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Andrei Tarkovsky

Andrei Tarkovsky (Andrei Arsenyevich Tarkovskij) è un attore bielorusso, regista, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 4 aprile 1932 a Zavrazhe (Bielorussia) ed è morto il 29 dicembre 1986 all'età di 54 anni a Parigi (Francia).
Nel 1983 ha ricevuto il premio come gran premio speciale cinema di creazione al Festival di Cannes per il film Nostalghia. Dal 1980 al 1983 Andrei Tarkovsky ha vinto 2 premi: David di Donatello (1980), Festival di Cannes (1983).

Si avvicinò al cinema in un momento in cui l'Unione Sovietica, dopo la morte di Stalin, viveva una stagione di liberalizzazione che permetteva anche a voci fuori dal coro di trovare espressione. Con questa apertura, il regime voleva dimostrare che, al di là della sua struttura unitaria, esisteva al suo interno una diversificazione di forze vive.
Il rullo compressore e il violino (1960), primo mediometraggio di Tarkovskij, è sicuramente figlio di questo tempo: utilizza infatti un soggetto - l'infanzia e l'adolescenza - che per la sua potenzialità metaforica di trasmettere messaggi di cambiamento e di speranza, era molto in auge in quegli anni.
Lo stesso dicasi per L'infanzia di Ivan (1962), il cui segno di novità è rappresentato dal racconto intimista e personale che viene fatto della guerra, che non è più la grande guerra patriottica e antinazista, ma diventa l'esperienza di un singolo. La storia di Ivan inoltre, rimasto orfano e costretto a diventare grande troppo in fretta, prima da solo e poi accanto ai soldati, è densa di richiami all'infanzia del regista, vissuta in piena Guerra mondiale. Tarkovskij evidenzia il paradosso di una generazione che ha a tal punto coltivato il proprio immaginario con la guerra, che convive con la morte e si trova a disagio in un'epoca di pace. Questa condizione, sebbene sia un dato generazionale, non assume mai connotati sociali: l'attenzione del regista è sempre e solo indirizzata all'individuo. La sua maniera di far cinema, espressione di un disagio vissuto e descritto in maniera soggettiva, trova una delle sue motivazioni nell'opposizione all'ideologia che il regime politico tende ad imporre in campo artistico. E i film di Tarkovskij sono pieni di riferimenti al mondo in cui vive.
Questa aderenza ad una realtà precisa è fondamentale per comprendere la produzione successiva di Tarkovskij. A cominciare da Andreij Rublëv (1969) che contiene riferimenti culturali che appaiano lontani per un pubblico occidentale e caratteristici della cultura russa. In questo film, che racconta la vita di un grande artista russo, un pittore di icone vissuto alla fine del Trecento, appare chiara la complessità dell'autore, la sua tensione spirituale rivolta a sciogliere gli interrogativi fondamentali sull'uomo e sull'esistenza. Una tale ricerca non ha bisogno di nessun legame con la quotidianità, ma solo di immagini che possano aiutare a leggere i messaggi della coscienza. È attraverso questa via che arrivano nell'opera di Tarkovskij le suggestioni mistiche e le allusioni all'assoluto e alla trascendenza, difficili da valutare alla luce di tradizionali canoni interpretativi. Quello che si percepisce sono tensioni, malesseri, dubbi, e soprattutto un conflitto latente tra mondo spirituale e situazioni materiali, che si accresce pian piano fino a definirsi in maniera compiuta in Sacrificio (1986), ultimo film di Tarkovskij girato quando già la malattia lo fiaccava e diveniva sempre più forte la sensazione che l'evoluzione rapida della tecnica e della scienza dovesse prendere il sopravvento sui valori morali. Una sensazione apocalittica alla quale sentiva di poter rispondere solo attraverso il recupero di quell'energia e di quell'impegno spirituale che solo l'arte può dare. Nella sua ottica infatti l'artista deve mantenere uno stretto rapporto con la collettività, educarla moralmente, aiutarla nella ricerca della verità. È questa responsabilità che bandisce dal suo cinema tutto ciò che è banale, scontato, per misurarsi con tematiche e forme di raffigurazione che mirano a cogliere ciò che è più duraturo.
Una ricerca in un mondo di ideali, in una zona che, come appare in Stalker (1979), è circondata da filo spinato, ma nella quale possono trovare posto i sogni degli uomini. Un mondo dove la comunicazione è affidata a simboli di molteplice interpretazione, le cui digressioni iconografiche sono quadri di Bosch, Leonardo, Bruegel, Rembrandt, Dürer, le cui atmosfere vibrano delle suggestioni di musiche che attingono da Bach o da Beethoven, fino al folcklore scandinavo e giapponese. Un impianto narrativo che si arricchirà anche di elementi architettonici italiani quando nel 1983, divenutogli ormai impossibile il lavoro in patria, sceglie la provincia di Siena e la collaborazione alla sceneggiatura di Tonino Guerra per girare Nostàlghia.
Sono tutti questi elementi a chiarire, più che la trama dei singoli film, la cifra stilistica di Tarkovskij, che rifugge completamente da qualsiasi tentazione di intreccio e di racconto, da accelerazioni di montaggio, da logiche narrative tradizionali. Mai come nel suo cinema, la singola inquadratura, i semplici elementi che la compongono, trasmettono la sensazione della poesia. Mai come nel suo cinema è possibile rintracciare odori e colori, la fisicità dei corpi e delle cose, la limpidezza dell'acqua e il sapore della terra, ma anche la tensione a superare la materialità del mondo che ci circonda per giungere in una dimensione in cui non tutte le cose sono visibili con lo sguardo.

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