Cesare deve morire |
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Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani.
Con Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti.
continua»
Docu-fiction,
durata 77 min.
- Italia 2012.
- Sacher
uscita venerdì 2 marzo 2012.
MYMONETRO
Cesare deve morire
valutazione media:
3,75
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Ciak in carcere
di Roberto Escobar L'Espresso
Uno dopo l’altro si siedono, dicono il proprio nome e quelli del padre e della madre. Lo fanno prima con dolore e poi con rabbia, ma sempre immaginando d'essere interrogati a un posto di frontiera, mentre si separano dalla propria donna. Così, inducendoli a mostrare la loro verità profonda, Fabio Cavalli sceglie gli interpreti del “Giulio Cesare’ in una sequenza di "Cesare deve morire" (Italia. 2012. 76’). Da anni Cavalli fa teatro con i detenuti,e ora sta con loro davanti alla macchina da presa di Paolo e Vittorio Taviani. Insieme, i tre registi mettono in scena William Shakespeare nel reparto di alta sicurezza di Rebibbia: palcoscenico insolito, ma popolato dalle stesse ombre di potere e sangue che percorrono la tragedia. Non c’è pietismo, in questo splendido film, e ancora meno c’è la moralissima presunzione di superiorità che spesso vive nello sguardo che i “buoni” volgono sui "malvagi”. Sono uomini, non criminali condannati, quelli che tra i corridoi e le celle del carcere si misurano con le passioni, la grandezza e la morte di altri uomini che il tempo ha ridotto a polvere, ma le cui storie tornano ben vive nelle emozioni del teatro e della parola poetica. Questo fanno Cosimo Rega (Cassio), Salvatore Striano (Bruto), Giovanni Arcuri (Cesare), Antonio Frasca (Antonio) e gli altri, tutti bravi oltre ogni attesa: entrano in quelle emozioni, vivono quelle storie, diventano quegli uomini. E noi con loro. Non pesa la povertà della scena, ne l’angustia dei luoghi. Anzi, la regia - sia teatrale, sia cinematogafica - trastigura l’una e l’altra in potenza espressiva e in immediatezza poetica. Chi sono questi uomini che vediamo ridare vita a passioni che hanno attraversato il tempo, e che ora sentiamo come nostre? E come fanno a scendere così nel fondo di quelle passioni? Perché quando congiurano per la libertà, o quando mostrano la tracotanza del potere, o quando uccidono e muoiono, a noi pare che non di una messa in scena si tratti, ma di una identificazione delle loro vite con le vite tragiche narrate da Shakespeare? Perché della vita conoscono le ombre e il buio, il dolore e la rabbia, e perché in Shakespeare trovano un riscatto poetico dalla loro stessa tragedia. Così ci viene da dire, ma subito ci arrestiamo. Nella risposta c’è un residuo, forse l’ultimo, di pietismo e di presunzione. Preferiamo pensare che siano attori, ottimi attori, e che al pari di ogni attore ci mostrino una verità teatrale, tenendo celata la loro verita profonda.
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