IL WESTERN, IL GENERE CHE IL CINEMA HA QUASI DIMENTICATO. MA CHE TRIONFA IN TV

Da Il potere del cane di Jane Campion, ora in sala, ai capolavori del passato. Ecco il racconto sui film 'dove i buoni hanno la meglio'.

Pino Farinotti, giovedì 25 novembre 2021 - Focus

Il potere del cane è un western premiato alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno, col Leone d’argento, premio speciale della giuria. Sembrerebbe un’anomalia un riconoscimento a un genere che di riconoscimenti, ai livelli più alti, non ne ha avuti molti. Ma le ragioni ci sono. Per cominciare la firma, che è quella di Jane Campion, artista riconosciuta, già premiata con l’Oscar con Lezioni di piano. E poi l’ispirazione: il bestseller di Thomas Savage. Trattasi naturalmente di western “strettamente personale” secondo l’attitudine della regista. Niente epica, nessun eroe secondo la tradizione dell’ovest. Siamo in epoca del tramonto del genere, nel 1925. Si racconta il contrasto fra due fratelli che non si amano. Quando uno dei due si sposa, l’altro gli dichiara una guerra che non fa prigionieri. E non esita a usare come strumento il bellissimo figlio della cognata. I temi dei classici western sono… lontani. Però è un film di Jane Campion. Non va ignorato.
Che il western di tanto in tanto si manifesti non è mai una cattiva notizia. Ma mentre sul grande schermo il genere è quasi dimenticato, sul piccolo trionfa.

A chi guarda la televisione non può essere sfuggito che dopo tre o quattro cambi di canale si incappa in un western. Tutte le emittenti possono disporre di questa sorta di tesoretto. Il termine è legittimo perché quei film occupano spazio nei palinsesti e il costo è modesto. E naturalmente il gradimento non manca, altrimenti certi titoli non verrebbero proposti e riproposti a pochi giorni di distanza. In questi giorni sono ben 4 le rassegne: c’è John Wayne, ci sono gli “spaghetti” sul canale 34 italiano, c’è una proposta sui classici e una sui “minori”. Senza contare i titoli distribuiti in ordine sparso.    

I magnifici sette, passa quasi tutti i giorni, così come Il pistolero, Un dollaro d'onore, Il grande cielo e così via. E poi i cosiddetti b-movies, che poi tali non sono, con attori, come Rory Calhoun, Audie Murphy, Randolph Scott e molti altri. Ribadisco: se l’ovest non funzionasse, i network si organizzerebbero in altro modo. Cerco di dare una lettura. In questo momento così difficile, oppressivo, con un bombardamento ora per ora di notizie, di talk, di immagini che ci tramortiscono, è bello scovare un deterrente come sono quei film. Dove ci sono magnifici scenari, dove i buoni hanno la meglio e prevale un senso del merito e della giustizia che la nostra epoca ha soppresso. E dove agisce l’eroe che ci offre l’opportunità, certo ingenua, di identificarci in lui. E dove, per un paio d’ore… dimentichiamo.  

E dunque ho pensato che il western, che è roba molto seria, merita un racconto.

PRIMA PARTE  
Forte e leale
“Cerca di diventare forte e leale” dice Alan Ladd al piccolo Joe nel finale del Cavaliere della valle solitaria. “Io ho quella che tu forse consideri una debolezza, sono onesto.” Ribatte John Wayne al tentativo di corruzione di Stuart Whitman ne I Comanceros. Virginia Gray ne Gli invincibili sospira a Gary Cooper: “Se ti guardo negli occhi vedo orizzonti, vedo montagne inesplorate e l’infinito, la tua vita è là come quella dell’aquila è nel cielo”. In queste frasi ci sono molti dei sentimenti del western. Sentimenti sorpassati.  

Eroico
Il western è stato un genere eroico, forse il più eroico. L’avventura, i fiumi, i monti e la valle dei monumenti, il buono e il cattivo, la frontiera. E l’eroe, appunto. Tutti codici che un tempo prevalevano nel racconto. “Forte e leale” era davvero il primo comandamento, certo semplice e scontato, ma era il piedestallo più sicuro. Shane, il misterioso cavaliere che arriva nella valle dello Snake nel Wyoming, si prende carico del destino dei coloni oppressi da un allevatore senza scrupoli. Alla fine fa giustizia gratis, rischiando la vita. Sotto gli occhi del bambino che lo ha ormai adottato come modello personale. Alla fine, lasciando la valle, perché comunque lui, l’eroe, è stato costretto a uccidere (“a torto o a ragione rimane un marchio che non si cancella più”) ed è comunque un corpo estraneo, completa il testamento morale dicendo “… e cerca di essere come i tuoi genitori, non come me”.

Shane divenne l’eroe di generazioni, Sal Mineo, l’amico di James Dean in Gioventù bruciata ha appeso il suo ritratto nella sua stanza. Una parte solenne della struttura civile degli Stati Uniti, sempre secondo il western, era solida, indistruttibile grazie anche a quell’onestà di John Wayne. L’uomo di legge incorruttibile. E nello sguardo di Gary Cooper c’era la spinta verso l’ignoto, verso la frontiera. Un’altra delle grandi “spinte” del sogno americano.

Ideale
Il sentimento americano, puro e ideale era dunque in quei film. Puro e ideale come i suoi eroi che alla fine il cinema e la cultura, nelle loro evoluzioni, hanno riletto ed emarginato. “Quei” Ladd, Wayne e Cooper, identificati da quelle frasi agivano negli anni d’oro di quel genere ingenuo: erano giustizieri accettati e legittimati della comunità. Successivamente, soprattutto nel cinema e nella cultura del nostro tempo, non avrebbero più avuto cittadinanza, sarebbero diventati grotteschi, quasi ridicoli. L’eroe adesso è un altro. Un concetto che ho già avuto modo di esprimere.  

Referenti
Ma nei decenni del grande cinema e del grande western, i Quaranta e Cinquanta, tre modelli come quelli detti sopra, erano testimoni del sogno, erano referenti dell’identificazione più bella, la loro immagine si affiancava a quella della loro casa madre, l’America, che in un certo momento della guerra, momento tragico, era scesa in campo, era sbarcata in Europa e nel Pacifico e aveva tolto di mezzo fascismo, nazismo e imperialismo. Salvando gran parte del mondo che si sarebbe chiamato “libero”. Cooper, Wayne e tutti gli altri uomini dell’ovest, per qualche lustro dettavano dallo schermo quell’indicazione di giustizia, certo cinematografica, ma che apriva la fantasia e i cuori.
Era il mondo del cinema, non quello della realtà. Era il paese del western, non quello del west, che era tutt’altra cosa. L’ovest americano fu formato da un insieme dei popoli del mondo. Gente di ogni genere che lasciava i civili stati dell’Est, in cerca se non di fortuna, almeno di sopravvivenza. Altri si imbarcavano per attraversare l’Oceano appena usciti dai cancelli delle patrie galere. Non c’erano eroi in quegli emigranti. Non c’era Gary Cooper. E va detto che gli unici veri americani finivano per essere quelli con le penne e i capelli lisci, perfetti per assumere il ruolo di selvaggi cattivi nei western.    

Chimica
Quando negli Anni Settanta il genere mutò chimica, gli indiani cominciarono ad essere la razza oppressa e perseguitata e, a poco a poco, sterminata. La realtà era più vicina a questa vicenda che a quella raccontata nei film. Sappiamo. Ma il cinema, l’ho detto davvero troppe volte, ha le sue licenze e cerca di proteggerle. La realtà, se è il caso, la sorpassa. Al cinema interessa il racconto, lo spettacolo, e il gradimento del pubblico. E così, quando gli indiani divennero i buoni e la cavalleria non arrivò più a fare giustizia, la verità storica ringraziò, ma il western morì.   
La storia del western richiama nomi come Tom Mix, George O’Brien, William Surrey Hart. Ma siamo nel muto, nella preistoria. Non rimangono segnali, anche se Hart era un cineasta completo, sceneggiatore, regista, e aveva una faccia che il cinema accoglierebbe anche oggi. La nascita del genere, inteso come serio se non nobile, viene indicata dagli addetti con Ombre Rosse (1939). Il film mostrava due crediti, primi motori indiscussi, il regista Ford e l’attore Wayne. Il titolo non è solo un grande western, è un grande film. Eccola la legittimazione. Solo che Ombre rosse non è il primo. Tre anni prima, nel ’36, Cecil B. De Mille aveva firmato La conquista del west, un poema completo sull’ovest. Non c’era John Wayne ma Gary Cooper, dunque i punti sono più o meno gli stessi. Nel film De Mille accorpava Lincoln -l’episodio del suo assassinio- William Cody -meglio noto come Bufalo Bill- Calamity Jane e Bill Hickock. Le loro storie si intrecciano sullo sfondo della celebre disfatta di Custer –sì, c’è anche lui- al Little Bighorne. E visto il contesto ecco che non mancano Toro seduto e Cavallo pazzo. Il termine epopea non è mai stato tanto legittimo. Incrociare quei personaggi della mitologia dell’ovest non era storicamente semplice, ma il west, come ho detto precedentemente, non era il western e così quel film si accredita come verità cinematografica, dunque come non-verità, ma ha scarsissima importanza.  
Un inciso: John Wayne per la sua Battaglia di Alamo costruì la famosa missione a una ventina di miglia da San Antonio dove c’è quella vera. Ebbene le agenzie che organizzano quel viaggio hanno più clienti che visitano quella di Wayne. Altre due verità a confronto.  

Coppia di assi
La conquista del west, film magnifico con un’estetica magnifica; è di De Mille
. Ma ciò che rimane nella memoria popolare è Cooper-Hickcock che viene assassinato da un “piccolo cialtrone” con un colpo alle spalle. Hickcock stava giocando a poker. Ancora oggi a Deadwood puoi visitare quel saloon dove avvenne il fatto. Sul tavolo sono rimaste le carte che Bill aveva in mano prima di essere ucciso, una coppia di otto e una di assi. La combinazione viene chiamata, appunto, la mano del morto. Sempre di west/western trattasi. Leggenda Hickock, leggenda Cooper. É il cinema.  

Ho citato Wayne e Cooper, due fra i massimi modelli del genere. Un’altra combinazione, magnificamente confusa fra cinema e realtà è il monte Rushmore a Rapid City, North Dakota. Sempre in chiave di cinema: chi lo conoscerebbe se non fosse per Intrigo internazionale di Hitchcock? Il monte rappresenta a grandi effigi quattro presidenti, fondamentali, degli Stati Uniti: Washington, Jefferson, Lincoln e Theodore Roosevelt. Un monte Rushmore del western sarebbe un’idea e un’estetica perfette. Ma a chi apparterrebbero le quattro effigi? Due nomi sono già stati fatti, il terzo non può che essere James Stewart. E il quarto? La discrezionalità presenta una forbice molto larga: Lancaster, Douglas, Flynn, Taylor, Ladd? E siccome la discrezionalità è la mia, a quarta effigie pongo Randolph Scott. Non ha firmato i classici degli altri, i suoi film erano scritti da sceneggiatori inadeguati, ma il volto di Scott, con un’unica espressione per un centinaio di western, era come una pietra americana. Randolph ha fatto (quasi) solo western, è stato il più fedele e assiduo, si è guadagnato sul campo il riconoscimento. E tutte e quattro le icone possedevano i codici indispensabili per il west, per gli spazi della terra e del cielo: alti quasi due metri, capelli biondi e, soprattutto occhi azzurri. Il cielo, appunto.  

Sono onesto
I Comanceros (Curtiz 1961) è il film dove Wayne è più Wayne; è lì che pronuncia quella frase già citata “io ho quella che tu forse consideri una debolezza, sono onesto”. Nel film Wayne fa lo sceriffo. Sta portando un prigioniero dalla Louisiana nel Texas, durante un attacco degli indiani il prigioniero gli salva la vita. Wayne è imbarazzato. L’altro gli dice “perché non mi lasci andare?”. Lo sceriffo risponde “ci ho ragionato, mi sono detto… e dagli la via, ma poi ho pensato che ho fatto un giuramento.” Il prigioniero gli dice “e tu li mantieni sempre”. Wayne, col sorriso, a sdrammatizzare, dice “gli uomini sono le parole che dicono e che rispettano”. John fu il preferito di due dei massimi maestri del genere, Howard Hawks e John Ford. Era l’uomo di legge, ma non rigido, monocorde, aveva umanità e umorismo. Cercava anche di essere flessibile, ma alla fine non riusciva proprio a non fare ciò che doveva fare. E c’era anche una bella dolcezza nascosta in lui. Ancora nei Comanceros un’amica di famiglia gli ricorda la moglie morta. Gli domanda “da quanto è mancata?” “Da 2 anni, 2 mesi, e 18 giorni”, risponde il ruvido uomo di legge. In Torna el Grinta Wayne, sempre uomo di legge, e macho per eccellenza, si accompagna con l’aggressiva Katharine Hepburn. Litigano per tutto il tempo, ma alla fine la femminista ante litteram lo abbraccia e gli dice “voi sì, siete un uomo, è stato un privilegio stare al vostro fianco”.  

Ultimo duello
Il Pistolero è l’ultimo film di John Wayne. Riproduco la scheda del Farinotti: “… decisamente un film ispirato, e importante… è una rivisitazione dei vecchi miti del west. Il medico che visita Wayne è James Stewart. Il film si basa su un gioco di finzione e realtà molto amato dal cinema americano: Wayne, che sarebbe morto di cancro, sta morendo di cancro anche nel film. Il suo andare all’ultimo duello in tram è la triste e geniale traduzione del suo tramonto. E di quello del western.  

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