Le attrici protagoniste, Demi Moore e Margaret Qualley, e la regista Coralie Fargeat raccontano il film The Substance. Oggi in anteprima e dal 30 ottobre al cinema.
In America The Substance, oltre che un grande successo al botteghino, è diventato un fenomeno pop: sono decine i meme scaturiti dal film della regista francese Coralie Fargeat, che all’ultimo Festival di Cannes ha vinto il premio per la Miglior sceneggiatura originale, e molti stanno preparando per Halloween costumi ispirati alle grottesche trasformazioni cui va incontro la protagonista Demi Moore. Insieme a Margaret Qualley, Moore e Fargeat parlano del film nell’incontro a tre voci che segue.
The Substance è oggi in anteprima in molte città e sarà al cinema dal 30 ottobre.
LA TRAMA:
Elizabeth Sparkle è stata una diva con al suo attivo un Oscar e una stella sulla Hall of Fame, ma la stella si è sporcata e la scintilla ("sparkle") di Elizabeth si è spenta, quantomeno agli occhi del produttore del programma televisivo di fitness che lei conduce da tempo: un uomo convinto che le donne debbano sempre sorridere e che dopo i cinquanta non abbiano più... non si sa cosa, ma è qualcosa alla quale quelli come lui (che si chiama Harvey come il produttore Weinstein) sembrano tenere moltissimo. Quando Harvey, nel giorno del compleanno di Elizabeth, le annuncia che sarà sostituita alla conduzione del suo programma, la donna decide di aderire ad un protocollo sperimentale chiamato The Substance, che promette di restituirle una versione di sé "migliore, più bella e perfetta". A settimane alterne sarà Sue, la bella e giovane neoconduttrice del programma di fitness della rete, e poi di nuovo Elizabeth. Ma l'alternanza sarà difficile da gestire, e si sa che i patti con il diavolo sono sempre a rischio.
Demi, perché ha accettato un ruolo così sopra le righe?
Moore: Perché mi sono innamorata della sceneggiatura, che affronta in modo unico alcuni temi fondamentali per le donne e in generale per la società, come la violenza con la quale ci accaniamo contro il nostro corpo per uniformarci a un ideale di bellezza irrealistico e irraggiungibile. Anche se ero terrorizzata all’idea di entrare nel personaggio di Elizabeth e di uscire dalla mia comfort zone: niente di simile era mai atterrato prima sulla mia scrivania!
Coralie, aveva pensato subito a Demi Moore per il ruolo di Elizabeth?
Fargeat: Volevo un’attrice iconica, e quando la casting mi ha proposto Demi ho pensato che sarebbe stata perfetta, ma che non avrebbe mai accettato: cinque mesi di riprese in Francia, con un budget limitato e una troupe ridotta all’osso, più un trucco pesante e non certo lusinghiero. Comunque le ho fatto avere il copione, e a sorpresa lei ha accettato immediatamente. Poi mi sono letta la sua autobiografia e ho capito che la sua vita è sempre stata improntata alle scelte coraggiose: ha avuto un’infanzia difficile, si è presa molti rischi durante tutta la carriera, ed è un tipo davvero rock ‘n roll!
Margaret, lei ha dovuto interpretare una versione più giovane di Demi. Come si è preparata?
Qualley: In realtà interpretavo una possibile versione del personaggio di Elizabeth da giovane, per cui ho osservato il modo in cui Demi si muoveva, ma soprattutto, io che sono fisicamente abbastanza impacciata, ho dovuto imparare ad acquisire quella sicurezza fisica che non mi appartiene. Come attrici invece abbiamo molto in comune, soprattutto la serietà con cui ci prepariamo e ci impegniamo sul set, e l’intensità con la quale affrontiamo il nostro lavoro.
Demi e Margaret, a Hollywood sentite la pressione di mantenere un’immagine di perfezione fisica?
Qualley: Credo che quella pressione la sentano tutte le donne. Io sono stata una ballerina e brevemente una modella, sono figlia di una top model (Andie MacDowell, ndr) e faccio l’attrice: tutte professioni che spingono a cercare di apparire perfette, creando aspettative impossibili. Per fortuna vivo in un mondo in cui gli standard di bellezza si stanno ridefinendo e c’è una maggiore accettazione delle diversità nell’aspetto fisico: sono fortunata a vivere in quest’epoca di cambiamento.
Moore: Hollywood è solo l’amplificatore di una tendenza che esiste in tutto il mondo. Finora c’è stata un’accettazione passiva e silenziosa degli standard estetici elevati a cui conformarsi, e della vecchiaia come fase terribile della vita di una donna. The Substance mi ha aiutata a rendermi conto della severità del giudizio che ho sempre esercitato su me stessa e degli sforzi che ho fatto per cercare di aderire a quegli standard assurdi, focalizzandomi sempre su ciò che non sono, invece di valorizzare ciò che sono. È stata un’esperienza liberatoria, e spero che il film possa contribuire a creare un cambiamento culturale anche semplicemente portando a coscienza l’ingiustizia di questo comportamento. Un’assistente di volo recentemente mi ha detto che grazie a The Substance si è accorta della durezza con cui si è sempre guardata, cercando di conformarsi a un modello astratto che non avrebbe mai raggiunto.
Margaret, nonostante il personaggio di Elizabeth sia quello più grottesco, il personaggio di Sue è quello che appare più sgradevole.
Qualley: Sì, è una ragazza che si rivela senza cuore e senz’anima, ma secondo me questo è un riflesso di quanto sia eterodiretta in ogni sua decisione, anche lei cercando di adeguarsi alle aspettative degli altri. Tramite Sue ho cercato di incarnare la parte peggiore della natura umana per far parte di un messaggio più grande, e accettando la sgradevolezza del mio personaggio come un soldatino!
Secondo voi qual è il messaggio del film?
Moore: Raccontare il desiderio di essere visti e amati, che di solito corrisponde ad una ferita interiore e a un desiderio inespresso. Per questo Margareth è stata bravissima: una persona meno profonda e umana di lei non sarebbe riuscita a comunicare così bene il dolore che è alla radice del suo comportamento odioso.
Fargeat: Hollywood nel film diventa il simbolo di ciò che è successo all’immaginario collettivo, l’illusione che se aderissimo all’archetipo di bellezza hollywoodiana saremmo felici e amate. Ma è stato lo sguardo maschile, poi veicolato attraverso il cinema, a creare quello stereotipo di ciò che è bello e sexy in una donna, in risposta a delle esigenze del tutto arbitrarie. E noi abbiamo assorbito e fatto nostro quello sguardo, per cui è difficilissimo oggi uscirne a livello individuale, circondate come siamo da un’aspettativa che è dappertutto, e di conseguenza anche dentro di noi. Il rapporto che ognuna ha con il proprio corpo non è neutrale e determina il modo in cui interagiamo con gli altri in pubblico, misurandoci continuamente con lo sguardo degli altri, e il più delle volte decidendo che non siamo abbastanza interessanti. Questo atteggiamento si accanisce soprattutto sul corpo, esercitando la forma peggiore di violenza, perché autoinflitta: io stessa ci ho fatto i conti per tutta la vita. Una volta ho letto un articolo intitolato: “Essere donna è un film dell’orrore”.
A proposito di orrore, Coralie, a quali film si è ispirata per The Substance?
Fargeat:Sono tantissimi, ma cito volentieri Carrie lo sguardo di Satana di Brian De Palma, La mosca di David Cronenberg, Requiem for a Dream di Darren Aronofsky e La cosa di John Carpenter. Ma mi hanno ispirato anche molte fotografie, ad esempio quelle di body work che mostrano come il corpo possa essere distorto, liquefatto o annodato, ma anche foto di cibi strani e di gente che mangia cose disgustose, nonché i quadri disturbanti di Francis Bacon.
Siete sorprese dal successo del vostro film?
Moore: Mentre leggevo il copione e quando giravamo le scene più assurde mi domandavo spesso quale sarebbe stata la reazione del pubblico a una storia così estrema, per argomento ma anche per immagini forti. Poi ho visto il film nella sua interezza al Festival di Cannes in mezzo al pubblico, e la reazione degli spettatori è stata sorprendente: ridevano, applaudivano, reagendo ad ogni scena in modo viscerale. The Substance sta riportando il pubblico in sala perché la sua potenza, nella visione collettiva, si moltiplica. So di persone tornate a rivederlo al cinema più e più volte.
Fargeat: Di questi argomenti per molto tempo non si è parlato, come se fossero un tabù. Io volevo romperlo perché mi riguarda da vicino, e riguarda tutte e tutti. Credo che il successo del film stia proprio nel fatto che l’ho fatto attraverso immagini immediate e potenti e il pubblico, soprattutto femminile, ha avvertito la sincerità e l’urgenza con cui cercavo di raccontare qualcosa che tutte abbiamo provato, restando in silenzio. E mi fa felice che questa conversazione si sia allargata attraverso manifestazioni pop come i meme e le maschere di Halloween: sono dimostrazioni simboliche dell’importanza del tema affrontato, e del desiderio di ognuno di farsi sentire su quel tema.