ARIAFERMA METTE IN SCENA LA VITA. E LO FA CON LIVELLI INAUDITI DI FEROCIA E COMPASSIONE

Reduce dal successo a Venezia e nella Sala web su MYmovies, il film con Toni Servillo e Silvio Orlando è la sintesi perfetta dei mondi che il regista Leonardo Di Costanzo nei suoi progetti ha saputo trasformare sapientemente in palcoscenici. Ora al cinema.

Roberto Manassero, sabato 16 ottobre 2021 - Focus

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Silvio Orlando (67 anni) 30 giugno 1957, Napoli (Italia) - Cancro. Interpreta Carmine Lagioia nel film di Leonardo Di Costanzo Ariaferma.

Nel cinema di Leonardo Di Costanzo ci sono sempre ambienti chiusi e isolati, in cui il cinema coglie preziosi momenti di sospensione, di attesa. Era così nel documentario Odessa (2006), che entrava in una nave di crociera bloccata nel porto di Napoli e filmava i giorni morti e lo stallo esistenziale dei suoi occupanti; era così, naturalmente, nel suo primo film di finzione, L’intervallo (2012), l’incontro di due adolescenti vittime entrambi della logica camorrista, costretti a condividere per un pomeriggio uno stabile abbandonato e il suo giardino e spinti dalle circostanze a trovare un’intesa grazie alla loro immaginazione ancora infantile. 

Anche il successivo L’intrusa, girato tre anni dopo, raccontava un mondo “a parte” e “altro”, un centro ricreativo nel cuore dei quartieri napoletani in mano alla criminalità organizzata, che la presenza di un’estranea rendeva una terra di nessuno, una zona franca in cui riscrivere le regole della società. 

Di tutti questi luoghi e questi mondi trasformati in palcoscenici, il carcere inesistente e astratto di Ariaferma è una sintesi straordinaria. Di fronte a un’emergenza non meglio chiarita dalla sceneggiatura, con il fantasma del lockdown che grava idealmente sulla situazione e sull’immaginario dello spettatore, la prigione sarda in cui guardie e carcerieri si trovano a condividere una situazione d’emergenza diventa un banco di prova della natura umana. 

Non è un caso che il titolo internazionale del film sia The Inner Prison, la prigione interiore. Ariaferma chiama in causa la responsabilità di farsi uomini, di pensarsi come individui uscendo della prigione dei ruoli prefissati, delle maschere, del confronto fra carcerieri e carcerati. La violenza è implicita in ogni elemento del film, nelle regole di condotta della prigione, nelle sbarre delle celle, negli obblighi degli internati e nei doveri delle guardie: nessuno è libero, in Ariaferma, ma nella situazione singolare che viene a crearsi chiunque ha la possibilità di liberarsi per un attimo della corazza che indossa

Di Costanzo e i suoi sceneggiatori Valia Santella e Bruno Oliviero hanno volutamente lavorato di sottrazione, o meglio ancora hanno costruito un racconto che avvicina diversi generi (il film carcerario, ovviamente, ma anche il western e le dinamiche di un assedio, alla Distretto 13: Le brigate della morte), ma preferisce allontanare il più possibile la materia narrativa di derivazione romanzesca e avventurosa, scegliendo invece il semplice confronto fra individui.

Anche in Ariaferma, come nell’Intervallo, c’è nel finale un giardino che assume toni quasi fiabeschi. In un luogo ideale, una sorta di astrazione nell’astrazione, i due protagonisti, la guardia Gaetano Gargiulo e il camorrista Carmine Lagioia, condividono per la prima volta un medesimo spazio di libertà. L’incolmabile distanza che li separa e al tempo stesso la vicinanza che li accomuna, li porta a essere finalmente sé stessi; conversando come due uomini alla pari, entrambi raccontano le reciproche storie e riaffermano così la loro natura e la loro idea di sé stessi: il primo consapevole di una superiorità che gli deriva dalla coscienza pulita, il secondo di una forza che nasce dalla sua spietatezza. 

Non sono eroi, non sono personaggi, ma semplicemente individui con una vita alle spalle, con errori e responsabilità. E così, oltre il genere e il romanzesco, Ariaferma finisce per mettere in scena la vita, raggiungendo livelli di compassione e di ferocia inauditi.

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