QUANTA NAPOLI C’È NELLA STORIA E NEI FILM DI PAOLO SORRENTINO?

Nell’autobiografico È stata la mano di Dio - dal 24 novembre al cinema - il capoluogo campano è presente in tutta la sua bellezza e le sue contraddizioni, rappresentato come una città vivida, umana, tumultuosa. Ma l’intera filmografia del regista sembra non poter fare a meno dell’ispirazione partenopea.

Giovanni Bogani, venerdì 19 novembre 2021 - Focus

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Filippo Scotti - Capricorno. Interpreta Fabietto Schisa nel film di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio.

Sorrentino e Napoli, Napoli e Sorrentino. Quanta Napoli c’è nel regista di È stata la mano di Dio, nella sua storia, nei suoi film? E quale tipo di sguardo ci fa posare Sorrentino sulla città di Pulcinella, di Eduardo, di Troisi e di Maradona?

TROISI, TOTO’ E GLI ALTRI
Già. Perché ogni regista racconta una Napoli diversa. Aggiornando il mito, lasciando lontano, dietro, il luogo comune. Ci sono mille Napoli diverse, al cinema: Napoli centrale, nella storia del cinema italiano, fin dagli inizi del Novecento, da Assunta Spina, dai film con Francesca Bertini, per arrivare alla Napoli di macerie di Paisà, poi a quella malandrina di Totò, a quella di Vittorio De Sica. La Napoli di Nino Manfredi, criminale e galantuomo in Operazione San Gennaro. Poi, dagli anni ’80, Napoli che si ritrova piena di talenti del “nuovo” cinema: Mario Martone, Antonio Capuano, Pappi Corsicato, Ivan Cotroneo. Una new wave molto “moderna”, che accarezza le esperienze del teatro, dell’arte, dell’architettura. La Napoli fassbinderiana di Salvatore Piscicelli ne Le occasioni di Rosa.

La Torre Annunziata di Giancarlo Siani in Fortapàsc; fino ad arrivare alla Napoli di Gomorra - La serie, notturna, gelida, feroce, da tragedia greca. La Napoli che ironizza sui miti e gli stilemi della camorra in Ammore e malavita dei fratelli Manetti. La Napoli del Centro direzionale di Perez., col punto, il film di Edoardo De Angelis. E Sorrentino, in tutto questo, dove arriva, dove si colloca, che cosa racconta?

VIA SAN DOMENICO, AL VOMERO
Paolo Sorrentino è cresciuto al Vomero, in via San Domenico, in una Napoli “normale”, medio borghese, certo non la Napoli proletaria e feroce di certi altri quartieri. “Me ne sono andato per stanchezza, ma anche perché sono una persona paurosa, e Napoli è una città che riesci a vivere bene solo di petto”. La città torna, marginalmente, in alcuni suoi film, persino con il cardinale Silvio Orlando tifoso del Napoli in The Young Pope. Ma è in È stata la mano di Dio che il rapporto fra Sorrentino e la sua città torna forte, visibile, fondamentale.

Cinematograficamente, Sorrentino arriva un po’ dopo la “new wave” dei Martone e degli altri. Nel 2001, in piazza dei Martiri, Teatri Uniti produce il suo esordio cinematografico, L’uomo in più. A Teatri Uniti Sorrentino, allora trentenne, incontrava il suo primo produttore Angelo Curti e l’attore che sarebbe diventato una sorta di alter ego, l’attore feticcio, l’incarnazione dei suoi personaggi laconici, cinici, beffardi: Toni Servillo. A Teatri Uniti incontrava l’amico produttore Nicola Giuliano, che produrrà tutti i suoi film con Indigo e che lo porterà all’Oscar.
 

LA NAPOLI DEL FILM
È stata la mano di Dio è stato girato in molti luoghi di Napoli, dal Vomero alla Galleria Umberto I, dal lungomare a piazza del Plebiscito, allo stadio San Paolo. Ci si poteva chiedere come avrebbe stravolto Napoli, Sorrentino: la Roma della Grande bellezza sembrava quasi un’altra città, sembrava un quadro di De Chirico, tutta notturna, svuotata di gente, solo volumi di architetture e figure che camminano, come in un film di Antonioni.

Invece la Napoli che Sorrentino racconta non è così astratta, non è così sterilizzata: è una Napoli vivida, umana, tumultuosa. La Napoli degli anni Ottanta, quella dell’adolescenza di Sorrentino. Quella illuminata dall’arrivo di Diego Armando Maradona, il dio del calcio più simile a uno scugnizzo, più simile a un ragazzo di strada, il più napoletano dei calciatori al mondo, un dio del calcio già capace di eccitare la fantasia e l’appetito cinematografico di uno dei più vitali e virtuosistici registi al mondo, Emir Kusturica.

MARADONA
Maradona che, per Sorrentino, “non è arrivato: è apparso. Non è sceso da un aereo, lo vedemmo sbucare dal nero degli spogliatoi del San Paolo. Non ci sono immagini del suo arrivo a Napoli: è come se fosse apparso direttamente nello stadio. Maradona girava la città, girava con una Fiat Panda e la gente si chiedeva se era davvero lui. Quando io e mio fratello lo vedemmo in strada, il mondo si fermò”.

Napoli, in quell’inizio degli anni Ottanta, era anche la Napoli del post terremoto. “Era una città incupita, violenta. Veniva dal terremoto”, dice Sorrentino, “dalla guerra fra nuova e vecchia camorra. Di notte non si usciva quasi mai. Mio padre diceva: la sera non ci si ferma al semaforo, si passa col rosso. E se si rimane senza benzina, si chiama subito un taxi e si corre a casa”. Una Napoli paralizzata dalla paura, che ritorna a respirare, a sognare, proprio grazie all’arrivo di Maradona. “Io che in Maradona ci fosse un potere semidivino”,  dice il regista. “Il mio rammarico è che non gli ho potuto far vedere il film, era uno dei miei primi desideri quando ho cominciato a realizzarlo”.

Negli incontri con la stampa alla Mostra del cinema di Venezia, dove il film ha vinto il Gran Premio della Giuria, Paolo Sorrentino ha parlato ancora di Napoli: “Napoli è un’espressione acuta di vitalità. Una città che da sempre – forse anche perché la gente arriva dal mare – ingloba tutto e trasforma tutto nella famosa ‘napoletanità’. È una caverna che accoglie tutto, mastica tutto e tutto ritira fuori, in maniera molto teatrale. Se dovessi scegliere una parola per rappresentare la città”, conclude, “sarebbe: ironia”.

NAPOLI E VENEZIA
Curiosamente, il film con cui Sorrentino torna a Napoli è anche il film con cui è tornato a Venezia, intesa come Mostra del Cinema: “C’ero venuto vent’anni fa, all’inizio della mia carriera, e ci sono tornato questa volta alla ricerca di un nuovo inizio artistico”, dice. Nel frattempo, tutti i suoi film erano passati da Cannes.

C’è un altro frammento di Napoli nel film. Ed è il personaggio di Antonio Capuano. Capuano, ottant’anni adesso, è una specie di Pasolini napoletano, è l’autore di film come Vito e gli altri e Pianese Nunzio. Sorrentino esordì nel cinema grazie a lui, che lo chiamò per sceneggiare Polvere di Napoli nel 1998. Nel film c’è un personaggio palesemente ispirato a Capuano, e che porta anche il suo nome: “È una delle poche persone che hanno creduto in me quando non credevo in me stesso. Mi ha insegnato la necessità di affidarmi al mio istinto. Capuano è un regista mai pacificato, cerca sempre il conflitto: ed è la cosa che genera il cinema molto più della pacificazione”.

IL RITORNO
Sorrentino parla del suo ritorno, dopo vent’anni: “Mi ha fatto un grande effetto tornare a Napoli. Sono tornato in condizioni migliori di quando me ne sono andato: prima abitavo in un quartiere da dove il mare non si vedeva. Adesso, quando sono tornato per vedere il film, vedevo il mare dalla finestra”. La Napoli che ha incontrato, dopo vent’anni, “l’ho trovata molto vitale, proprio come me la ricordavo. È un safari che si fa a piedi, senza la jeep. Ma in realtà” – e dice la frase forse più vera di tutte – “tutti hanno la presunzione di sapere che cos’è questa città: io no”.

È stata la mano di Dio sarà al cinema dal 24 novembre. Nel frattempo, il film – che è il candidato italiano per gli Oscar, in attesa che la commissione della Academy restringa il campo ai quindici titoli della shortlist – ha ricevuto tre nomination agli EFA, gli European Film Award, per Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura.

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