PAUL NEWMAN AVREBBE 100 ANNI. GRANDE ATTORE E GRANDE UOMO

Nacque il 26 gennaio 1925. Nella sua lunga carriera Newman vinse tre Oscar. Di Pino Farinotti.

Pino Farinotti, domenica 26 gennaio 2025 - Focus

Ho scritto moltissime pagine su Paul Newman e dunque in questo ricordo inserirò alcuni stralci dei precedenti racconti.

Ho avuto modo di incontrarlo una volta Venezia, metà anni Ottanta. Gli dissero che 
ero un critico importante e per qualche minuto mi diede retta. Disse: “Prima di tutto il mio nome, nella vostra lingua significa uomo nuovo. Ecco, è quello che ho cercato di essere”. Gli dissi che valeva per tutti gli artisti, gli autori, i musicisti, essere un uomo nuovo. Rispose “Certo, ma io ho la responsabilità del nome.”

Ricordo che una volta, a casa di Francesco Alberoni chiacchierando, mi disse che se avesse potuto scegliere avrebbe voluto essere Galileo. “Io, Paul Newman” gli risposi.
Nel 1993 Gavino Sanna, principe dei pubblicitari, col quale collaboravo, andò a New York per assumere Newman come modello per uno spot della Barilla. Mi raccontò di lui. Lo aspettava perché l’attore, la mattina, amava correre lungo l’Hudson. Arrivò trafelato ma quegli occhi, quelle luci azzurre brillavano come sempre.    
Fecero l’accordo, cospicuo, e Newman disse alla moglie Joanne di dare a Sanna i riferimenti per versare la somma al campo estivo che stava organizzando, The Hole in the Wall Gang, nel Connecticut, per bambini affetti da gravi malattie. A centinaia ha salvato l’infanzia.  

Il 26 gennaio del 1925, a Cleveland, Ohio, nasceva Paul Newman. E' stato un grande attore e un grande uomo. Modello di alcune generazioni, la mia compresa. Eravamo giovani, impegnati nelle università negli anni belli, del cambiamento, della rivoluzione giovanile, delle piazze e dei cortei, e Newman, con la sua azione e il suo appeal indicava certe strade. Erano gli anni sessanta-settanta, molti di quegli stimoli arrivavano dall'America, da Washington e da Berkeley. Ma tutto era partito prima, dal 1945, dalla guerra finita.

Paul Newman era imbarcato su una portaerei, nel Pacifico. Tornò, e come tanti giovani americani, sapeva cosa significava una guerra, aveva visto le distruzioni, il sangue, conosceva i lager. Migliaia di ragazzi come lui erano tornati a casa nelle bare. L'America prendeva atto e cambiava, nel sentimento, nella cultura, nella vita. E nello spettacolo. J.D. Salinger, un reduce, nel 1951 firmava "Il giovane Holden", storia di un adolescente che si ribella alla famiglia, alla scuola, all'autorità costituita, a tutto. Quel titolo sarebbe diventato un "romanzo del secolo" americano. 
Ribellione era dunque la parola d'ordine, assunta da un gruppo che avrebbe stravolto il cinema e il teatro, quello dell'Actors Studio. Newman fu uno dei primi iscritti, insieme a gente come Dean, Clift e Brando. Sappiamo cos'hanno combinato. Prendevano il testimone dalla generazione precedente, quella di Cary Grant e Gary Cooper, eroi belli, buoni, spesso in smoking. Quelli dell'"Actors" riscrivevano l'America e i jeans e il giubbotto erano più in linea coi nuovi tempi. Soprattutto Newman e compagnia non si limitavano al ruolo di attore. Entravano nella vita della gente, sempre da una piattaforma progressista, schierandosi, nelle campagne, al fianco del candidato democratico. Brando e Newman ne erano gli eroi. Un antagonismo forte e appassionato. Brando era inarrivabile per magia di presenza, unica nel cinema, ma Newman è stato più longevo, attento e intelligente. Dopo il debutto, infelice, con Il calice d'argento, Paul giura che non interpreterà mai più un film in costume: giuramento mantenuto. Dovrà aspettare due anni per sfondare, col celebre Lassù qualcuno mi ama. Tecnicamente ancora imperfetto, alterna momenti di grande intensità ad altri di maniera eccessiva. Si perfezionerà negli anni. Nel 1961 nel ruolo di Eddie Felson, giocatore di biliardo, ecco la consacrazione con Lo spaccone. Newman è un numero uno. Fra poco sarà il numero uno. Il personaggio è pronto: è cinico ma non del tutto, ha un rapporto difficile con le donne, si connota come eroe moderatamente maledetto, in contrasto con le autorità e dalla parte dei deboli, debole, apparentemente, a sua volta. Ha quarant'anni, è consapevole e maturo.  Detective's story (lui è il detective privato Harper), e Nick mano fredda (è un detenuto) non sono certo film perfetti, ma è lì che Newman e più Newman. C'è stata anche un'esperienza, difficilissima, con Hitchcock (Il sipario strappato). L'attore affronta il nuovo decennio, i Settanta, con grande attenzione alle scelte. Adeguarsi a ruoli diversi, più maturi, secondo l'anagrafe e i tempi che cambiavano, è stata la sua migliore prerogativa. L'eroe invecchiava, ma bene. Ecco la Stangata, gioiello leggero, e il kolossal Inferno di Cristallo. Gli anni ottanta aderiscono all'evoluzione naturale dell'attore: minor forma fisica, maggior consapevolezza. Eccolo nel ruolo del presunto, ma innocente, mafioso perseguitato dalla stampa in Diritto di cronaca, ed eccolo avvocato alcolizzato e fallito, ma onesto e quasi eroico ne Il Verdetto. Newman ha nel frattempo collezionato una lunghissima serie di nomination, che diventano Oscar soltanto ne Il colore dei soldi, dove ripropone l'antico personaggio di Eddie Felson del Lo spaccone. Negli anni novanta la sua attività rallenta. In Italia lo troviamo, spento e triste, protagonista di uno spot della pasta Barilla. Ma ha un'impennata straordinaria in La vita a modo mio nella parte di un anziano che sopravvive con lavoretti umilianti, ma che bacia con grande intensità una Melanie Griffith più giovane di quarant'anni.
Dal 1958 è stato sposato con Joanne Woodward. Nel luglio del 2008 venne data la notizia di un tumore al polmone. Ricoverato al Medical Center di New York si sottopose alle cure per pochi giorni. Decise di porre termine alla sua vita in casa, a Westport nel Connecticut, con la famiglia.
Morì il 26 settembre di quell'anno. Perdita grave. Forse uno come lui, attore a "amico" affidabile, non c'era mai stato. Adesso -senza forse- non c’è. 

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