dare ragione, sottolinea Il Messagero, "a Meryl Streep quando si dice fiera dell'idea che il film porterà nel mondo un'immagine dell'America, oggi generalmente poco amata al di fuori dei suoi confini, molto diversa da quella che purtroppo si è imposta in questi anni".
Con sarcasmo (ma soprattutto con tenerezza) un addio a un mondo in estinzione, un ritratto di una America autentica che qualcuno vuole cancellare. Malinconico affresco con tanta nostalgia per un Paese vitalistico ed innocente che non c'è più.
Ma Robert Altman non ricatta lo spettatore, rifugge dall'offrire facili emozioni. Crepuscolare, ironico, agrodolce, malinconico, contemporaneo… "Radio America" è un film di grande classe che sorprende per la sua delicatezza, per l'equilibrio, per la sottile raffinata inquietudine che riesce a trasmettere coinvolgendo il pubblico come raramente accade. Il grande regista, con lucido distacco, non rimpiange: descrive. "Il rimpianto si forma, caso mai, nello spettatore" (Il Giornale).
Con una favolosa colonna sonora che va dal country al gospel e al jazz, con battute spiritose ed intelligenti, con gag misuratissime e calibrate al massimo, con un cast che fa scintille (quanto di meglio si sia visto nelle ultime stagioni, con una Meryl Streep dalle strabilianti doti canore, un Kevin Kline di cui Raymond Chandler si sarebbe sicuramente innamorato, un Woody Harrelson e un John C. Reilly affiatatissimi e autoironici...), con quella caffetteria che pare fotocopiata dai quadri di Edward Hopper, con quel teatro Fitzgerald che sta per essere smantellato ma che sembra essere diventato la tua casa, "Radio America" (meritoriamente accolto con una ovazione generale all'ultimo Festival di Berlino) illustra la fine di un'epoca che è anche il tramonto di un'intera civiltà e ci offre, al contempo, un campionario di valori e sentimenti in cui è impossibile non riconoscersi: "alla fine travolti dall'emozione, bisogna darsi dei pizzicotti per ricordare che non possiamo correre in palcoscenico ad abbracciare tutti, Altman incluso" (Corriere della Sera).
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greatsteven
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giovedì 29 giugno 2017
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il crepuscolo d'una compagnia al ritmo del country
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RADIO AMERICA (USA, 2006) diretto da ROBERT ALTMAN. Interpretato da WOODY HARRELSON, TOMMY LEE JONES, GARRISON KEILLOR, KEVIN KLINE, LINDSAY LOHAN, VIRGINIA MADSEN, JOHN C. REILLY, MAYA RUDOLPH, MERYL STREEP, LILY TOMLIN
Una piccola stazione radio del Minnesota, denominata La voce amica della prateria, trasmette da almeno un quarantennio sempre l’identico spettacolo, seguito calorosamente da un pubblico cordiale che non si stanca di ripagare gli artisti con una sincera ammirazione. I protagonisti dello show sono veterani dell’arte radiofonica e, ormai invecchiati, hanno sviluppato un’umanità e un talento espressivo che li ha trasformati in pietre miliari degli sketch divertenti ed esuberanti coi quali sbarcano il lunario e si concedono una scampagnata immaginaria fra le risate degli ascoltatori.
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RADIO AMERICA (USA, 2006) diretto da ROBERT ALTMAN. Interpretato da WOODY HARRELSON, TOMMY LEE JONES, GARRISON KEILLOR, KEVIN KLINE, LINDSAY LOHAN, VIRGINIA MADSEN, JOHN C. REILLY, MAYA RUDOLPH, MERYL STREEP, LILY TOMLIN
Una piccola stazione radio del Minnesota, denominata La voce amica della prateria, trasmette da almeno un quarantennio sempre l’identico spettacolo, seguito calorosamente da un pubblico cordiale che non si stanca di ripagare gli artisti con una sincera ammirazione. I protagonisti dello show sono veterani dell’arte radiofonica e, ormai invecchiati, hanno sviluppato un’umanità e un talento espressivo che li ha trasformati in pietre miliari degli sketch divertenti ed esuberanti coi quali sbarcano il lunario e si concedono una scampagnata immaginaria fra le risate degli ascoltatori. Ma un giorno una grossa multinazionale compra la stazione radiofonica, liquida tutto il personale, ordina la demolizione del teatro in cui lo show va in onda e architetta la costruzione di un parcheggio al posto della vecchia struttura. Consci della propria abilità e decisi a non andarsene senza un addio ben più che dignitoso, i cantanti imbastiranno un ultimo spettacolo col quale salutare tutti gli amici che hanno avuto la benevolenza e la simpatia di acclamarli in questi lunghissimi, e fiorenti, anni di attività. Storia corale raccontata da più prospettive, come già era successo 31 anni prima con Nashville (1975), con cui Altman firma il suo testamento artistico-spirituale: la sua ultima opera cinematografica riprende le origini del cinema stesso che, com’è noto, affonda le sue radici primordiali nella radio e nel teatro, e il suo magnifico film li fonde meravigliosamente spiegando, mediante i retroscena e i dietro le quinte, l’assorbimento che entrambi effettuano, dando vita alla settima arte. Un’arte che, in tutte le sue varie sfaccettature, i suoi esecutori praticano per il piacere di farla, senza badando al guadagno o a mete materialistiche. Messo dunque al bando l’edonismo, l’attenzione si concentra sui suoi piccoli personaggi: attori, cantanti, comici, umoristi, presentatori, musicisti e ballerini che si esibiscono con un piacere che, benché fine a sé stesso, non permette che l’autoreferenzialità rovini la magnificenza delle vicende portate a conoscenza del pubblico, desideroso di divorarle. Usando sistemi e metodi come il microfono, la voce musicale, le note, gli strumenti, l’orchestra, le battute, i talking, la conduzione di programmi e la ripresa tramite telecamere. Film di personaggi, e si vede: un cast stellare che mette in scena, una dopo l’altra (o meglio, insieme in uno stupendo coacervo collettivo), una serie di prove recitative di straordinario effetto, fra cui spiccano, nel reparto femminile: le Johnson Girls di M. Streep e L. Tomlin – sorelle la cui alchimia combacia con una voglia di mettersi alla prova che ne nasconde l’intima allegria –; la Lola di L. Lohan, dapprima impacciata, ma poi determinata a mettersi in gioco con un "o la va o la spacca"che la porta ad esibirsi sul palcoscenico dopo la madre e la zia; la Molly di M. Rudolph, segretaria di reperimento sempre con le cuffie alle orecchie e un’ansia insaziabile addosso; la Donna Pericolosa, sottoforma di angelo vagante e insinuante, di V. Madsen. Quanto al gruppo maschile, si distinguono una scoppiettante coppia che mette insieme Lefty (Reilly) e Dusty (Harrelson) in un duetto eccezionale che diverte abbinando la comicità casereccia alla caciara grezza in puro stile western, ma anche l’investigatore privato, il Guy Noir di un K. Kline in formissima, fa scintille, almeno quante ne fanno il defunto Chuck di L. Q. Jones – attore consumato che spira durante la rappresentazione di un numero mentre lui si affloscia in poltrona al piano sottostante – e Axeman, il tagliatore di teste, col quale T. L. Jones si diverte a dissacrare la figura del guastafeste nerovestito che affonda la nave con una cannonata alla creatività. E come dimenticare GK, impersonato da Keillor con tanto di iniziali autentiche, fra l’altro autore della superba sceneggiatura che rende vitalità e vigore a questo musical fuori dagli schemi per come si contraddice e supera sé stesso? Il suo showman che presenta la serata d’addio con lo stesso entusiasmo di come si accoglierebbe un debutto, è una veritiera ciliegina sulla torta. Il maestro Altman coinvolge nel suo saluto estremo e ultimo al mondo dei vivi con un inno alla vita interpretabile in numerosi sensi, dall’autobiografico al narrativo, dall’ironico al nostalgico, consentendo a ciascuno dei registri di amalgamare una vicenda – tratta da una storia vera – che racconta la morte di una compagnia che rallegrava il Midwest senza pretese di arte massima, magari a tratti magniloquente, ma sempre e immancabilmente spiritosa e intelligente. In Italia distribuisce Medusa. Una sfilza di canzoni orecchiabilissime, per la maggior parte di stile folk e country, condisce i dialoghi assumendo un tono vivace che sa narrare una storia con l’occhio di un viaggiatore che tutto ha conosciuto e ha da sperimentare soltanto la condivisione di emozioni coi più giovani, nella speranza di tener viva la memoria degli antenati. Dei gloriosi, immortali e intramontabili antenati.
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antonello villani
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sabato 10 giugno 2006
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opera corale per un nuovo nashville
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Ci sono voluti più di trent’anni per dirigere un altro “Nashville”: Robert Altman, regista con la passione per le storie intrecciate, torna con la folk music affidando ad un formidabile cast la chiusura di un’emittente radiofonica. Protagonista assoluta la musica con i beniamini del pubblico che si esibiscono per l’ultimo concerto in un affollato teatro della west coast, “Radio America” rende omaggio alla cultura americana con canzonette melense su vecchi cani, amori perduti, fedi nuziali date in pegno e lunghe distese di pascoli. Tra mille contraddizioni Altman mostra un Paese che fatica ad accettare il nuovo e vuole tuttavia restare a passo coi tempi; così un tagliatore di teste (Tommy Lee Jones) accorre sul palco prima che cali il sipario, ma troverà l’angelo della morte ad aspettarlo, i protagonisti si raccontano dietro le quinte mentre qualcuno ci rimette pure la pelle.
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Ci sono voluti più di trent’anni per dirigere un altro “Nashville”: Robert Altman, regista con la passione per le storie intrecciate, torna con la folk music affidando ad un formidabile cast la chiusura di un’emittente radiofonica. Protagonista assoluta la musica con i beniamini del pubblico che si esibiscono per l’ultimo concerto in un affollato teatro della west coast, “Radio America” rende omaggio alla cultura americana con canzonette melense su vecchi cani, amori perduti, fedi nuziali date in pegno e lunghe distese di pascoli. Tra mille contraddizioni Altman mostra un Paese che fatica ad accettare il nuovo e vuole tuttavia restare a passo coi tempi; così un tagliatore di teste (Tommy Lee Jones) accorre sul palco prima che cali il sipario, ma troverà l’angelo della morte ad aspettarlo, i protagonisti si raccontano dietro le quinte mentre qualcuno ci rimette pure la pelle. Ricordi e stacchetti pubblicitari, il regista americano annega nella nostalgia dirigendo un’opera corale che stupisce per la scelta dei tempi: stavolta gli shorts cuts de “I Protagonisti” e “America Oggi” non si fermano neppure davanti alle difficoltà tecniche, il teatro come unica location avrebbe potuto annoiare gli spettatori ma il maestro è in forma smagliante e non delude i suoi fan. Ritmo frizzante ed attori che si danno il cambio aspettando i comandi di Mr. Altman: Kevin Kline nella parte di un bizzarro vicepresidente gaffeur che si muove con passo felpato tra gli studios; Meryl Streep e Lily Tomlin nella parte delle sorelle Johnson; Woody Harrelson e John C. Reilly, due mandriani texani che regalano duetti scurrili; Virginia Madsen, ovvero l’angelo della morte, che gira indisturbata tra i camerini vestita con un impermeabile bianco. In tanta musica c’è pure tempo per qualche piccolo scherzo –la pubblicità del nastro adesivo: il presentatore Garrison Keillor, che interpreta se stesso, è costretto ad inventarsi una storia perché non ricorda il nome del prodotto- con l’atmosfera da funerale del classico addio stemperata dai paradossi della vita. Il regista ottantaduenne Oscar alla carriera 2006 firma una delle sue opere migliori incantando con gli attori/cantanti che salutano il pubblico per l’ultima volta. Le cose cambiano, i giovani prendono il posto delle vecchie glorie: show must go on.
Antonello Villani
(Salerno)
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bobtheheat
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martedì 5 settembre 2006
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altman, radio e dintorni
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"Radio America" e' un classico film altmaniano nella sua struttura polifonica. Solo che questa volta il mosaico di vicende umane composto dal vecchio Bob e' intriso di maggiore speranza rispetto ad altri suoi film del passato. Il quadro e' molto meno cinico, il suo sguardo piu' sereno ed indulgente. Probabilmente perche' questa e' l' America rurale e innocente della provincia e non quella ad esempio ipocrita, dura e senza speranza magistralmente raccontata impietosamente in "America Oggi" , suo vero capolavoro.E dire che al contrario lo spunto di partenza avrebbe potuto portare l'autore in tutt'altra direzione. Si racconta infatti, con tono quasi documentaristico, dell'ultima rappresentazione di una nella realta' seguitissima trasmissione radiofonica musicale, costretta a chiudere i battenti perche' il teatro che da decenni la ospita, il Fitzgerald Theater in Minnesota (splendida la scena in cui Il cinico Tommy Lee Jones mostra tutta la sua beata ignoranza davanti al busto dello scrittore) deve esser smantellato.
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"Radio America" e' un classico film altmaniano nella sua struttura polifonica. Solo che questa volta il mosaico di vicende umane composto dal vecchio Bob e' intriso di maggiore speranza rispetto ad altri suoi film del passato. Il quadro e' molto meno cinico, il suo sguardo piu' sereno ed indulgente. Probabilmente perche' questa e' l' America rurale e innocente della provincia e non quella ad esempio ipocrita, dura e senza speranza magistralmente raccontata impietosamente in "America Oggi" , suo vero capolavoro.E dire che al contrario lo spunto di partenza avrebbe potuto portare l'autore in tutt'altra direzione. Si racconta infatti, con tono quasi documentaristico, dell'ultima rappresentazione di una nella realta' seguitissima trasmissione radiofonica musicale, costretta a chiudere i battenti perche' il teatro che da decenni la ospita, il Fitzgerald Theater in Minnesota (splendida la scena in cui Il cinico Tommy Lee Jones mostra tutta la sua beata ignoranza davanti al busto dello scrittore) deve esser smantellato. Si sa, nella vita di oggi, in Minnesota come a Milano, c'e piu' bisogno di parcheggi che di teatri. Ma nonostante si celebri un addio, il vero e proprio funerale di un mondo purtroppo giunto alla fine, Altman a sorpresa orchestra un film di inaspettata vitalita', che deve molto alle improvvisazioni dei suoi attori, seguiti quasi pedinati dalla sua telecamera, nei camerini e dietro le quinte e ancora in scena, in una lunga (e a tratti ripetitiva) serie di numeri musicali tipicamente country (prego gli allergici a tale genere di stare alla larga del fim, finirebbero per stancarsi ed annoiarsi e giudicare probabilmente il film al pari dei membri della giuria di Berlino...) tutti coordinati dal vero conduttore della trasmissione in radio, tal Garrison Keillor, che funge proprio da padrone di casa. Scelta quest'ultima rispettosa e funzionale, ma poco efficace e fascinosa cinematograficamente parlando, perche' il nostro a dir la verita' scompare o quasi accanto a mostri di bravura come Meryl Streep, Kevin Kline e al duo Woody Harrelson/John C.Reilly , i quali ci regalano, nei panni di due rozzi ,scherzosi e "leggermente volgarucci" cowboys i momenti piu' divertenti e riusciti del film. "Radio America" e' dunque la rappresentazione allegorica dell'ennesima faccia dell'America, malinconica ma comunque vitale.E anche davanti al dramma, la morte di uno dei membri della compagnia nel camerino del teatro, come da sempre sappiamo e come cantavano anche i Queen, "The show must go on".
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(di domien@alice.it)
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tiziana
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lunedì 19 giugno 2006
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leggerezza ad ottant'anni
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Il nuovo film di Altman è un concentrato di malinconia, dolcezza e leggerezza. Su un palcoscenico di un teatro del Midwest si svolge l’ultima puntata di un programma radiofonico oramai datato. Ma è veramente così passata di moda la stagione della radio di provincia? Più che un’ultima melanconica puntata è la vita, come Altman la concepisce, che viene raccontata proprio attraverso i beniamini radiofonici. Si alternano così sul palco cantanti country e comici non del tutto consapevoli ( gli spassosi Woody Harrelson e John C. Reilly )e i dolci personaggi di Meryl Streep e Lily Tomlin, stars del gruppo una volta costituito da tutte e tre le sorelle, prima della scomparsa di una di loro. Meryl e Lily prima di calcare la scena ed interpretatre i brani storici della loro carriera ripercorrono nei camerini le loro vite.
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Il nuovo film di Altman è un concentrato di malinconia, dolcezza e leggerezza. Su un palcoscenico di un teatro del Midwest si svolge l’ultima puntata di un programma radiofonico oramai datato. Ma è veramente così passata di moda la stagione della radio di provincia? Più che un’ultima melanconica puntata è la vita, come Altman la concepisce, che viene raccontata proprio attraverso i beniamini radiofonici. Si alternano così sul palco cantanti country e comici non del tutto consapevoli ( gli spassosi Woody Harrelson e John C. Reilly )e i dolci personaggi di Meryl Streep e Lily Tomlin, stars del gruppo una volta costituito da tutte e tre le sorelle, prima della scomparsa di una di loro. Meryl e Lily prima di calcare la scena ed interpretatre i brani storici della loro carriera ripercorrono nei camerini le loro vite. Spettatrice della narrazione è Lindsay Lohan, che interpreta la giovane figlia della Streep, oramai esausta di fronte all’emotività incontenibile della madre forse un po’ distante (ma come non esserlo almeno in apparenza) e superficiale rispetto alle sue ossessioni di adolescente. Tutto questo si svolge dietro il palcoscenico e sul palco stesso, in un’ atmosfera apparentemente frenetica, fatta di tecnici e assistenti che quantificano i tempi, coordinatori affettuosi delle stars, che, nonostante i ritardi e le distrazioni, rimangono in realtà sempre sul pezzo e dimostrano come l’arte, indispensabile nella vita, dell’improvvisazione sia un requisito che solo l’esperienza dona. Il presentatore e cantante interpretato da Garrison Keillor si prodiga sul palco con la leggerezza di una libellula che conosce il significato della brevità della vita. Tra tutti si aggira Asfodelo (Virginia Madsen), angelo della morte e della consolazione, perfettamente a proprio agio tra il coro di artisti, i quali non si stupiscono della presenza e si preoccupano solo di non essere il motivo dell’apparizione. Kevin Kline con la grazia di un attore di F. Capra, salva all’ultimo lo spettacolo con la complicità dell’angelo, anche se sarà tutto inutile. Poco importa: è la musica di una vita corale che salva, forse anche dalla morte.
Da vedere
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bobtheheat
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martedì 5 settembre 2006
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saper raccontare l'america
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"Radio America" e' un classico film altmaniano nella sua struttura polifonica. Solo che questa volta il mosaico di vicende umane composto dal vecchio Bob e' intriso di maggiore speranza rispetto ad altri suoi film del passato. Il quadro e' molto meno cinico, il suo sguardo piu' sereno ed indulgente. Probabilmente perche' questa e' l' America rurale e innocente della provincia e non quella ad esempio ipocrita, dura e senza speranza magistralmente raccontata impietosamente in "America Oggi" , suo vero capolavoro.E dire che al contrario lo spunto di partenza avrebbe potuto portare l'autore in tutt'altra direzione. Si racconta infatti, con tono quasi documentaristico, dell'ultima rappresentazione di una nella realta' seguitissima trasmissione radiofonica musicale, costretta a chiudere i battenti perche' il teatro che da decenni la ospita, il Fitzgerald Theater in Minnesota (splendida la scena in cui Il cinico Tommy Lee Jones mostra tutta la sua beata ignoranza davanti al busto dello scrittore) deve esser smantellato.
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"Radio America" e' un classico film altmaniano nella sua struttura polifonica. Solo che questa volta il mosaico di vicende umane composto dal vecchio Bob e' intriso di maggiore speranza rispetto ad altri suoi film del passato. Il quadro e' molto meno cinico, il suo sguardo piu' sereno ed indulgente. Probabilmente perche' questa e' l' America rurale e innocente della provincia e non quella ad esempio ipocrita, dura e senza speranza magistralmente raccontata impietosamente in "America Oggi" , suo vero capolavoro.E dire che al contrario lo spunto di partenza avrebbe potuto portare l'autore in tutt'altra direzione. Si racconta infatti, con tono quasi documentaristico, dell'ultima rappresentazione di una nella realta' seguitissima trasmissione radiofonica musicale, costretta a chiudere i battenti perche' il teatro che da decenni la ospita, il Fitzgerald Theater in Minnesota (splendida la scena in cui Il cinico Tommy Lee Jones mostra tutta la sua beata ignoranza davanti al busto dello scrittore) deve esser smantellato. Si sa, nella vita di oggi, in Minnesota come a Milano, c'e piu' bisogno di parcheggi che di teatri. Ma nonostante si celebri un addio, il vero e proprio funerale di un mondo purtroppo giunto alla fine, Altman a sorpresa orchestra un film di inaspettata vitalita', che deve molto alle improvvisazioni dei suoi attori, seguiti quasi pedinati dalla sua telecamera, nei camerini e dietro le quinte e ancora in scena, in una lunga (e a tratti ripetitiva) serie di numeri musicali tipicamente country (prego gli allergici a tale genere di stare alla larga del fim, finirebbero per stancarsi ed annoiarsi e giudicare probabilmente il film al pari dei membri della giuria di Berlino...) tutti coordinati dal vero conduttore della trasmissione in radio, tal Garrison Keillor, che funge proprio da padrone di casa. Scelta quest'ultima rispettosa e funzionale, ma poco efficace e fascinosa cinematograficamente parlando, perche' il nostro a dir la verita' scompare o quasi accanto a mostri di bravura come Meryl Streep, Kevin Kline e al duo Woody Harrelson/John C.Reilly , i quali ci regalano, nei panni di due rozzi ,scherzosi e "leggermente volgarucci" cowboys i momenti piu' divertenti e riusciti del film. "Radio America" e' dunque la rappresentazione allegorica dell'ennesima faccia dell'America, malinconica ma comunque vitale.E anche davanti al dramma, la morte di uno dei membri della compagnia nel camerino del teatro, come da sempre sappiamo e come cantavano anche i Queen, "The show must go on".
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