MANDIBULES, UN FILM LIMPIDO, ESSENZIALE, UN INNO AI SEMPLICI E AI PURI

Tutto è fuori posto, tutto è diverso da come logica vorrebbe: proprio per questo, tutto è giusto. La commedia di Mr. Oizo ci insegna ad accettare l'insensatezza della vita. Al cinema.

Giovanni Bogani, domenica 20 giugno 2021 - Focus

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Adèle Exarchopoulos (30 anni) 22 novembre 1993, Parigi (Francia) - Scorpione. Interpreta Agnès nel film di Quentin Dupieux Mandibules - Due uomini e una mosca.

Due scemi trovano una mosca nel bagagliaio di un’auto, una mosca enorme grande come un mastino napoletano. E sognano di addestrarla, per usarla come un drone. Se lo racconti così a un amico, quello ti prende per matto. E invece Mandibules è un bel film. E mentre rivedi lo screener sul computer, ti ritrovi a ridere da solo, in piena notte. Funziona. 

“Toro-torò!” dicono i due sciagurati. E le loro mani si congiungono, facendo il segno delle corna. È un saluto che si sono inventati, che non significa niente e che significa molto. Un po’ come il film. “Torò-bonjour, torò-émotion, torò-bonne nuit”. Una parola che si riempie di ogni significato: a sottolineare ogni momento di complicità, di sintonia, i due si scambiano il segno del toro. Perché? Non lo sanno neanche loro. Loro, in effetti, non sanno niente, navigano nella vita a casaccio. Ingenui, infantili, irresistibili.

Mandibules è scritto e diretto da Quentin Dupieux – anche musicista e produttore discografico, che molti conoscono come Mr. Oizo, una storpiatura per “oiseau”, uccello. È stato presentato Fuori Concorso lo scorso settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, e aveva regalato un po’ di leggerezza a giornalisti e appassionati, in una Mostra più cupa e lugubre, per ovvi motivi. Ora, il 17 giugno, esce nelle sale con I Wonder Pictures. Ed è un’occasione per innamorarsi di un film molto meno scombinato e naif di quanto possa sembrare.

Manu – Grégoire Ludig – lo incontriamo in una spiaggia vicino a Saint Tropez. La luna si desta con lui, ma non c’è nessuno a ballare il twist, come nella canzone di Peppino Di Capri. È lui che dorme sulla spiaggia, d’inverno, avvolto in un piumone, e scivola nottetempo verso l’acqua. Ma non se ne cura. Ha il capello lungo, la trasandezza e la flemma del drugo Jeff Bridges ne Il grande Lebowski dei fratelli Coen. Un tipo gli propone di trasportare una valigetta: soldi in contanti e niente domande. Fin qui, tutto regolare. Potrebbe essere Tarantino, Wenders, Samuel Fuller.
 

Manu ruba una vecchia Mercedes forse già rubata; si ferma per raccogliere l’amico Jean-Gab – lo interpreta David Marsais; i due sono celebri su Youtube come il duo Palmashow. E via, insieme. Sentono uno strano rumore nel bagagliaio: aprono, e trovano una mosca. Enorme. Roba da animazione anni ’50, B-movies di fantascienza, ma poco importa. La mosca la chiameranno Dominique, avrà perennemente fame, mangerà scatolette di cibo per gatti.

Il resto, è un’avventura che prende continuamente strade impreviste, inimmaginabili. I due incontreranno un gruppo di ricchi borghesi, e fra loro una strepitosa Adèle Exarchopoulos che, per via di un incidente che le ha causato danni cerebrali, è costretta a parlare DAVVERO FORTISSIMO, con urla rabbiose, senza riuscire a controllare toni e volumi della sua voce, con risultati di furiosa comicità.

Tutto è fuori posto, tutto è diverso da come logica vorrebbe: proprio per questo, tutto è giusto. La mosca avvolta in una coperta come E.T., la stupidità pura come diamante dei due sciagurati, che hanno la  forza delle anime semplici.

E si scopre così uno dei temi sottesi al film: i ricchi, con il loro disincanto, le loro piscine e la loro aria blasé, sono meno intelligenti, più infelici e più soli. Sono loro i veri disadattati, quelli incapaci di amarsi, incapaci di comunicare. Credono di saperla lunga. Invece forse la vita la capisce meglio chi va un po’ a caso, a istinto. Prendendo con flemma Zen tutto quello che accade: “L’importante non è avere tanti soldi, l’importante è stare sempre insieme”.

Più sottile del previsto? Del resto, Mr. Oizo non è uno qualunque. In Rubber, alla Semaine de la critique a Cannes nel 2010, aveva raccontato la vicenda di uno pneumatico serial killer; a Cannes 2019, con Doppia pelle, primo suo film arrivato in Italia, seppure in streaming, aveva fatto innamorare Jean Dujardin di una giacca di daino. A Cannes doveva finirci anche Mandibules, ma la pandemia lo ha dirottato a Venezia 77. Bene così.

Un po’ Wes Anderson e in qualche momento persino un po’ Parasite (guarda la video recensione), Mandibules è un film sulle anime pure, sull’accettare che la vita sia abbondantemente insensata, e ha anche una sua visione politica. È un film limpido, essenziale, un inno ai semplici e ai puri. Torò torò. Torò émotion.

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