IL PROCESSO AI CHICAGO 7 – LE MANIFESTAZIONI DI CHICAGO NEL 1968 E L’AMERICA DI OGGI

Sorkin riporta al centro della scena la politica degli USA aprendo a un nuovo dibattito. Su Netflix.

Lorenzo Gineprini, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema, giovedì 12 novembre 2020 - Scrivere di Cinema

“The Whole World is Watching” ripetono come un mantra i manifestanti che nel 1968 si recarono a Chicago per criticare l’elezione come leader del partito democratico di Hubert Humphrey, favorevole alla guerra in Vietnam. Anche oggi, ancora una volta, il mondo intero guarda all’America. Si chiede preoccupato come verrà gestito il passaggio di potere da Donald Trump al nuovo presidente eletto Joe Biden. Si domanda con stupore come sia possibile che più di 71 milioni di elettori americani continuino ad avere fiducia in Donald Trump. Si interroga sulle capacità di Joe Biden di superare fratture sociali che sembrano insanabili. 

Il processo ai Chicago 7 potrebbe sembrare molto lontano dalla situazione odierna, visto che racconta il processo a sette attivisti accusati di aver aizzato i dimostranti contro la polizia durante la manifestazione di Chicago del 1968. Eppure il film ha un vibrante e attuale contenuto politico che trascende anche le intenzioni del suo regista Aaron Sorkin, che ha infatti dichiarato: “Vorrei che il mio film fosse meno rilevante”. 
 

Sorkin voleva insomma realizzare un film giudiziario agile e leggero, in cui i momenti di pathos vengono bilanciati da scene divertenti. La differenza tra le vedute politiche dei sette attivisti dà infatti vita a battibecchi che ricordano la commedia, come gli scontri tra il sempre educato leader studentesco Tom Hayden e gli hippy impertinenti Abbie Hoffman e Jerry Rubin. Proprio questo giocare al limite con la commedia malgrado il tema serio e drammatico è valso al regista diverse critiche. Ma l’abilità di scrittura di Sorkin, sceneggiatore di molti brillanti film hollywoodiani come The Social Network, fa guadagnare al film un piano politico più profondo, forse non del tutto intenzionale ma proprio per questo interessante.

Il confusionario ma passionale scontro di idee che si crea tra i sette protagonisti del film è infatti un’occasione per rappresentare, seppur in forma semplificata, la radical left americana. Si tratta di una sinistra extraparlamentare che raramente viene mostrata al cinema, lontana non solo dal conservatorismo dei repubblicani, ma anche dal liberalismo del partito democratico – non a caso la manifestazione di protesta di Chicago fu organizzata proprio in occasione della convention democratica. La radical left, sfaccettata e perciò sfilacciata tra gruppi culturali diversi, spesso fatica a trovare una voce unitaria, ma l’opposizione alla guerra in Vietnam nel 1968, così come quella al razzismo strutturale durante il Black Lives Matter dal 2013 ad oggi, sono riusciti a dare corpo a questa comunità, a fare unire voci diverse in un grido comune. 

Nella scena forse più significativa del film i manifestanti di Chicago vengono spinti contro una vetrina dalla polizia. Gli agenti buttano a terra i distintivi e avanzano inesorabili, costringendo i manifestanti ad arretrare, un passo dopo l’altro, mentre i loro corpi iniziano a premere sulla vetrina di un bar. All’interno del locale i leader del partito democratico sorseggiano in abiti eleganti i loro cocktail, incuranti di quanto avviene fuori, perché il vetro fumé del bar non lascia vedere l’esterno. Ma la realtà preme ai margini del loro campo visivo: il vetro si frantuma e i corpi dei manifestanti si riversano in mezzo alla sala tra le schegge.

L’aspetto più interessante è che Sorkin stesso fa parte di quella America liberale e democratica chiusa dentro il bar, incapace di accorgersi del disagio sociale che esplode appena fuori dal loro campo visivo. Proprio per questo il regista cerca di semplificare il processo contro gli attivisti di Chicago e di trasformarlo in una commedia brillante. Ma la materia politica è talmente esplosiva da sfuggire al suo controllo, emergendo in modo ben più radicale di quanto Sorkin stesso auspicasse. E questo in fondo può valere come avvertimento ai democratici, che alla vigilia di un nuovo mandato dovranno stare attenti a non cercare di edulcorare quelle spaccature sociali così visibili nel paese, altrimenti c’è il rischio che altri vetri vadano in frantumi. 

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