Premio del pubblico al Far East Film Festival, la commedia di Mihara guarda a Ozu e procede, tra risate, pianti, e mondi lontani da immaginare e sognare.
Lo scorso maggio Tofu in Japan ha vinto il Premio del pubblico al Far East Film Festival di Udine, a conferma della fascinazione che il mondo occidentale, non solo italiano, ha da sempre per la cultura giapponese, in questo caso culinaria.
La commedia diretta dall’esperto Mihara Mitsuhiro ha per protagonista un anziano maestro fabbricante di tofu, Tatsuo Takano, che ogni giorno si dedica al suo lavoro in bottega al fianco della figlia Haru, non più giovane nemmeno e lei e separata dal marito. Da subito, dunque, nel film si entra in un mondo di piccole cose precise e gentili, dalla cura per gli ingredienti alla dedizione con cui viene realizzato ogni passaggio della ricetta del tofu, riprendendo uno dei generi più praticati dal cinema giapponese: lo sh?shimin-eiga, vale a dire le storie di vita e lavoro in cui si sviluppano legami e tensioni generazionali, solitamente all’interno di una famiglia.
Il modello di Mihara Mitsuhiro è ovviamente Ozu, che come ha fatto notare il critico Mark Schilling, tra i più grandi conoscitori di cinema giapponese, era solito definirsi un “fabbricante di tofu”, cioè un regista capace di sfornare film simili per temi e stile esattamente come i produttori dell’alimento a base di soia sfornano cubetti tutti uguali… A guardare attentamente i capolavori di Ozu – e Mihara in questo caso pensa soprattutto a Tarda primavera (1949), a partire dal rapporto fra l’anziano padre e la figlia sola – si colgono però le sfumature e le straordinarie profondità dei suoi ritratti realistici, così come quello cucinato da Tatsuo Takano non è semplicemente tofu, ma, come dice lui, è il miglior tofu della sua città, Onomichi, nella prefettura di Hiroshima, e forse anche delle provincie limitrofe.
Cocciuto e legato alle sue abitudini, Tatsuo è anch’egli una tipica figura giapponese, una persona burbera ma adorabile, un po’ ingombrante ma dal cuore d’oro che accompagna sovente i drammi familiari. L’attore che la interpreta, Fuji Tatsuya, è un veterano del cinema giapponese, anni fa protagonista del cult erotico di Oshima Ecco l’impero dei sensi (1976) e da vecchio specializzatosi nel ruolo del brontolone, in particolare in altri due film di Mihara, Photo Album of the Village (2004), nel quale era un fotografo, e Flavor of Happiness (2008), dove invece era uno chef, che con Tofu in Japan formano una trilogia sul lavoro.
L’altra protagonista del film è naturalmente la figlia di Tatsuo, Haru (Kumiko Asôù), la cui presenza spinge il padre a confrontarsi con i possibili ammodernamenti della sua dalla cucina (ai quali ovviamente l’anziano cuoco si oppone) e contribuisce ad aprire la commedia verso il dramma. Quando infatti Tetsuo scopre di doversi sottoporre a un delicato intervento chirurgico, l’uomo decide che è arrivato il momento di trovare un nuovo compagno per Haru e si mette al lavoro per lei. E la commedia riparte, perché Tetsuo, maldestro e bendisposto, verifica di persona diversi pretendenti, si confida con i vicini di bottega (una combriccola di figure buffe e gentili che forma una specie di coro) e finisce per tirarsi la zappa sui piedi scegliendo il proprietario di una catena di ristoranti italiani dalla vocazione un po’ troppo internazionale. E se poi nel frattempo capitasse pure a lui, burbero e pasticcione com’è, d’incontrare qualcuno…?
Insomma, la commedia di Mihara procede a pieno regime, tra alti e bassi, risate e pianti, carinerie e sfuriate, e mondi lontani (almeno per noi occidentali) da immaginare e sognare.