Un grandissimo sequel del film del 2019, profondamente intrecciato alla contemporaneità ma capace di dialogare col cinema classico. Dal 2 ottobre al cinema.
L’immagine e il suo doppio. L’ultimo spettacolo di Arthur Fleck/Joker sembrava essersi concluso durante lo show in tv nel film del 2019 quando aveva ucciso il presentatore televisivo Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro da cui Joaquin Phoenix aveva ripreso le tracce di follia del suo personaggio di Rupert Pupkin in Re per una notte. Sono accomunati entrambi dalla ricerca della notorietà, attratti e ingannati dalle luci della ribalta. In più il cinema di Todd Phillips eredita da Martin Scorsese anche la trasformazione fisica del suo protagonista (proprio come Jake La Motta in Toro scatenato), che all’inizio del film è smagrito, debilitato, quasi irriconoscibile, di cui si vedono le ossa del corpo e sembra quasi incapace di muoversi autonomamente quando le guardie gli fanno la barba.
Non ci sono più le luci noir della città di Joker. L’ambientazione all’interno dell’istituto di correzione di Arkham in questo sequel, dove il protagonista e il personaggio di Harley Quinn sono ormai figure autonome, quasi svincolate dall’universo DC Comics, è claustrofobica, in linea con la tradizione del migliore filone carcerario in cui non sembra esserci nessuna redenzione per Fleck. Ma neanche nessun futuro. La sua vita, rispetto per esempio a Robert Stroud (Burt Lancaster) in L’uomo di Alcatraz o Andy Dufresne (Tim Robbins) in Le ali della libertà, non prosegue e si riattiva all’interno del penitenziario. Fleck è una specie di ‘Dead Man Walking’. Come i supereroi Marvel, perde potere senza la sua maschera. Le guardie cercano una sua esibizione, un loro spettacolo al limite della derisione, proprio come il presentatore Franklin nel primo film, quando vogliono farsi raccontare una barzelletta. Stacco.
Al di fuori c’è un altro film. La tv è spesso accesa. Si parla del crimine di Joker che ha ucciso cinque, anzi sei persone. Un detenuto in attesa di giudizio, destinato alla pena di morte. C’è chi lo attacca senza pietà. C’è chi lo ama e lo ha fatto diventare un idolo. Come nel primo film, che ha avuto un grandissimo successo al box-office incassando più di un miliardo di dollari, al di là di quello che mostra, il cinema di Todd Phillips tocca delle zone oscure dell’inconscio. Forse più di Tim Burton di Batman. Il ritorno o Christopher Nolan di Il cavaliere oscuro. In Joker: folie a deux, ancora più che nel primo film, l’ombra di Joker sembra agire quasi in parallelo e individualmente rispetto a quella di Fleck.
Arthur è dentro l’istituto di correzione. Guardato a vista. Joker balla all’esterno, si è moltiplicato ed ha moltissimi seguaci, anzi imitatori, che vorrebbero essere come lui. Proprio per questo la sua figura può ricollegarsi innanzitutto al movimento di Anonymous, nato nel 2003, i cui attacchi hacker sono diretti contro istituzioni, società e i governi. La stessa maschera di Joker può scorrere in dissolvenza con quella indossata dai partecipanti del movimento alle proteste dal vivo che rappresenta il volto di Guy Fawkes (l’attivista più noto della ‘congiura delle polveri’ che il 5 novembre 1605 a Londra ha cercato di far esplodere la Camera dei Lord) e che è diventata famosa sia nella serie a fumetti scritta da Alan Moore e illustrata da David Lloyd sia nell’adattamento cinematografico del 2005 diretto da James McTeigue dove V è interpretato da Hugo Weaving. In più, in Joker: folie à deux ci sono degli strettissimi riferimenti all’attualità soprattutto per quanto riguarda i movimenti anti-governativi, da quelli populisti e filo-nazionalisti a quelli no global che, anche da ideologie diverse, portano avanti la loro protesta attraverso un’azione collettiva ma spesso ispirata alla figura di un leader carismatico.
In Joker: folie à deux l’immagine di Fleck/Joker diventa contagiosa e si duplica nel corpo di Harley Quinn/Lee dove Lady Gaga aspira ad essere il suo riflesso allo specchio. Si vede già nella grandissima scena del loro primo sguardo. Non c’è una parola ma si avverte l’istintiva attrazione ma anche il presagio di un atroce inganno. Poi Lee si mette il rossetto proprio come Joker, diventa attrice ma anche creatrice di quello che può trasformarsi nel ‘più grande spettacolo del mondo’ in linea con i grandi musical hollywoodiani degli anni Cinquanta.
Sotto questo punto di vista c’è già una citazione diretta in cui nella tv dell’istituto di correzione si vede una scena di Spettacolo di varietà di Vincente Minnelli. Nell’oscurità sepolcrale del set, Lady Gaga e il musical ridanno vita e colore al film, come se scorresse su una dimensione parallela. Un balletto impazzito. Canzoni, tip-tap, l’illusione di non toccare più terra e volare per aria. La realtà e il suo doppio. Il colore diventa l’altro elemento che si ricollega ai movimenti di protesta, proprio come la vernice sui monumenti e le opere d’arte degli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione. Il musical diventa l’illusione, la possibilità di costruire una storia d’amore dove Joker e Harley Queen possano vivere felici e contenti per sempre. E in tribunale Fleck guarda le telecamere durante il processo. Uno sguardo in macchina di un film profondamente inquietante e al tempo stesso inebriante e contagioso. Proprio come Joker (guarda la video recensione), probabilmente anche questo sequel lascerà una cicatrice profonda, marchio di un grandissimo sequel profondamente intrecciato alla contemporaneità ma capace di dialogare insistentemente, con riverenza e passione, col cinema classico.