L'acclamato documentarista marchigiano, «esportato» negli States, debutta nel cinema narrativo raccontando la Guerra Civile americana. I dannati, al Festival di Cannes e da domani al cinema.
«Il cinema serve per imparare, non per insegnare. La macchina da presa va puntata sulle cose che non si conoscono».
Ex frontman di una punk band e consulente aziendale, Roberto Minervini ha trascorso anni a instaurare legami e relazioni di fiducia all'interno delle collettività, filmando nel frattempo le loro vite. Il regista e sceneggiatore di Fermo è salito alla ribalta esplorando il sottobosco americano (ma con una poetica visiva alla Malick): che si tratti dei bianchi poveri ai margini (Louisiana) o di una comunità nera che cerca di sopravvivere (Che fare quando il mondo è in fiamme? (guarda la video recensione)). In contemporanea con il Festival di Cannes (Un Certain Regard) arriva nelle sale il suo sesto lavoro, I dannati. Debutto al cinema narrativo del documentarista marchigiano residente in Texas, la pellicola segna la sua terza partecipazione alla kermesse.
I Dannati sono i soldati, mercenari arruolati durante la Guerra di Secessione. Smarriti e alienati nel selvaggio Montana, questi uomini offrono allo spettatore un prospettiva provocatoria e collaterale della disumanizzazione del conflitto armato. Minervini esplora le contraddizioni e le peculiarità della società americana, immergendosi nei temi della memoria storica e delle radici culturali. La scelta di ritornare a un momento cruciale della storia degli Stati Uniti, caratterizzato da profondi contrasti tra Nord e Sud, cristianesimo e mascolinità tossica, è stata consapevole e mirata. Questo approccio permette di evidenziare come tali problemi persistano nel tessuto sociale contemporaneo.
Apprezzato Oltreoceano perché considerato un insider, Minervini è tra i documentaristi più influenti al mondo. Disposto ad accettare la natura ingannevole del documentario, lo gira come se fosse un film e forgia, così, un stile coinvolgente di docudrama ibrido.
Cinquantaquattro anni, di cui quindici vissuti a Houston, dove risiede con moglie e figli, Minervini proviene da una famiglia di impiegati e attori amatoriali originari del Monte Urano. Dopo una laurea in Economia e commercio all'Università di Ancona, decide di seguire la sua vera vocazione conseguendo un dottorato in Storia del Cinema presso l'Universidad Autónoma di Madrid. Completa la sua istruzione con un master in Media Studies alla New School di New York. Influenzato dal cinema neorealista di Pasolini e Rossellini, sogna di fare film che mescolano attori di qualità e attori di strada.
Dopo aver girato numerosi video musicali e corti, Minervini firma il suo lungometraggio d’esordio The Passage (2011). Una donna malata terminale, un galeotto e un artista sono protagonisti di un road movie che sfreccia nel degrado del Texas occidentale, in contrasto con il suo maestoso paesaggio. Con Low Tide, prosegue il suo viaggio raccontando le vicende di un adolescente solitario. Il suo approccio ispirato è debitore a Truffaut; l'inquadratura conclusiva del film sembra un omaggio diretto al finale de I 400 colpi. Stop the Pounding Heart del 2013 chiude la trilogia texana. La storia della ragazza cresciuta in un ranch, insieme a undici tra fratelli e sorelle, ottiene una pioggia di riconoscimenti tra cui il David di Donatello.
Fa il bis nel controverso ritratto dei reietti della Louisiana (2015). Minervini chiede ai veri protagonisti di una comunità (tra tossici, spacciatori e veterani dimenticati) di interpretare se stessi. Riprende a mano libera, filmando senza tagliare fino a quando le schede dati sono full e non riesce più a tenere in mano la sua macchina Arri Amira. Il suo ultimo documentario, Che fare quando il mondo è in fiamme? (guarda la video recensione) (2018) è una riflessione sul fenomeno del razzismo secolare negli Stati Uniti d'America. Una serie di cruenti omicidi in un quartiere nero di New Orleans, ad opera della polizia, scuote l’opinione pubblica.