Al suo terzo lungometraggio, Uberto Pasolini racconta la morte attraverso la vita, per brevi tocchi, poche parole, con immagini che penetrano nel profondo. Al cinema.
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Guardare il mondo, da dietro un vetro. Riflessi, scorci di vite intraviste. È così che inizia Nowhere special. Oggetti che raccontano vite, o desolazioni, o nascoste armonie. Come intravedevano gli angeli di Wenders, nel Cielo sopra Berlino.
John, il protagonista di Nowhere special – il bellissimo, sommesso film di Uberto Pasolini, uno dei più belli di Venezia 2020, ora nelle sale – è un po’ simile agli angeli di Wenders, e un po’ alla protagonista di Roma di Alfonso Cuaron. Come lei, lava, inghiotte in silenzio il boccone amaro di una vita vista dai piani bassi. Lei, Yalitza Aparicio, puliva pavimenti. Lui pulisce finestre. Entrambi puliscono vite, le vite degli altri. In entrambi i casi, vite di bambini che dovranno fare i conti con un’assenza. In entrambi i casi, persone che scelgono di fare quello che possono, per gli altri.
È fatto di tanti momenti senza parole, senza dialoghi, Nowhere special. Ti lascia a guardare, a percepire, a capire. E intanto penetra nel profondo. Ti fa pensare alla vita, alla morte, a Dio e alla sua assenza, a quanto il caso possa essere impietoso.
Nowhere special è il terzo film di Uberto Pasolini, cognome impegnativo per un regista che è effettivamente cugino di secondo grado di Pier Paolo Pasolini, e nipote di Luchino Visconti. Uberto Pasolini da tempo vive e opera in Gran Bretagna, dove nel 1997 ha prodotto quella sorprendente commedia irriverente, sexy, piena di rabbia sociale che era The Full Monty, campione d’incassi in tutto il mondo. Poi ha perseguito una carriera da regista, rarefatta ma di altissimo profilo. Solo tre film dal 2007 ad oggi: Machan, presentato a Venezia 2008, storia di una scombinata squadra di falsi atleti cingalesi, che si fingono giocatori di pallamano per fuggire dal loro paese; e Still Life, premiato a Venezia Orizzonti 2013, storia di un uomo che cercava di rintracciare i parenti delle persone morte in totale solitudine. Ricostruire schegge di vite perdute era l’impresa di quel solitario, modesto, “invisibile” impiegato. Il film è tuttora su Raiplay.
Nowhere special nasce, come Machan, da un ritaglio di giornale letto da Pasolini per caso, su un padre single che aveva passato i suoi ultimi mesi a cercare una famiglia affidataria per suo figlio, mentre lui stava morendo di cancro.
Belfast. Un uomo pulisce le finestre. È un padre single, giovane, trentaquattro anni ancora da compiere. Sta morendo di cancro al cervello. Ha un bambino di quattro anni – Daniel Lamont, straordinario; la madre se ne è andata da tempo in Russia, senza lasciare recapiti. L’uomo usa il tempo che gli resta per cercare la famiglia giusta a cui affidare suo figlio. La leggi, questa storia, senza aver visto il film, e pensi: ecco una storia ricattatoria, un romanzo dickensiano in pieno Duemila, o Il monello di Chaplin, con uno Charlot che invece di installarli, i vetri, li lava. Ma non è questo, non è solo questo. E quando lo vedi, questo film, così asciutto, nitido, preciso, scopri che è quanto di meno retorico, quanto di più onesto si possa immaginare. E allora anche le tue lacrime cercano di non farsi vedere, ma scivolano giù.
Merito di una sceneggiatura che non inserisce mai una spiegazione di troppo. Merito dell’interpretazione di James Norton, attore che i media britannici indicano come il più probabile candidato alla successione di Daniel Craig nello smoking di 007. Qui Norton ha un tatuaggio sul collo, altri sulle braccia, un credibile accento irlandese, sempre lo stesso giacchetto impermeabile, ed è semplicemente perfetto in una interpretazione densa, profonda, intima, sommessa. Sembra uno dei protagonisti dei film di Ken Loach, e in fondo all’universo di Ken Loach questo film si avvicina molto.
Il film è scandito dagli incontri del padre con le possibili famiglie affidatarie: ogni incontro è un salto nel buio, ogni incontro è uno spaccato di vita reale, ogni incontro è uno sguardo nel corpo della società britannica. Uberto Pasolini non giudica, ma rende evidenti i limiti, i disagi esistenziali, le contraddizioni di ogni coppia: quella gentile e sorridente che all’inizio dell’incontro dà al bambino un coniglio di peluche, e alla fine del colloquio glielo richiede indietro…
È tutto un susseguirsi di piccole scene, di frammenti che dicono, con una eccezionale economia di parole. Come quando il bambino, in un parco, vede uno scarabeo che non si muove più. E il padre si trova, in quel momento preciso, a dover spiegare con la maggiore semplicità, con il maggior tatto possibile, che cosa sia la morte.
Poco prima, dalla assistente sociale, si era rifiutato di prendere per il figlio il libro “Quando morirono i dinosauri”, dicendo “Non voglio che ci pensi. Che comprenda la morte. Penserà che possa accadere di nuovo. Alla sua nuova famiglia, alle persone attorno a lui. Finirà a pensare di dover morire anche lui. Che razza di infanzia sarebbe?”.
Non è un film sulla morte, Nowhere special. È un film su come vivere, su come fare il miglior uso possibile del tempo che abbiamo. Ed è leggera, non opprimente, anche la fotografia di Marius Panduru: inquadrature che respirano, bagnate di luce, anche se è quella grigia di un cielo di pioggia.
E allo stesso modo, sarebbe stato facile per il regista insistere sulle terapie affrontate dal protagonista, sulla successione degli esami clinici, sul suo scivolare nell’abisso della malattia. Invece, Pasolini procede per brevi tocchi, non insiste. La morte che sta arrivando viene guardata attraverso la vita. Il padre fa quello che c’è da fare: va al lavoro, perché è necessario lavorare fino all’ultimo, si stira i vestiti, porta il figlio al parco, incontra le famiglie che deve incontrare. Nowhere special è un film sull’abnegazione, sulla responsabilità, sul senso del nostro stare al mondo, fino all’ultimo secondo.
In definitiva: dialoghi asciutti, e molto di quello che sentiamo sta nelle immagini, in quelle intraviste di là da un vetro, e nei momenti in cui i personaggi non si dicono niente. Musica, pochissima, con echi di Nick Drake. Un altro che se ne è andato troppo presto.