SENZA FINE, VIAGGIO DENTRO UN'AMICIZIA E UNA CONVERSAZIONE, AL CENTRO ESATTO DEL PRESENTE DI ORNELLA VANONI

Avvolta in lunghe tuniche, Ornella si muove nel film come se fosse tutta una improvvisazione jazz. O come in un samba, di quelli che ama tanto, sempre in bilico fra saudade e alegrìa. Al cinema.

Giovanni Bogani, giovedì 24 febbraio 2022 - Focus

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Ornella Vanoni (90 anni) 22 settembre 1934, Milano (Italia) - Vergine. Interpreta Se stessa nel film di Elisa Fuksas Senza fine.

Poteva essere un documentario tradizionale. Di quelli con tanti filmati in bianco e nero, spezzoni di varietà televisivi, ritagli di giornale dell’epoca, e interviste. Tante interviste. A tutti quelli che hanno incrociato la sua strada di cantante, con più di sessant’anni di carriera. Poteva essere un enorme album di fotografie. Un album di fotografie fatto dalle interviste con Gino Paoli, magari con Mogol, con Paolo Conte. Con quelli che hanno cantato con lei, con quelli che hanno amato la sua voce, la sua persona, la sua misteriosa, sofisticata, esile, affascinante voce, e la sua persona.

Sarebbe stato un documentario “classico”, e questo non lo è. Senza fine, come il titolo di una delle sue canzoni più famose, ma anche perché sembra portarci già nel mezzo delle cose. Nel mezzo di un’amicizia fra la regista e l’artista, nel mezzo di una conversazione, al centro esatto del presente di Ornella Vanoni.

Senza fine, diretto da Elisa Fuksas, regista quarantenne, presentato alle Giornate degli Autori a Venezia e in sala dal 24 febbraio, è girato praticamente tutto in un hotel, il Grand Hotel di Castrocaro, che è anche un istituto termale. Come in una versione moderna de L’anno scorso a Marienbad, grandi corridoi vuoti, grandi saloni deserti, solo tavoli, divani, letti immensi, scorci da cui si intuisce, più che vedere, una natura meravigliosa dall’altra parte dello sguardo. E lì, fra quei corridoi, in quelle stanze, ci sono la regista e Ornella a inseguirsi, a cercare di intuirsi, di comprendersi. Sfiorando certi temi, senza mai cercare un ordine cronologico, senza mai cercare un “racconto” vero e proprio. E senza voler raffigurare neppure l’Italia che viveva, l’Italia di quegli anni, l’Italia che si riconosceva in quelle canzoni.

Come ne L’anno scorso a Marienbad – beh, non in modo così geometrico ed enigmatico: non abbiate paura – le frasi si ripetono, ma la verità sembra sempre sfuggire un po’. Ornella Vanoni che un po’ resiste, un po’ protesta all’idea dell’intervista, Ornella Vanoni con i fantastici capelli color arancio che forse si vedono anche dalla Luna, Ornella Vanoni con la sua cagnetta Ondina, tutte e due felici solo quando si lasciano andare nel loro elemento: l’acqua.

E il film che diventa quasi un documentario su un documentario che sta nascendo, con fatica. Un passo avanti e due indietro, nei corridoi di questo splendido e inquietante Overlook Hotel: Ornella che non si trova, Ornella che non risponde al telefono, Ornella che finalmente appare, in una tunica bianca. Ornella che, a spizzichi e bocconi, racconta di Strehler innamorato, racconta dell’incontro con Gino Paoli, ragazzo privo di grazia ma non privo di fascino e di mistero. Ma tutto come se fosse già saputo, già detto: non c’è bisogno di approfondire, non c’è bisogno di definire date. E poi, le date, non sono proprio il suo forte, lo dice anche nel documentario.

Ogni tanto, un visitatore d’eccezione. Vinicio Capossela, Paolo Fresu, Samuele Bersani. Ognuno con un approccio diverso, fra i quali forse il più affettuoso, il più sciolto e il più complice è quello di Samuele Bersani.

Le domande sono piccoli sfioramenti. “Ma com’è successo che dal teatro hai cominciato a cantare?”. O “Quindi hai incontrato Paoli, e che cosa è successo?”. Ornella racconta il minimo indispensabile. Accenna alla sua depressione, parla del figlio, della vita d’artista che in lei ha divorato gran parte del tempo necessario a essere madre. In alcuni momenti veri, come è vera la voce di Ornella nelle sue canzoni, dice “Mi manca la tenerezza, mi mancano gli abbracci”. Ha scelto, da anni, di vivere da sé, con sé. La solitudine e la depressione sono due ombre che stanno sullo sfondo di tutto il film. “Quando entravo in una stanza d’hotel, nel grande letto a due piazze stendevo tutti i miei vestiti dalla parte in cui non dormivo, per sentire la stanza meno… meno…?”. “Desolata?” propone Elisa Fuksas. “Ecco”.

Avvolta in lunghe tuniche, con i costumi disegnati da Alessandro Lai, Ornella si muove nel film come se fosse tutta una improvvisazione jazz. O come in un samba, di quelli che ama tanto, sempre in bilico fra saudade e alegrìa. Per scoprire, con sorpresa, che una delle canzoni che più detesta è quella che milioni di persone amano: “Non ho mai capito perché sia piaciuta tanto ‘L’appuntamento’: parla di una sfigata sotto la pioggia, e tutti sono impazziti! Boh!”.

Non guarda al passato, Ornella, quindi è difficile farla nuotare nel passato. Molto più facile farla nuotare in piscina, e avvolta in un costume meraviglioso da sirena, assistere a un finale che può ricordare La forma dell’acqua o, a scelta, l’ultima sequenza di Lezioni di piano di Jane Campion. Un corpo a corpo fra lei, Ornella, e  l’acqua,  in cui entra, si avvita quasi, si avvinghia allo stato liquido del mondo Diventa acqua. Come se aspettasse soltanto quel momento. Di diventare acqua, di diventare ancora più libera di adesso.

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