All'interno del panorama del cinema contemporaneo pochi registi possono vantare una filmografia coerente e di qualità come quella di Michael Mann, un regista che ha attraversato gli ultimi trent'anni di storia del cinema americano affrontando un genere come il poliziesco e portandolo a livelli di raffinatezza visiva e di introspezione psicologica assoluti. Michael Mann è nato a Chicago il 5 febbraio 1943. Dopo essersi laureato in letteratura inglese presso l'Università del Wisconsin, Mann si innamorò del cinema e della regia in particolare: abbandonò così l'idea di una carriera accademica e nel 1964 partì per l'Inghilterra. Frequentò le lezioni della prestigiosa London International Film School durante tutta la seconda metà degli anni Sessanta. Seguendo un trend inaugurato da alcuni registi attivi sul suolo inglese in quegli anni (ad esempio Alan Parker e i fratelli Ridley e Tony Scott) anche Mann si dedicò alla pubblicità e al cortometraggio.
Uno dei suoi primi progetti fu un documentario per la NBC dedicato alle rivolte parigine del '68; poco dopo vinse a Cannes un premio per un suo corto intitolato Jaunpuri. Siamo nel 1971 e Mann ritorna negli Stati Uniti. Si mette subito al lavoro su un documentario tutto incentrato sulla figura di un corrispondente del "Newsweek" che riscopre la sua terra originaria dopo essere stato via per molti anni: una storia che descrive molto da vicino quello che doveva essere lo stato d'animo del regista in quel periodo. Iniziò a lavorare come produttore esecutivo per la 20th Century Fox e recitò in alcune pellicole di secondo piano. Cominciò soprattutto a farsi notare con la scrittura di alcuni episodi di serie televisive di grande successo in quel periodo: Police Story e la celebre Starsky e Hutch. Questo gli permise di lavorare nel 1978 sulla produzione di un'altra serie, Vegas, una delle più seguite dell'intera stagione televisiva.
E così, di successo in successo, Mann riesce ad avvicinarsi sempre più al mondo del cinema: nel 1979 gira Jericho Mile, un film per la tv che verrà poi proiettato anche nei cinema. È il suo battesimo di fuoco sul grande schermo. La storia di un omicida condannato all'ergastolo che si allena in carcere e riesce a conquistare il record dei 1500 metri è raccontata in modo crudo e realistico. Il film fu girato all'interno della prigione di Folsom, un nome che ritornerà spesso sulla bocca dei personaggi delle pellicole successive. La critica dimostrò di apprezzare: Jericho Mile fu nominato agli Emmy come miglior film drammatico e Mann vinse il premio per la migliore sceneggiatura mentre la Director's Guild of America gli assegnò il premio per la migliore regia. Nel 1981 si occupa della sua prima pellicola pensata specificamente per il cinema: supportato da un attore in stato di grazia, James Caan, realizza Strade violente, un noir metropolitano lento e sinuoso, ambientato nelle strade notturne e piovose di Chicago. Strade violente è il primo lavoro in cui Mann lascia trasparire il suo stile espressivo e fiammeggiante. Quello che colpisce è la bellezza e la pregnanza dell'inquadratura: il taglio sui primi piani dei volti e il cambio di fuoco sugli attori permettono al regista di stringere i campi, di stare addosso ai personaggi per catturarne tutta la valenza psicologica e costituiscono anche una sorta di montaggio all'interno di una singola inquadratura.
Dopo la strana incursione nell'horror del 1983 con La fortezza, la televisione torna a bussare alla sua porta l'anno successivo. Dal 1984 fino al 1989 è stato il produttore esecutivo e autentica mente di Miami Vice, un serial che ha rivoluzionato il modo stesso di concepire i prodotti televisivi: sperimentazioni visive, estetica da viedoclip portata all'esasperazione e un uso massiccio della musica rock. Sull'onda del successo di Miami Vice Mann produsse dal 1986 al 1988 anche Crime Story, una serie ambientata negli anni Sessanta tra Chicago e Las Vegas, che si fece notare per il gusto originale con cui venivano ricostruiti quegli anni. Osannata dalla critica e celebrata da Abel Ferrara con un film, Crime Story non riscosse presso il pubblico lo stesso strepitoso successo di Miami Vice.
Nel 1986, all'interno di questo dedalo di impegni televisivi, Mann riesce a ritagliarsi il tempo per dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia di un film tratto da "Red Dragon", un romanzo di Thomas Harris. L'esito di questo lavoro sarà Manhunter - Frammenti di un omicidio, il suo primo capolavoro. Fa la sua comparsa ufficiale sul grande schermo lo psicologo antropofago Hannibal "The cannibal" Lecter, reso poi celebre da Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti. La storia è quella di un agente ritiratosi a vita privata dopo aver catturato lo stesso Lecter, cui viene chiesto di tornare in servizio per dare la caccia a un nuovo pericoloso serial killer che ha già sterminato due famiglie durante le notti di luna piena. Manhunter è un noir complesso, decisamente sottovalutato all'epoca della sua uscita e ricco di spunti difficili da cogliere a una prima visione. Tutto il film ruota intorno al concetto di immagine: i video e gli specchi sono il mezzo di cui si serve l'agente per arrivare al serial killer, e tutta l'indagine assume anche la valenza di una sorta di riflessione sul ruolo dello spettatore che a sua volta finisce per nutrirsi solo di immagini. Il film ha anche delle notevoli qualità spettacolari: inizia la collaborazione col direttore della fotografia Dante Spinotti e ogni inquadratura risulta così carica e satura di colori da sembrare sempre sul punto di scoppiare. Spinotti sarà anche nei film successivi la spalla ideale per permettere allo straordinario talento visivo di Mann di esprimersi al meglio.
Nel 1989 Mann dirige Sei solo agente Vincent, una sorta di prova generale prima della realizzazione, sei anni più tardi, di Heat - La sfida. Nel 1992 è la volta de L'ultimo dei Mohicani. Tratto dall'omonimo romanzo di James Fenimore Cooper, è solo all'apparenza un oggetto spurio rispetto al resto della filmografia di Mann: all'interno di una trama non semplice per via dei molti contrasti e della dilatazione dell'arco temporale riesce comunque a emergere la capacità del regista di usare e gestire gli spazi. L'unica differenza è che questa volta non sono più le ombre e le luci taglienti della metropoli a disegnare la realtà della pellicola quanto piuttosto i riflessi dell'acqua e i respiri della natura lussureggiante del Canada della seconda metà del Settecento. Alcune sequenze sono di una potenza visiva devastante, si ha quasi l'impressione che lo scherma faccia fatica a contenere tutta la forza che Mann riesce a trasmettere con la sua macchina da presa.
L'amore di Mann per le serie televisive e per la possibilità di sviluppo delle storie che la loro lunghezza consente trova espressione nei due film successivi, due pellicole che sfiorano entrambe le tre ore, due autentici gioielli nella sua filmografia: Heat - La sfida e Insider - Dietro la verità. Heat - La sfida è del 1995 ed è un noir colossale, un affresco come al cinema non se ne vedevano da un sacco di tempo. La storia è tutta centrata sul confronto-scontro tra il poliziotto Al Pacino e il ladro Robert De Niro sviluppata insieme a tutte le storie che si portano dietro gli altri personaggi. Prima di girare la spettacolare rapina nella banca, il cast si è sottoposto a un massiccio addestramento all'uso delle armi: questo è un trattamento che Mann riserva a buona parte dei suoi attori. Dato che molte delle sue storie prevedono come protagonisti dei professionisti del loro mestiere, Mann pretende dagli attori una naturalezza e una spontaneità di recitazione anche nelle situazioni più estreme costringendo così i suoi attori non solo a entrare nella psicologia del loro personaggio ma anche nel corpo e nel loro modo di usarlo.
Insider - Dietro la verità è invece del 1999 ed è una storia solo apparentemente più piccola: Russell Crowe è un ricercatore licenziato da una multinazionale del tabacco che decide di concedere un'intervista al giornalista Al Pacino rivelandogli che nelle sigarette vengono aggiunte sostanze che creano dipendenza. Un film di denuncia girato con una forza morale e visiva assolutamente senza precedenti nel panorama del cinema a stelle e strisce, un atto d'accusa contro un sistema che inevitabilmente finisce per stritolare le vite e le famiglie di due personaggi destinati comunque a perdere. Insider è la prima pellicola di Mann ispirata a una storia vera: lo spunto della sceneggiatura (scritta in coppia col fidato Eric Roth) lo diede un articolo comparso su Vanity Fair nel 1997 intitolato "L'uomo che sapeva troppo". Il film fu candidato a sette Oscar e Mann ricevette una nomination per la miglior regista. Con questi due film, Michael Mann ha portato a completa maturazione la sua ricerca stilistica improntata all'osservazione totale della scena. Una ricerca che si attua e si manifesta attraverso parziali e ripetute selezioni della messa in scena che scartano e prediligono particolari per poi ripartire nella scelta e riassorbire una forma, una luce, una situazione o un personaggio opposto al precedente, servendosi di infiniti fuochi selettivi e coraggiosi movimenti di macchina. Oltre che dell'eccezionale tecnica registica di Mann, queste due pellicole sono anche la prova di come il regista americano creda ancora nella forza del cinema, di come esistano ancora cineasti che siano disposti a mettersi in gioco raccontando delle storie complesse e a tutto tondo.
Nel 2001 riprende una storia vera, quella di Muhammad Alì e ne trae un film decisamente personale. Alì copre dieci anni della vita del campione, dalla vittoria del titolo dei massimi contro Sonny Liston al celebre incontro disputato nello Zaire contro George Foreman. Ovviamente Mann si concentra molto di più sul Muhammad Alì uomo piuttosto che sul pugile: si occupa della politica e del razzismo di quegli anni, degli omicidi di Malcolm X e di Martin Luther King, della decisione di Alì di abbandonare il suo nome da schiavo, Cassius Clay, e di convertirsi all'Islam. E ovviamente mette la sua tecnica al servizio di una pellicola in cui la fisicità del personaggio (un Will Smith che, fedele al cliché degli attori di Mann, deve essersi sottoposto a molte ore di palestra per raggiungere quelle quantità di masse muscolari) è sempre in primo piano: fa largo uso della steadycam e resta con la macchina da presa sempre attaccato al viso dei personaggi.
Mann prosegue il discorso relativo all'analisi delle personalità dei personaggi che si aggirano per le notti americane con altre due pellicole che non fanno che confermarne il talento agli occhi del pubblico e il favore da parte della critica. Nel 2004 esce Collateral, storia di un killer, Tom Cruise, che si serve di un taxista, Jamie Foxx, per uccidere tutta una serie di persone nel corso di una sola notte. Collateral è stato interamente girato nelle ore notturne e in location reali, con l'ausilio di appositi filtri per donare alla pellicola una tonalità e un'atmosfera cupa e misteriosa. Più della metà delle riprese sono state girate in digitale, donando all'aspetto finale del film quello di una vecchia pellicola di celluloide granulosa. La scelta che Mann fa dello spazio in cui articolare le proprie storie è spesso frutto di un'attentissima scelta di location reali: l'iperrealismo visivo che il regista crea è l'effetto di un'esaltazione degli elementi significativi che caratterizzano un luogo.
Nel 2006 riprende la storia dei "suoi" detective Sonny Crockett e Rico Tubbs e gira Miami Vice. Un film di genere solido come una roccia. Si pensi a Heat senza tutti gli intrecci e le casualità che le storie dei personaggi si trascinano dietro. Resta la storia dei due agenti infiltrati e le loro storie d'amore in parallelo. Resta, soprattutto, la regia di Michael Mann, tesa, adrenalinica e con un romanticismo un po' più latino e un po' meno gelido. Si avverte il cambio del direttore della fotografia. Il tono della pellicola è più caldo, con colori più densi e saturi e le immagini sono pesantissime. Questo film è un'ulteriore conferma del talento di Mann nell'organizzazione e nell'analisi dei microcosmi dei personaggi e delle loro geografie per poter far emergere al meglio il protagonista. Di conseguenza, al regista occorre tanto materiale, sia filmico che umano, per ritagliare da questo la persona e metterla a fuoco, facendola emergere dalla coralità con un tratteggio che non è mai definitivo ma sfaccettato e sfuggente. L'altro elemento che è ormai un marchio di fabbrica del cinema di Mann è l'uso del campo/controcampo: l'inquadratura non è mai simmetrica, nel senso che il protagonista non è mai al centro, ma quasi sempre spostato rispetto all'asse mediana; questo elemento spaziale determina uno sfasamento di prospettiva, un disequilibrio che permette al regista di lavorare sulla composizione del resto dell'inquadratura.
Nel 2009 esce Nemico pubblico - Public Enemies, film noir biografico sulla vita di John Dillinger, rapinatore di banche attivo nella Chicago degli anni '20 e '30, in cui collabora per la prima volta con Johnny Depp. Nel 2012 è stato Presidente di Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre dopo Blackhat (2015), torna a Venezia nel 2023 con il nuovo atteso film Ferrari.