A 'XX secolo' va in scena il cinema della 'New Hollywood'. Si parte con i film di Hal Ashby

Dal 26 dicembre al 15 gennaio la rassegna ‘XX secolo - L’invenzione più bella’ ospita - in contemporanea con la selezione su George Cukor - i film di alcuni degli autori che caratterizzarono la cosiddetta New Hollywood, periodo di rinascita del cinema americano che ebbe luogo tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Ottanta. Tra questi, Hal Ashby, protagonista della prima settimana.

Hal Ashby (1929-1988) trascorre una militanza alla Universal, dove esordisce come montatore. Ma è un esercizio che gli risulta molto utile, perché negli anni del suo percorso artistico, si è accredito come autore intelligente e diverso. Ha raccontato l’America secondo una sua visione personale ed efficace. Non è improprio definirlo uno storico attraverso il cinema. Un po’ alla Oliver Stone, che è più giovane di 17 anni, che, non c’è dubbio, ha molto esplorato il cinema del suo collega.

I segnali della visione umana e sociale di Ashby emergono già nel suo primo lungometraggio, Il padrone di Casa del 1970. Si narra la vicenda di un giovane americano benestante che acquista un palazzo nel quartiere nero di New York con l’intento di cacciarne gli inquilini e rimetterlo in sesto. Invece, affascinato da quell’ambiente, tenta di inserirvisi; ha una breve relazione con una nera il cui marito, uscito di prigione, cercherà invano di ucciderlo. Affiderà il bambino avuto da lei alla meticcia con cui ha deciso di convivere.

Dicevo “segnali”, ed eccone uno forte e coraggioso. Da quel momento tutti i titoli firmati da Ashby, hanno portato indicazioni importanti, e fanno parte della storia del cinema di qualità. La memoria del cinema ricorda bene Harold e Maude (1971), la storia d’amore, divertente, magnificamente anomala, fra un ragazzino necrofilo e un’anziana vivace, imprevedibile e simpatica. Due generazioni molto distanti a confronto. Una metafora dell’America, a saperla leggere.

Con L’ultima corvée del 1973, Ashby apre un focus sulla vita militare e i suoi codici controversi. Due marinai ricevono l’incarico di accompagnare un ragazzo, che ha compiuto un furto, al carcere militare. Durante il viaggio, i due si rendono conto che il giovane è un disadattato più che un delinquente e, a modo loro, lo aiutano facendogli trascorrere piacevolmente le ultime giornate di libertà. Il film deve molto a un ispirato, giovane Jack Nicholson.

Nel 1975 Ashby esplora un genere diverso. Shampoo può essere considerato un perfetto prodotto di commedia brillante. Il regista è aiutato da un cast femminile perfetto, Julie Christie, Goldie Hawn e Lee Grant e da un protagonista in grande forma, Warren Beatty che vive amori e disavventure dolci ma complicate, da parrucchiere e scatenato dongiovanni. Si giostra un terzetto di belle donne (un’attrice, una signora del bel mondo, la moglie di un miliardario) e gli va bene finché il caso non le fa incontrare. Shampoo ebbe un grande successo al botteghino.

Fra il 1978 e il ’79 Ashby dirige due film che più lo identificano. Tocca il Vietnam, un tema che attraversava di prepotenza la storia, la cultura e il dolore del Paese. Quella “sporca guerra” che non avrebbe dovuto essere combattuta e che, per la prima volta nella sua storia l’America perse. Anche se i militari dissero “è stato un pareggio”. Ashby si allineava ad altri autori che avevano raccontato il Vietnam, gente non banale, come Cimino (Il cacciatore), Stone (Platoon), Coppola (Apocalypse Now), Kubrick (Full Metal Jacket), Wallace (We Were Soldiers). Il film è Tornando a casa (Coming Home). Dove il regista esprime il tema a modo suo, attraverso tutti i sentimenti possibili. La storia: allo scoppio del conflitto nel Vietnam, un ufficiale americano parte per la guerra. Sua moglie, infermiera volontaria, conosce un reduce paralizzato del quale si innamora. L’uomo, fervente assertore del non-intervento, è sorvegliato dall’ Fbi che mette al corrente l’ufficiale della relazione dell’infermo con sua moglie. L’uomo sta per uccidere il rivale, ma riesce a vincere l’insano proposito. I protagonisti Jane Fonda e Jon Voight vinsero l’Oscar e il Golden Globe.

Oltre il giardino (Being There) è un altro titolo essenziale, una critica abrasiva di un certo sistema americano, in un registro divertente. Un cinquantenne analfabeta, che ha vissuto tutta la vita curando il giardino di un vecchio signore, conosce per caso la moglie di un magnate, che lo scambia per un raffinato e bizzarro gentiluomo. Il marito, poi, lo crede una grande mente politica. E così pure mezza Washington, che pensa addirittura di portarlo alla presidenza degli Usa. Satira degli States (da un romanzo del polacco Kosinski), visti come il paese dove la televisione rende idioti e qualsiasi idiota può arrivare ai vertici grazie alla tv.