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Todd Haynes

Todd Haynes è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, art director, è nato il 2 gennaio 1961 a Los Angeles, California (USA).
Nel 1998 ha ricevuto il premio come premio per il miglior contributo artistico al Festival di Cannes per il film Velvet Goldmine. Todd Haynes ha oggi 63 anni ed è del segno zodiacale Capricorno.

Chiamatemi indie

A cura di Fabio Secchi Frau

Modernissimo regista e sceneggiatore indie americano, conosciuto per pellicole come Poison, Velvet Goldmine, Safe e il film pluricandidati agli Oscar Lontano dal Paradiso e Io non sono qui, con i quali ha saputo, nell'era della globalità, permettersi di saltabeccare da un genere a un altro, girando film con stili sperimentali (ha diretto il biopic sulla defunta cantante Karen Carpenter Superstar - The Karen Carpenter Story con le bambole Barbie) che hanno attirato l'attenzione di tanti per il circuito indipendente. Il suo mantra è l'imprevedibilità e il suo stile è profondamente evocativo, che viene però sovvertito da elementi narrativi e visivi provocanti, trasgressivi e che vogliono portare alla luce tutta la complessità dell'erotismo. Non è il solito regista gay che vuole film gay (non vuole che la sintesi del suo lavoro sia semplicemente questa) e non vede molto bene il suo nome affiancato a quello del movimento del New Queer Cinema, seppure i suoi lavori tendano comunque a esplorare o ridefinire i contorni della cultura queer statunitense attuale e del passato. Più precisamente, Haynes spinge ogni fibra del suo essere artistico verso una descrizione dell'identità e della sessualità all'interno di un'ottica postmodernista, dove i concetti e i costrutti sociali e individuali devono cambiare, fluire e mutare se vogliono essere più in coerenti con se stessi. Gran parte dei protagonisti del suoi film (la prima fra tutte è Julianne Moore, sua amica e, secondo lui, regina del cinema contemporaneo) sono persone con una posizione invidiabile nella nervosa società Made in USA che però preferiscono lo status di outsiders e di sovversivi, perché si rendono conto che le norme comuni, pubbliche e conformiste li fanno soffrire. Nell'universo di Haynes, è la sessualità (dei protagonisti o di chi ruota intorno a loro) a essere la pericolosa forza che rompe le regole sociali e che porta la fine delle repressioni in una struttura caratterizzata da poteri di dominio sulle esistenze più ordinarie. Se ne riconosce quinti tutta l'importanza, che diventa necessità anche di fronte alla nascita di stimoli creativi di un artista, oltre che come fonte di opportunità di libertà personali e sociali. Sorprendentemente, si fa anche cantore di straordinari e anticonvenzionali ritratti di artisti e musicisti (la Karen Carpenter di Superstar, il David Bowie di Velvet Goldmine e il Bob Dylan di Io non sono qui), sfruttando al massimo il mezzo cinematografico. Pulito, formale, è un cineasta che reinventa generi vari (documentari, melodramma, art cinema, biopic), perché la sua idea di cinema è sempre stata quella della sfida ed pensa che il suo lavoro sia un perenne primo giorno di scuola: non importa quanti film hai fatto e quanti premi hai vinto. Canalizzatore di ansie ed eccitazioni, potente, intellettuale, manipolatore di immagini, si è imposto come uno dei più moderni, freschi e viscerali autori dei nostri tempi, cantore del terrore delle donne represse nella stabilità sociale statunitense, cui non interessava cosa pensavano di chi o di cosa, ma semplicemente che fossero feconde, attraenti per i vicini, il capo del marito, le amiche, così da garantire l'immagine perfetta della famiglia americana e, naturalmente, un matrimonio perfetto e la prole.

Infanzia
Todd Haynes nasce il 2 gennaio 1961 a Encino, un paese vicino a Los Angeles da un venditore di cosmetici, Allen E. Haynes, e da una casalinga che, prima di sposarsi, aveva studiato recitazione, Sherry Lynne Semler (che ha fatto una brevissima apparizione in Io non sono qui). Cresciuto assieme ai fratelli Gwynneth (che entrerà poi a far parte della band Sophe Lux), Shawn e Wendy, sviluppa fin dall'adolescenza una passione immensa per il cinema.

Studi e lo scandalo di Superstar - The Karen Carpenter Story
Nel 1978, ha già diretto un cortometraggio The Suicide. Iscrittosi al corso di semiotica della Brown University, dirige un nuovo cortometraggio Assassins - A film Concerning Rimbaud (1985), ispirato al suo poeta francese preferito Arthur Rimbaud (un autore che Haynes riproporrà spesso, soprattutto in Io non sono qui). Dopo essersi laureato in arte e semiotica, si sposta a New York, dove si impegna nel circuito del cinema indipendente, creando Apparatus Productions, una organizzazione no-profit di supporto al cinema indie. Alla fine degli Anni Ottanta, mentre è uno studente del Bard College, realizza il suo terzo cortometraggio Superstar - The Karen Carpenter Story, una cronaca della vita della cantante pop americana Karen Carpenter. La cosa particolare di questo corto è che Haynes, invece di scegliere attori in carne e ossa, preferisce usare delle bambole Barbie. Malgrado questo aspetto sperimentale della pellicola, il giovane autore non addolcisce la trama e racconta della durissima battaglia della Carpenter contro l'anoressia e la bulimia, che la portarono alla morte e che, nell'opera, vengono rappresentate da Haynes proprio livellando la "Karen Barbie" in faccia e corpo con un coltello, fino a lasciarla completamente scheletrica. Il film è anche noto per alcune sequenze oniriche in cui Karen Carpenter, ormai in uno stato di salute che aveva portato anche un notevole deterioramento mentale, veniva sculacciata dal padre. Ma lo scandalo non è dovuto solo all'aspetto visivo del film. Haynes usò le canzoni più popolari dei Carpenter pur senza averne il consenso da parte del fratello della cantante, Richard Carpenter, il quale, oltretutto denunciò il film per aver infranto il copyright e definì il corto "a dir poco offensivo" per averlo descritto come un bully narcisistico e latentemente omosessuale. Vincendo la causa, Richard Carpenter ottenne che il film venisse rimosso dalla sua pubblica distribuzione. Purtroppo, così non è e una versione del film circola in rete.

Poison e la battaglia del Reverendo Wildmon
Questo comunque non ferma Haynes che, uscito con un bel po' di pubblicità da tutta la faccenda, trova il denaro sufficiente per girare quello che sarà il suo primo lungometraggio Poison nel 1991. Anche questa volta, Haynes non vuole rinunciare a creare scandalo e decide di trasporre sul grande schermo i racconti del trasgressivo scrittore gay Jean Genet, in un trittico a tema queer che mischia diversi generi cinematografici (documentario, fantascienza, horror, romantico, drammatico). Hero (un bambino di sette anni che uccide il padre e scappa), Horror (uno scienziato riesce a isolare l'elisir della sessualità umana, ma assumendolo diventa un assassino) e Homo (un detenuto di un carcere racconta di un detenuto più giovane conosciuto tanti anni prima), i tre episodi che compongono questa pellicola, sono acclamati per il loro gusto controverso, per come ben rappresentino la visione sadomasochista delle relazioni gay degli Anni Novanta. Il film ha anche il merito di segnare la prima collaborazione di Haynes con la produttrice Christine Vachon, che da allora finanzierà ogni sua opera. Ovviamente, non sfugge all'ira dei fondamentalisti cattolici americani, ben rappresentati dal Reverendo Donald Wildmon, capo dell'American Family Association, che criticherà Poison e altri film diretti da registi gay e lesbiche. Wildmon tenterà di intraprendere un boicottaggio della pellicola, accusandola per le sue esplicite scene di porno-omosessualità che culminano in rapporti anali. Intanto, né Haynes, né la sua produttrice, danno particolare importanza alla campagna dell'uomo religioso (che in passato e in futuro avrà da scagliarsi contro qualsiasi cosa avesse anche il minimo accenno di ambiguità sessuale come Dallas, L'ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, il videoclip "Like a prayer" di Madonna, la sitcom Tre cuori in affitto e addirittura alcuni film e cartoni animati di Disney), e portano Poison fino al Sundance Film Festival, vincendo il Gran Premio della Giuria e facendo finalmente emergere il talento di Haynes come una delle voci più trasgressive della sua nuova generazione e del New Queer Cinema Movement.

Safe
Nel 1993 arriva un nuovo cortometraggio Dottie Gets Spanked incentrato su un tranquillo e gentile bambino degli Anni Sessanta che ha un apporto quasi simbiotico con la star della sua sitcom preferita, Dottie. Due anni più tardi, dirige il suo secondo lungometraggio Safe, ritratto di una casalinga della San Fernando Valley (interpretata da Julianne Moore, che diventerà in seguito una delle sue più care amiche) che sviluppa improvvisamente una serie di reazioni allergiche che le faranno totalmente cambiare il suo stile di vita. Passando per statiche fasi di profonda depressione, all'interno della quale la protagonista si trasforma da comune, sterile, vuota donna invisibile americana post Anni Cinquanta, anestetizzata dal conformismo e dal consumismo materiale, a una consapevole figura che scopre di amare se stessa malgrado l'incapacità di accettare una vita "normale", Haynes mette sul grande schermo un'ambigua storia di emancipazione femminile e una riscoperta (o costruzione) della propria identità, lontana da oppressioni, disuguaglianze e repressioni di una società maschilista. Alcuni studiosi di cinema vedono nella misteriosa malattia della protagonista lo spettro dell'AIDS che, in quegli anni, terrorizzava l'America, principalmente esteriorizzata in quella tensione costante che qualsiasi cosa possa minacciare la propria salute e che diventa anche un malessere interiore, un'inquietudine contemporanea. Finalmente, ci si accorge che il vero lavoro di Haynes non è quello di stupire lo spettatore con storie curiose e sessualmente immorali (come il Reverendo Wildmon diceva), ma cambiare la tradizionale narrativa femminile e cinematografica hollywoodiana, rifacendosi alla cinematografia europea che era molto più avanti per contenuti di quella stelle e strisce.

Il tributo al glam rock con Velvet Goldmine
Nel 1998, cambia totalmente obiettivi e realizza quello che è il più grande, caotico e internazionale tributo cinematografico alla glam rock era Anni Settanta con Velvet Goldmine, dirigendo con un radicale nuovo tocco registico (una ricostruzione biografica non lineare, colori fluorescenti e sgargianti, grande attenzione per i costumi) un cast costituito da Christian Bale, Ewan McGregor, Jonathan Rhys-Meyers e la fin troppo sottovalutata Toni Collette. Principalmente girato in Inghilterra, il film raccoglie da subito consensi mondiali. Piace ai patiti della storia del rock, piace ai numerosi fans del gotha del glam rock (David Bowie, Iggy Pop e Lou Reed), piace ai lettori di Oscar Wilde (che ritrovano in alcune battute del film i suoi aforismi e la sua investitura a padre spirituale di questo movimento musicale), piace alla comunità LGBT che ne apprezza l'ambiguità e i temi della sperimentazione sessuale in un'epoca in cui essere bisessuali era quasi una moda e i teenagers omosessuali trovavano una vita di fuga dal conformismo etero attraverso la musica. Velvet Goldmine, che ha non pochi tributi per struttura al capolavoro Quarto potere di Orson Welles, segue un giornalista britannico (Bale) che si inoltra nel passato mondo del glam rock Anni Settanta, trovando musicisti come il cantante androgino di boa vestito Brian Slade (Rhys Meyers), che si esibisce con il suo alter ego Maxwell Demon (una sorta di incarnazione di Bowie ai tempi di "Ziggy Stardust"), e come Curt Wild (McGregor) che invece è una versione di Iggy Pop. Fra miti, verità, sessualità (i due rocker nel film hanno una relazione che assomiglia non poco a quella raccontata da certi pettegolezzi che volevano Lou Reed assieme a David Bowie), decadenza, morte, fuga dalle scene, si attraversano tutte le fasi principali di un movimento che poi ha portò, negli Anni Novanta, a un ripristino dello stereotipo della pop star eterosessuale. Haynes ne approfitta anche per criticare ferocemente l'omofobia medica, riprendendo i reali episodi di trattamenti di elettroshock cui fu sottoposto Lou Reed per "curare" la sua omosessualità, e facendoli attraversare (con dei flashback) al personaggio di Curt. Imparando la lezione da Superstar, Haynes chiede a Bowie di poter usare le sue canzoni per la colonna sonora. Bowie declina e ad Haynes non rimane altro che chiedere alle contemporanee rock bands di quegli anni (una di queste fu i Suede) di poter creare delle musiche che fossero una combinazione di canzoni originali e vecchi brani glam-rock, con un risultato a dir poco eccelso. Velvet Goldmine viene presentato in anteprima al Festival di Cannes del 1998 e vince il premio speciale della Giuria per il miglior contributo artistico, a dispetto della critica che inizialmente non ama le performance di McGregor e Rhys Meyers.

Il capolavoro: Lontano dal Paradiso
Arriva invece nel 2002, il suo capolavoro, Lontano dal Paradiso, un grandissimo e fulgido esempio di cinema d'autore traducibile in elogi della critica e in un successo commerciale. Haynes, stavolta, si ispira ai drammi degli sciovinisti Anni Cinquanta del grandissimo cineasta Douglas Sirk e racconta la vita di una casalinga del Connecticut, Cathy Whittaker (una Julianne Moore che è entusiasta di lavorare di nuovo con lui, anche perché il ruolo è stato scritto apposta per lei), che scopre la segreta omosessualità del marito (Dennis Quaid), innamorandosi successivamente del suo giardiniere afro-americano Raymond (Dennys Haysbert). Una cura certosina per colori, costumi, luci e scenografie esalta ancora di più questo melodramma americano che vuole, anche in certe situazioni, richiamare il fantasma di Sirk e dei suoi film più belli. La relazione della protagonista con il suo giardiniere ricorda quella di Jane Wyman e Rock Hudson in Secondo amore, quella fra Cathy e la sua cameriera afro-americana (Viola Davis) invece quella fra Lana Turner e Juanita Moore in Lo specchio della vita. Il lavoro è assolutamente eccelso anche dal punto di vista del linguaggio narrativo che esalta elementi e temi sessuali (con le relazioni extraconiugali gay del marito) e politici (l'amore interraziale) che nell'era sirkiana non avrebbero mai potuto trovare posto e li intinge di una melanconia che poi si ritroverà nel televisivo Mildred Pierce (altro grandissimo tributo ai melodrammi strappalacrime Anni Quaranta-Cinquanta). La Moore viene immediatamente candidata all'Oscar, dopo aver meritatamente vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia, mentre Haynes viene candidato al medesimo premio per la sceneggiatura originale e il compositore Elmer Bernstein per la colonna sonora. Non poteva mancare chiaramente una candidatura anche le la fotografia. Purtroppo, il film non ottiene nemmeno una delle quattro statuette, ma ha avuto storicamente il pregio di interrompere l'attenzione dell'Academy, che fino ad allora era concentrata solo ed esclusivamente su grandi pellicole dell'industria cinematografica, e di spostarlo verso i film indie.

Io non sono qui
Nel 2007, presenta alla 64° Edizione del Festival di Venezia (dove vince il Premio Speciale della Giuria) l'ammirevole Io non sono qui, un altro radicale cambiamento di stile di Haynes, che ritorna alla mitologia musicale, mettendo sotto la lente d'ingrandimento la folk music e, in particolare, la vita del leggendario Bob Dylan, interpretato da sette personaggi d'immaginazione recitati da sei attori: Richard Gere (che veste i panni dell'esiliato Billy), Cate Blanchett (che invece è Jude, un cantante che entra in contatto con la pop art e con la Warhol's Factory, legandosi a una fotomodella interpretata da Michelle Williams, basata sul personaggio di Edie Sedgwick), Marcus Carl Franklin (che interpreta Woody, un teenager afro-americano e che dovrebbe rappresentare il periodo in cui il cantautore aveva una profonda stima per il musicista Woody Guthrie), Heath Ledger (che è Robbie, un attore innamorato della pittrice Claire, dalla quale ha avuto dei figli e che vede la sua relazione naufragare in un divorzio a causa della sua troppa misoginia), Ben Whishaw (che interpreta Arthur, un ragazzo che si interroga sulle responsabilità dell'artista per la società) e Christian Bale (che racconta il periodo della musica folk al servizio del movimento dei diritti civili negli Anni Sessanta).
Stavolta, il mondo della musica gli è riconoscente e lo stesso menestrello di Duluth dà la sua benedizione a procedere, con tanto di permesso di suo sulle sue canzoni, in quello che non è un vero e proprio biopic, ma una riassunto percettivo di un artista musicale camaleontico.
La linea narrativa, i dialoghi, i personaggi, la costruzione visiva delle scene sono chiaramente influenzate dalla produzione di Dylan, dai suoi testi, dalla sua storia personale, ma si sposano a uno stile cinematografico Anni Sessanta-Settanta ( di Federico Fellini, Il maschio e la femmina di Jean-Luc Godard, I compari di Robert Altman).

Mildred Pierce e Carol
Nel 2011, Haynes si avvicina alla dimensione televisiva dirigendo la miniserie Mildred Pierce per la HBO. Il telefilm, basato sul romanzo di James M. Cain e già portato sul grande schermo nel 1945 da Joan Crawford, ha come attrice protagonista Kate Winslet, intorno alla quale ruotano attori come Guy Pearce, Evan Rachel Wood, Melissa Leo, James LeGros e Hope Davis.
Dopo un'assenza di quasi dieci anni dal grande schermo Haynes firma Carol, adattamento del romanzo omonimo del 1952 di Patricia Highsmith, dirigendo nuovamente la Blanchett e inserendo nel cast anche nuove attrici e attori con i quali non ha mai lavorato come Rooney Mara, Sarah Paulson e Kyle Chandler. Il film viene distribuito dalla Weinstein Company e presentato al Festival di Cannes del 2015 e racconta la vita della newyorkese Carol, donna elegante, sofisticata e benestante degli anni Cinquanta che è in trattative con il marito per il divorzio e, soprattutto, l'affidamento della figlia, ma la cui vita verrà arricchita dall'incontro romantico con la giovane commessa Therese.

Altri film
Nel 2017, firma La stanza delle meraviglie (2017), pellicola tratta dall'omonima graphic novel di Brian Selznick, che racconta la storia di due bambini di epoche diverse, il 1927 e il 1977, alla ricerca di una vita diversa da quella che vivono.
Sceglie di girare con maniacale precisione in bianco e nero e col muto la parte del film ambientata nel 1927, mentre a colori e col sonoro quella ambientata nel 1977, minando la solita logica narrativa, anzi sfruttando un'affascinante simmetria totalmente artigianale (non fa mai ricorso alla tecnologia digitale). Ma nonostante l'impegno, però il film non convince la critica ed è praticamente evitato dal pubblico, che non sembra interessato nemmeno all'influenza simil-spielberghiana della trama.
Cambia poi totalmente registro con Cattive acque (2019), vera storia di Robert Bilott, avvocato ambientalista, protagonista di una lunga battaglia legate pluriennale contro il colosso chimico DuPont. La pellicola, ingrigita dalle brutture della trama e dall'argomento, non sembra neanche una sua creazione filmica e c'è chi già pensa che Haynes si sia definitivamente arreso alle pellicole hollywoodiane senza anima.
Nel 2021, realizza però il documentario The Velvet Underground (2021), sulla band musicale rock'n'roll che ha cambiato col suo sound innovativo il mondo della musica e della cultura. Sarà poi il turno di May December (2023), con il gradito ritorno della sua adorata Julianne Moore.

Ultimi film

Drammatico, (USA - 2023), 113 min.
Drammatico, (USA - 2019), 126 min.
SERIE - Drammatico, (USA - 2011)
Musicale, (USA - 2007), 135 min.

Focus

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martedì 18 luglio 2017
 

Il Locarno Festival omaggia con il Pardo d'onore Manor Todd Haynes, regista, sceneggiatore e produttore statunitense. È il 1991 e al Locarno Festival tra i 19 film che si contendono il Pardo d'oro c'è Poison, di Todd Haynes, al suo esordio cinematografico. Arrivato dopo alcuni sorprendenti cortometraggi, il film - tratto da opere di Jean Genet - segna la cifra stilistica dell'autore americano. Haynes non fa del suo cinema uno strumento di propaganda, bensì uno strumento al servizio di una realtà da scoprire, capire, raccontare

I film più famosi

Musicale, (USA - 2007), 135 min.
Drammatico, (USA - 2019), 126 min.
Drammatico, (USA - 2023), 113 min.
SERIE - Drammatico, (USA - 2011)
Drammatico, (USA - 1995), 116 min.
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