Con il film presentato al Festival di Cannes il regista realizza un'evoluzione radicale e coraggiosa che gli fa onore. Dal 23 settembre al cinema. Di Pino Farinotti.
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Da sempre ho definito Nanni Moretti una delle prove dell’esistenza in vita del cinema italiano. Altre “prove” nella mia personale gerarchia sono Mario Martone e Giorgio Diritti. Ammetto che nelle ultime stagioni il nostro cinema ha dato ottimi segnali internazionali, con riconoscimenti importanti. Non accadeva da tanto tempo. Tornando a Moretti, chiudevo la mia recensione sul suo penultimo film Mia madre, sul dizionario “Farinotti” in questo modo: “Moretti medita su se stesso e il suo lavoro. C’è una battuta che Giovanni dice alla sorella regista: ‘Fai qualcosa di unico, di diverso, devi rompere almeno un tuo schema, uno su duecento’. È chiaro che lo dice a se stesso. È stato detto che il personaggio di Margherita (Buy), la regista protagonista del film, sorella di Giovanni (Moretti), ne sarebbe l’alter ego. Sarebbe stato opportuno, per il regista, rinunciare a un doppione. Ne avrebbe guadagnato la leggerezza, che per fortuna arriva grazie a John Turturro con i suoi inserti durante la lavorazione del film. È il film meno felice di un grande autore. La speranza è che riesca a uscire dallo stallo e dalla ripetitività. Visto un Moretti invecchiato, in tutti i sensi.”
Tutto questo lo scrivevo con una parte di imbarazzo. Ma... avevo visto giusto. E c’è un segnale davvero potente ad avallare: per la prima volta il nostro regista ha fatto un film da un’idea che non è la sua. Ma trattasi di ottima idea. Deriva dal romanzo di Eshkol Nevo, scrittore nato a Gerusalemme che ha girato il mondo e ha assunto tante culture. Così Moretti decide di evolvere la sua esplorazione, in tutte le chiavi: un nuovo orizzonte e un altro linguaggio registico. E Nevo gli offre un assist di qualità, policulturale, che poi il regista riduce in un contesto italiano senza perdere quelle culture e sentimenti.
Nevo nasce molto bene, presenta molti tratti del predestinato. Suo padre Baruch e sua madre Ofra sono docenti di psicologia dell’Università di Haifa, trasmettono al figlio una cultura laica, dove l’ebraismo è una mistica certo importante, da privilegiare, ma che si affianca ad altre che vanno comunque conosciute e approfondite. Nevo attento, dotato, esegue. Sulle orme famigliari completa gli studi di psicologia, e vive tra Israele e gli Stati Uniti. Coltiva così un’attitudine versatile e poliedrica. É capace di firmare un testo “politico” come "Nostalgia", ambientato in Israele nei giorni del’assassinio dell’ex primo ministro Rabin. Ne "La simmetria dei desideri" del 2007, affronta il tema dell’amicizia. Altro titolo esemplare può essere "Un canguro alla porta", libro per bambini. Ed ecco "Tre piani", pubblicato nel 2015 e assunto da Moretti che, nell’intenzione di evoluzione del suo percorso decide di assumere un testo all’altezza. Il film narra le vicende di tre nuclei famigliari che vivono su tre piani dello stesso edificio a Tel Aviv. É lo stesso Moretti a raccontare:
“Sono stato felice di aver trovato in quei personaggi il nucleo di quello che sarebbe stato il film. La responsabilità delle nostre scelte, il concetto di giustizia, di colpa, il ruolo di genitori. Questi temi mi hanno portato a una scelta netta: evitare ogni protagonismo soddisfatto di sé....sono i personaggi femminili che cercano di sbloccare le cose, le donne sono più aperte, hanno reazioni più sane. Quelli maschili restano più fermi, bloccati, addirittura incistati nei loro ruoli, tra rigidità, ossessioni, schematismi.”
Tutto questo trasmesso in una chiave che è più di un semplice sviluppo del suo percorso, è un’evoluzione radicale e coraggiosa. Che gli fa onore. E così Moretti “è uscito dallo stallo e dalla ripetitività”. Adesso non resta che attendere la nuova “idea”. Inutile tentare pronostici, con un artista di quella imprevedibilità e inventiva.