Paolo D'Agostini
La Repubblica
Un gioiello. Non attori ma una vera famiglia - quattro generazioni - di pastori nomadi del Deserto dei Gobi in Mongolia, e le azioni sono quelle della loro vita quotidiana. Ma per ridurre l'approssimazione della definizione "documentario" bisogna quantomeno aggiungere "poetico". La ricchezza di questa famiglia sono i cammelli, la loro elementare economia ruota intorno a questi animali simbolo di tenacia e resistenza. Tra i rituali che si ripetono nella loro vita senza tempo c'è il parto del cammello femmina.
Questa volta è particolarmente faticoso, nasce un bel cucciolo bianco ma la madre lo respinge, si rifiuta di nutrirlo. Il piccolo piange in modo straziante, che fare? Vengono inviati in città i due bambini della famiglia. Devono cercare il musicista. Con il suo strumento rudimentale accompagnerà una litania che dovrà servire a commuovere la mamma cammello e salvare la vita al cucciolo. Non sarà facile, ma così sarà.
I due giovani registi, una mongola e un italiano che hanno studiato alla scuola di cinema di Monaco, non promuovono un'immagine pittoresca e ipocrita della perduta armonia primordiale: i bambini della famiglia, cresciuti gioiosamente nell'isolamento e giocando con i residui di plastica della "civiltà dei consumi", vorrebbero il gameboy e la tv. E l'avranno alla fine, misureranno l'essere se stessi con la contaminazione, figli di una cultura arcaica ma non chiusa.
Bell'esemplare nell'ambito della rinascita del documentario.
Da La Repubblica, 27 maggio 2005
di Paolo D'Agostini, 27 maggio 2005